LO SVILUPPO DELLA NORMATIVA COMUNITARIA NELLA TUTELA DELL’INDICAZIONE GEOGRAFICA
2.4. La protezione delle indicazioni geografiche dell’Unione Europea nei Paesi Terz
2.4.2. EC/U.S Wine Agreement
Gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto una visione contrastante rispetto a quella europea sul trattamento delle indicazioni geografiche come proprietà intellettuale210. Questo divario culturale si è accentuato
soprattutto a seguito della definizione, contenuta nell’Accordo TRIPs, delle indicazioni geografiche.211 L’Europa attribuisce alle indicazioni
geografiche un’importanza fondamentale per il benessere culturale ed economico dei produttori coinvolti ed eleva il termine ad un concetto di proprietà intellettuale212. Al contrario, gli Stati Uniti non pongono
attenzione all’identità del produttore o all’origine del prodotto, bensì alle caratteristiche del prodotto che devono mantenersi inalterate nel tempo per rispondere alle aspettative dei consumatori213.
Un’attenzione maggiore alla tutela dell’identità regionale era invocata dai produttori americani, la cui importanza sullo scenario globale diveniva sempre più crescente e riconosciuta, sia dal punto di vista economico che qualitativo214. Le istanze di protezione avanzate dai
produttori si tramutarono molto spesso in quelle norme che il legislatore europeo aveva, dopo anni di richieste, già da tempo concesso215.
Sotto la spinta di interessi convergenti, da un lato l’Unione Europea e dall’altro i produttori americani, nel 2005 fu sottoscritto “EU/U.S. Wine Agreement”216.
L’analisi dell’Accordo non può sottrarsi all’attenzione posta dal Parlamento europeo sui contenuti dello stesso, la cui approvazione da
210 ROBERTS M. T., U.s. Wine Regulation: Responding to Pressures and Trends in a Global Food System, in AA.VV., Le regole del vino, op. cit., 184.
211 Art. “Indications which identify a good as originating in the territory of a Member, or a region or locality in that territory, where a given quality, reputation or other characteristics of the goods is essentially attributable to its geographical origin”.
212 ZACHER F. G., Pass the Parmesan: Geographic Indications in the United States and the European Union – Can be the compromise?, in ROBERTS, op. cit., 184.
213 Ibid.
214 L’uso della denominazione di origine è ammesso in America per quei vini che a) vengono prodotti utilizzando almeno il 75% delle uve provenienti dall’area della denominazione; b) vengono prodotti interamente nella stessa area o in quella adiacente; c) sono prodotti nel rispetto dei regolamenti che disciplinano la composizione, il metodo di produzione e la designazione. FERRARI, op. et loc. ult. cit. ROBERTS, op. cit., 185. 215 Ibid.
216 Accordo tra la Comunità europea e gli Stati Uniti d’America del 10 marzo 2006, GU n. L 87/2, 24/03/2006.
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parte della Commissione è stata criticata mancando un confronto tra le istituzioni comunitarie (punto 2). Il preambolo della risoluzione del Parlamento europeo sull’Accordo evidenzia come il percorso negoziale durato ben due decenni, non sia stato in grado di superare la portata minima delle questioni inerenti al commercio bilaterale vitivinicolo217. Tra
queste un’importanza fondamentale viene attribuita alle indicazioni geografiche europee spesso oggetto di usurpazione nei Paesi terzi con grave “danno economico ai detentori legittimi di tali denominazioni a motivo della
perdita di quote di mercato”. Le ripercussioni economiche, provocate dalle
false denominazioni, alimentano una forte concorrenza con quelle vere, le quali si trovano ad affrontare un mercato in cui la legislazione vigente le considera come prodotti semigenerici. L’approccio del consumatore si discosta tra i due continenti se si considera che l’americano medio attribuisce al brand un valore maggiore rispetto all’indicazione geografica ed un significato di qualità e di particolari caratteristiche del prodotto218.
Per esempio, la maggior parte degli americani associa il termine “champagne” ad una tipologia di vino e non alla regione francese di origine.
Il Code of Federal Regulations disciplina i termini e le espressioni indicanti un’origine geografica distinguendo le designazioni generiche (es. vermouth o sake), a cui la legge non riconosce alcuna forma di tutela, le designazioni divenute semi-generiche e quelle non-generiche assicurate dalla massima protezione219.
La categoria dei termini semi-generici ha rappresentato per molti anni uno dei punti più controversi dei negoziati bilaterali tra Unione Europea e Stati Uniti, la cui legislazione ammetteva l’uso di essi associato con l’indicazione dell’origine del prodotto220. La denominazione Chianti, ad esempio, può essere utilizzata per vini prodotti in California anche con l’utilizzo delle stesse originarie tecniche di produzione, con l’unico vincolo che l’etichetta deve riportare la dicitura Chianti della California221. Gli
217 Risoluzione del Parlamento europeo sull’accordo vitivinicolo fra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America del 29 settembre 2005, GU n. C 227 E/578, 21/09/2006. 218 ROBERTS, op. cit., 185.
219 15 U.S.C. sect. 1127. FERRARI, op. cit., 14. 220 26 U.S.C. § 5388 (2000).
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argomenti sostenuti da chi si opponeva alla modifica della legislazione si basavano sulle considerazioni che il sistema in vigore non creava confusione tra i consumatori circa l’origine, ma avrebbe comportato enormi costi per le aziende222.
La categoria dei termini non-generici distingue al proprio interno designazioni con carattere distintivo (es. Asti Spumante, Barbaresco, etc.), la cui protezione è paragonabile a quella delle indicazioni geografiche, e senza carattere distintivo (es. francese, spagnolo, etc.)223. L’appartenenza
alla prima categoria impone la presentazione della domanda di registrazione all’ATF da parte dei soggetti interessanti, i quali hanno l’onere di dimostrare il carattere distintivo del vino rispetto agli altri vini e la conoscenza del prodotto da parte dei consumatori americani224.
Merita un’attenzione particolare l’eccezione inserita nell’art. 6 rubricato “Uso di alcuni termini sulle etichette dei vini venduti negli Stati Uniti”. L’Accordo vede impegnati gli Stati Uniti a modificare la propria normativa sullo status giuridico dei termini elencati nell’Allegato II, ad esempio Burgundy, Chablis, Champagne, Chianti, etc. il cui connotato di termini semi-generici aveva permesso il loro utilizzo su prodotti non comunitari.
Le aziende americane che commercializzavano i propri prodotti sfruttando una delle diciassette denominazioni europee indicate nell’Allegato II anteriormente al 13 dicembre 2005, potranno beneficiare della cosiddetta “grandfather clauses” contenuta nell’art. 6/2, ovvero potranno indicare il termine sull’etichetta di vini non originari europei.
L’obiettivo, sostenuto dal Parlamento Europeo, è quello di estendere il riconoscimento di queste denominazioni affinché siano tutelate sul mercato americano tutte le indicazioni di origine europee225.
222 ZACHER, op. cit., 186.
223 FERRARI, op. et loc. ult. cit. 224 Ibid.
225 Su molti punti il Parlamento Europeo ha espresso le proprie perplessità riguardo ai contenuti raggiunti nell’Accordo, riconoscendone l’inadeguatezza e l’insufficienza rispetto alle attese dei produttori comunitari. Si teme che una presa di posizione simile abbassi gli standard normativi di tutela delle indicazioni geografiche creando così un precedente significativo per la clausola della nazione più favorita vanificando i numerosi sforzi compiuti dall’Europa a livello internazionale ed indebolendo conseguentemente la sua posizione.
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