CAPITOLO III LO SCENARIO ITALIANO
3.3. Il rapporto tra le indicazioni geografiche e i marchi commercial
L’attenzione del mercato verso i segni distintivi è fondata principalmente sull’importanza della collocazione territoriale di una
“determinata organizzazione imprenditoriale o di una specifica unità di luogo”283. La
globalizzazione ha determinato la necessità di riportare al centro l’origine, al fine di ottenere il riconoscimento del prodotto dai consumatori. Le strategie aziendali combinano, nelle politiche di promozione del prodotto, le denominazioni di origine con i propri segni distintivi per raggiungere risultati diversi e complementari284. Il beneficio per l’imprenditore, e ciò si
manifesta con maggior evidenza nel settore vitivinicolo, trae vantaggio dalla promozione collettiva e contestuale dell’indicazione geografica comune a più imprenditori, dal marchio collettivo e dal marchio individuale, i quali proiettano sul singolo la garanzia sia di autenticità del prodotto rispetto ad un disciplinare sia di appartenenza del singolo ad una collettività di operatori dotati di standard minimi di qualità e la capacità distintiva sul mercato285.
Il marchio individuale e più in generale i marchi e gli altri segni distintivi dell’impresa sono regolati dal Codice della proprietà
282 A.G.C.M. AS535 – Regolamentazione in materia di certificazione delle partite di vino destinate ad ottenere la denominazione di origine controllata e garantita (D.O.C. e D.O.C.G.), in Bollettino n. 22
del 22 giungo 2009. La segnalazione operata dall’Autorità evidenzia come l’obbligo dettato dalla normativa precedente contrasti con i principi di tutela della concorrenza e di libertà di accesso ai mercati, in quanto “impedisce ai produttori vinicoli di selezionare liberamente e sull’intero territorio nazionale il laboratorio di analisi enologiche e a questi ultimi, dall’altro, di accedere al mercato delle certificazione enologiche”.
283 MASINI, 202. 284 Id., 204.
285 Per una lettura più approfondita si veda MASI P., Il marchio collettivo, in Commento tematico della legge marchi, a cura di MARASÀ G., MASI P., OLIVIERI G., SPADA P.,
SPOLIDORO M. S., RICHTER M. S., Giappichelli, Torino, 1998, 71, in MASINI, op.
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industriale286. La disciplina comprende, per quanto interessa alla presente
analisi, anche le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche287. Il primo segno identificativo dell’imprenditore e dei suoi prodotti sul mercato è rappresentato dal marchio individuale, il quale permette una facile riconoscibilità e una rapida associazione del prodotto-produttore. Come Floridia evidenzia, il marchio non “garantisce affatto che il prodotto abbia
le stesse caratteristiche che hanno fatto positiva la precedente esperienza di consumo, né che le promesse ricevute siano mantenute, e cioè trovino corrispondenza nelle reali caratteristiche del prodotto”288.
La garanzia insita nel marchio, in una lettura incentrata sull’agroalimentare, non rileva ai fini della rassicurazione del consumatore circa l’origine territoriale o della qualità, quanto alla provenienza da una determinata realtà imprenditoriale289.
La registrazione del marchio è subordinata alla rispetto dei requisiti di novità e di capacità distintiva.
Il Tribunale di Bari si è pronunciato sulla tutelabilità di un marchio d’impresa contenente un’indicazione geografica, nel caso di specie “Le Terre di Federico”290. La necessità di regolare una simile evenienza è diretta ad evitare facili confusioni tra i consumatori e che terzi possano
“trarre indebito profitto dalla nomea di alcune località rispetto a prodotti particolari e/o tipici”291. Il marchio in questione, pur non facendo riferimento ad un’unità
amministrativa definita e attuale, richiamava territori storici noti. La storicità non è considerata dalla giurisprudenza come elemento essenziale
286 D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 "Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273" G.U. n. 52 del 4 marzo 2005 - Supplemento Ordinario n. 28.
287 “Sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico d'origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione.” (art. 29).
288 FLORIDIA, I marchi di qualità, le denominazioni di origine e le qualificazioni merceologiche nel settore alimentare, in Riv. dir. ind., 1990, I, 7, in MASINI, op. cit., 205.
289 MASINI, op. cit., 205.
290 Ord. Trib. Bari del 18 maggio 2006, in Foro It., 2006, 9, 1, 2556.
291 DI SALVATORE G., Sui limiti posti alla tutela del nome geografico come marchio di impresa, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2007, fasc. 4
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per qualificare il collegamento tra indicazione geografica e un determinato prodotto292.
La capacità del marchio di distinguere i prodotti di un’impresa da quelli di un’altra è elemento essenziale che contrasta con il carattere comune a più produttori dell’indicazione geografica. Il marchio geografico individuale può assumere capacità distintiva quando il suo utilizzo si sia protratto nel tempo ad opera del suo titolare (art. 13/2 c.p.i.), in deroga al più generico divieto di registrazione “come marchio d’impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare quelli costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare […] la provenienza geografica” (art. 13/1).
Il legislatore, a fronte della preoccupazione verso un diritto di esclusiva sui segni evocativi nel linguaggio comune, ha inteso tutelare quanti vogliano avvalersene293.
L’idoneità di certi termini ad essere utilizzati collettivamente e ad evocare luoghi determinati, contraddistinti da particolare qualità, natura e origine, favorisce enti, come i Consorzi, che rappresentano una molteplicità di soggetti. Di qui la diretta conseguenza che l’esclusiva non può essere garantita come avviene per il marchio individuale. Il vantaggio di cui gode una singola impresa da un’indicazione geografica soggiace a quello più ampio dell’interesse collettivo294.
La creazione di marchi collettivi viene utilizzata per rafforzare le informazioni riguardanti il prodotto e per agire sull’affidamento del consumatore verso l’associazione o l’ente pubblico che garantisce attraverso di esso. Il marchio collettivo può consistere in “segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi” (art. 11/4). I soggetti che
“svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi”. L’ente svolge un ruolo di mediatore tra il produttore o il
292 Ibid. 293 Ibid. 294 Ibid.
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commerciante che, per utilizzare il marchio deve conformarsi e rispettare certi standard qualitativi iscritti nel regolamento d’uso, e il consumatore finale che “legge” attraverso il marchio le informazioni relative all’origine, alla qualità, alla fonte produttiva garantite dal marchio stesso295.
La normativa ammette una deroga alla registrazione di marchi collettivi contenenti segni che possono designare la provenienza geografica (art. 11/4) fintantoché questi non creino “situazioni di
ingiustificato privilegio” o comunque possano “recare pregiudizio allo sviluppo di analoghe iniziative nella regione”. In altre parole l’appropriazione del nome
geografico e la sua inclusione in un marchio collettivo non può pregiudicare l’utilizzo di terzi nel commercio con funzioni di indicatore di provenienza296.
Accanto ai marchi collettivi privati, la tutela della specificità territoriale e dei prodotti agroalimentari ha indotto le regioni a salvaguardare le tipicità e le differenze locali per competere e promuovere il sistema economico radicato297.
I tratti comuni con l’indicazione geografica sono molteplici: condividono in primis una storia risalente in cui l’accertamento della provenienza da un lato e la “rispondenza a regole tecniche prescritte per la
manifattura e il commercio” dall’altro, garantivano l’acquirente della qualità del
prodotto e il produttore circa la fama acquisita sui mercati esteri298. La
certificazione della qualità consegue all’attestazione dell’ente competente del rispetto del disciplinare e dei dettami in esso contenuti.
Un punto di contatto più significativo è senz’altro la capacità evocativa di entrambe i segni distintivi del nome del territorio di produzione299.
Le divergenze si riscontrano nelle diverse finalità distintive insite nei due segni: da un lato la denominazione di origine qualifica univocamente la località di origine di un prodotto, senza essere in grado di
295 MASINI, op. cit., 217.
296 Ibid. 297 Id., 218.
298 Ibid. Su questo si veda FRANCESCHELLI, Sui marchi d’impresa, Milano, Giuffrè, 1988. 299 Id., 224
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identificare l’impresa da cui proviene il prodotto, dall’altro il marchio collettivo si caratterizza per “la sua qualità di segno distintivo spettante in via esclusiva, in virtù della sua brevettizzazione, ad un centro di imputazione, pubblico o privato, ad iniziativa del quale sorge”300.
Una distinzione ulteriore si riscontra nelle previsioni dettate dagli artt. 12 e 13 del d.lgs 30/05 che definiscono i requisiti per la registrazione del marchio: la novità e la capacità distintiva, elementi indifferenti per le denominazioni, in cui il nome è già diffuso nella prassi commerciale301.
L’iniziativa autonoma dei produttori di una determinata località di costituirsi in consorzio, associazione o ente per la tutela di un’indicazione geografica o della denominazione di origine si intreccia con il successivo intervento normativo concernente il disciplinare di produzione al quale possono assoggettarsi tutti i soggetti operanti all’interno di una zona delimitata ed il cui controllo è posto in capo ad autorità pubbliche302. La
titolarità del marchio collettivo spetta all’associazione, ente o consorzio costituito come soggetto privato che attribuisce agli operatori che ne facciano richiesta sottoponendosi al regolamento d’uso e all’autodisciplina, l’uso del marchio stesso303.
Appare evidente il profilo pubblicistico delle denominazioni, il cui scopo è quello di garantire “il consumatore circa l’origine e qualità del prodotto
acquistato e promuovere condizioni di concorrenza uguali tra i produttori che beneficiano di siffatte denominazioni”, i quali si sottopongono alle medesime regole
oggettive e pubbliche304. Nella sentenza del Tribunale di Saluzzo si legge
che risulta impossibile rivendicare “che l’associazione che procede alla registrazione della DOP, sia “titolare” del diritto di privativa, potendo quindi concedere o negare a proprio piacimento l’uso del marchio DOP a produttori che rispettino il disciplinare comunitario depositato, solo
300 AUTERI, Territorialità del diritto di marchio e circolazione dei prodotti “originali”, Milano, Giuffrè, 1973, 406, in MASINI, op. cit., 225.
301 MASINI, op. et loc. ult. cit. 302 Ibid.
303 Ibid. 304 Ibid.
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perché gli stessi non sono consorziati oppure non rispettano il regolamento consortile dettato a completamento del disciplinare”305.