• Non ci sono risultati.

Le politiche europee a garanzia della costituzione del mercato unico

LO SVILUPPO DELLA NORMATIVA COMUNITARIA NELLA TUTELA DELL’INDICAZIONE GEOGRAFICA

2.1. I primi testi legislativi dopo la nascita del mercato unico europeo

2.1.1. Le politiche europee a garanzia della costituzione del mercato unico

L’analisi dell’attuale situazione normativa riguardante la tutela delle indicazioni geografiche ci mostra come questa non possa prescindere dalla lettura della storia comunitaria.

Le strategie di integrazione avviate con il Trattato che istituiva la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio del 1951, suscitarono tra gli Stati firmatari nuove iniziative legislative volte a promuovere una coesione economica interna più ampia rispetto al settore estrattivo. Nel 1957 fu firmato a Roma il Trattato sulla Comunità Economica Europea96.

L’obiettivo principale, attorno al quale si sviluppò una legislazione puntuale nei diversi settori, molto spesso a seguito degli interventi della Corte di Giustizia, fu quello di costruire un mercato unico che potesse garantire la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali.

L’apertura dei confini nazionali e dei mercati concorrenziali impose all’Unione Europea la fissazione di meccanismi volti ad individuare forme adeguate di tutela del consumatore, mettendo quest’ultimo nelle condizioni di poter compiere le proprie scelte d’acquisto in maniera informata, ricostruendo la sua fiducia sui processi di produzione e distribuzione97.

L’attuazione del principio fondante la libera circolazione delle merci determinò un progressivo annullamento delle normative nazionali

96 ANTONIOLLI L., BENACCHIO G., LAJOLO DI COSSANO F., Lineamenti di diritto dell’Unione Europea, Padova, Cedam, 2005, 6.

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/4156/

40

ostative lo sviluppo del mercato interno, salvo l’esistenza di presupposti imperativi che permettessero, in maniera proporzionata, di porsi a tutela della situazione contingente98.

Deroghe al divieto agli Stati di imporre dazi doganali all’importazione e all’esportazione sono autorizzate quando “motivi di

moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale.” (art. 30 CEE).

La riflessione che si è susseguita sulla tutela della provenienza e della qualità dei prodotti e la libera circolazione delle merci ha alimentato il dibattito giurisprudenziale. La peculiarità di taluni prodotti alimentari, tra cui il vino, e delle norme che li regolano si pongono in molti casi in contrasto con la libertà di circolazione delle merci promossa dal legislatore e dalla Corte di Giustizia. A titolo puramente esemplificativo i disciplinari di produzione sottopongono il prodotto a specifiche norme e controlli, i quali si distinguono da altri dello stesso genere e facilmente individuabili per le denominazioni d’origine99.

Nella sua riflessione, Lucifero evidenzia come sia “ragionevole

ipotizzare che gli obblighi imposti dalla normativa sulle denominazioni di origine alle fasi di produzione e di confezionamento, non contrastano con la circolazione del prodotto bensì pongono un limite normativo all’uso del segno DOP” 100. I due interessi sono

posti sullo stesso piano giuridico, ma si evidenzia come l’elemento che tende a prevalere nelle esperienze legislative comunitarie è quello territoriale, riguardo l’origine dei prodotti agroalimentari, creando un canale parallelo rispetto agli altri prodotti, sia dal punto di vista della produzione che della commercializzazione101.

98 Id., 3.

99 LUCIFERO N., La libera circolazione dei prodotti agro-alimentari nell’Unione Europea. Norme tecniche, regole del mercato e tutela degli interessi, in Rivista di diritto agrario, fasc. 3, 2008, 400. 100 Ibid. Sulla stessa posizione VENTURA S., Protezione delle denominazioni d’origine e libera circolazione delle merci. osservatorio in margine alle sentenze della Corte di Giustizia del 20 maggio 2003 nei procedimenti C-469/00 e C-108/01, in Dir. Com. e degli Scambi Int., 2003, 334. 101 LUCIFERO, op. cit., 401.

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/4156/

41

Le indicazioni geografiche attribuivano un diritto di monopolio dei produttori locali e quindi potevano rappresentare un’ideale barriera alla libera circolazione delle merci.

A fronte di una scarsa attenzione alla tutela delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche alle origini della Comunità, Stati come la Francia e l’Italia, forti di una lunga tradizione normativa a tutela delle produzioni di qualità, hanno ispirato la disciplina dell’Unione Europea102.

Le possibili soluzioni adottabili per superare i divari tra le legislazioni degli Stati membri e per gettare le fondamenta di un approccio comunitario alle indicazioni geografiche erano sostanzialmente tre. In primo luogo, la Comunità Europea poteva cercare di armonizzare le legislazioni nazionali. Il secondo strumento con cui l’Europa poteva governare le indicazioni era rappresentato dal regolamento. La terza via, per conciliare il principio di libera circolazione delle merci con le indicazioni geografiche, fu individuata dalla Corte di Giustizia sviluppando una cospicua giurisprudenza sugli articoli 28 e 30 del Trattato CE.

I diversi approcci normativi alla materia agroalimentare, dalla produzione all’etichettatura, dal confezionamento alla denominazione, hanno causato numerose controversie103. La definizione di caratteristiche

qualitative omogenee richiedeva uno sforzo legislativo volto ad armonizzare le diverse discipline esistenti che costituivano ostacoli alla libera circolazione delle merci104.

Le prime iniziative si concentrarono sull’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione e sulla rimozione delle barriere distorsive, adottando di volta in volta una direttiva per ogni specifico prodotto105. Il limite di questa soluzione era rappresentato dall’applicazione dell’art. 100 CEE il quale, dinnanzi a casi di armonizzazione delle normative nazionali, prevedeva il voto unanime di tutti gli Stati membri106. Nel settore

102 CAPELLI F., KLAUS B., La tutela delle indicazioni geografiche nell'ordinamento comunitario ed in quello internazionale, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2004, fasc. 1, 403. 103 Ibid.

104 Id., 404.

105 MASINI, op. cit., 25. CAPELLI, KLAUS, op. et loc. ult. cit. 106 Ibid.

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/4156/

42

dell’agroalimentare solamente alcuni prodotti sono stati assoggettati a queste direttive verticali, mentre per la maggior parte di questi la legislazione applicabile restava quella del Paese di destinazione107.

La disciplina di queste direttive regolava il prodotto dalla fase della produzione alla commercializzazione e le indicazioni geografiche rappresentavano unicamente un aspetto.

La strategia definita dalla Commissione, risultato di un lungo processo di evoluzione legislativa, contiene l’intento di superare questa situazione frammentaria di norme nei diversi settori “per raggiungere un

quadro completo e armonizzato tra le diverse discipline che regolano l’etichettatura dei prodotti di qualità e delle indicazioni che ne permettono il riconoscimento.” 108.

La normativa dello Stato di destinazione trovava applicazione in caso di lacuna nelle norme comunitarie sulla fabbricazione, composizione e presentazione dei prodotti, con il limite dell’applicazione del principio del mutuo riconoscimento: doveva infatti ammettere la commercializzazione sul proprio territorio dei prodotti legittimamente fabbricati negli altri Stati109.

Con la direttiva relativa alla soppressione delle misure d’effetto equivalente alle restrizioni quantitative, sono colpite le misure che favoriscono i prodotti nazionali o che ne accordano una preferenza rispetto a quelli stranieri. In accordo con l’art. 2/3/s queste misure restrittive comprendono anche quelle che “riservano ai soli prodotti nazionali

denominazioni che non costituiscono una denominazione di origine o un’indicazione di provenienza” 110. Questa previsione proibisce l’emanazione di provvedimenti

nazionali che riservino l’uso esclusivo ai prodotti locali di indicazioni immaginarie o generiche che non siano indicazioni geografiche.

La direttiva concernente la pubblicità ingannevole e comparativa indica quali elementi devono essere individuati per determinare se la

107 Id., 405.

108 Comunicazione Commissione CEE (89/271/03) sulla libera circolazione dei prodotti alimentari all’interno della Comunità.

109 MASINI, op. cit., 27.

110 Direttiva 70/50/CE della Commissione del 22 dicembre 1969 che trova la sua fonte normativa nel disposto dell’art. 33 paragrafo 7, del Trattato, relativa alla soppressione delle misure d’effetto equivalente a restrizioni quantitative non contemplate da altre disposizioni prese in virtù del Trattato CEE, GU n. L 013, 19/01/1970.

This paper is published in the

Trento Law and Technology Research Group - Student Paper Series Electronic copy available at: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/4156/

43

pubblicità è ingannevole, in particolare deve essere tenuto conto di diverse informazioni tra le quali “l’origine geografica o commerciale o i risultati che si

possono attendere dal loro uso” (art. 3/1/a)111. La pubblicità comparativa è

ritenuta lecita qualora si riferisca, in caso di prodotti recanti denominazioni d’origine, a prodotti aventi la stessa denominazione (art. 4/1/e).

Anche la legislazione sul marchi commerciali contiene delle disposizioni dirette a proteggere le indicazioni geografiche: costituiscono motivo di impedimento o di nullità alla registrazione (c) “i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare […] la provenienza geografica” e quelli (f) “che sono di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio” (art. 3/1)112. Il diritto conferito con il marchio d’impresa non può

escludere terzi dall’usare commercialmente indicazioni relative alla provenienza geografica del prodotto, purché “l’uso sia conforme agli usi

consueti di lealtà in campo industriale”. (art. 6/1)

2.1.2. La creazione dell’Organizzazione Comune del Mercato: