1. IL CENTROAMERICA CONTEMPORANEO
1.3 UNA NUOVA SOCIETA’
1.3.1 L’INCERTEZZA CONTEMPORANEA
Il tratto più significativo che caratterizzò l’intero sottocontinente latinoamericano dal secondo quarto del XX secolo in poi fu uno spiccato carattere oscillatorio caratterizzato dall’alternanza di momenti di forte partecipazione internazionale ad altri di altrettanto forte chiusura in senso nazionalista, con punte di estremizzazione degli ideali politici e dei modelli culturali. Questa oscillazione rappresentò l’espressione di una tensione critica tra isolazionismo e mondializzazione e le cui radici possono essere rintracciate nel tardo XIX secolo.
Nel periodo tra i due conflitti mondiali continuò a perpetrarsi il pregiudizio di lunga tradizione che voleva gli attori latinoamericani come essenzialmente incapaci a livello politico su uno scenario internazionale, contribuendo a generare un’ostilità forte e diffusa nei confronti dello stesso ordine internazionale, visibile nella trasformazione del concetto di nazione sfociata nell’elaborazione di un’idea dagli ampi tratti nazionalistici sia difensivi che aggressivi. Il meccanismo dell’equilibrio internazionale certo non aiutò in tale
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Araujo nei suoi due anni di presidenza tra 1911 e 1913 tentò di invertire la tendenza nazionale a diventare un estado cafetalero e venne per questo deposto da un golpe militare.
70 Da ivi, pagg. 295 – 301 e Monica Morazzoni, Geopolitica dell’America Centrale, Archetipolibri, Padova, 2010, pagg. 56 - 57
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senso: dopo la fine della Prima Guerra Mondiale si instaurò un nuovo ordine coloniale imperialista71 in cui ogni paese venne inserito in una delle tre “classi di arretratezza” concepite per inquadrare le condizioni socio-politiche dei soggetti neocoloniali72 ed elevando la conflittualità a status di normale e generale relazione interstatale, condizione che resisterà per buona parte del XX secolo. In questo contesto di tensione e di disequilibrio l’acceso nazionalismo latinoamericano divenne un vettore di connessione tra scenario nazionale ed internazionale presentando una configurazione unica, del tutto aderente alla realtà da cui emerse: la maturità latinoamericana si dimostrò nel rifiuto delle diffuse e semplicistiche ideologie contrapposte del liberalismo angloamericano e del socialismo sovietico, così anche come delle volontà corporative ed autoritarie nazi-fasciste. A differenza di molte altre aree del mondo, le idee nazionaliste latinoamericane non presero vita dalle rivolte coloniali, ma nacquero dall’idea della “comunità d’interessi” materializzata nella difesa di una sovranità nazionale, giustificazione alle azioni di coesione interna e di rafforzamento del proprio peso a livello internazionale in un contesto di forte delusione da parte delle repubbliche centro e sudamericane: l’esito delle trattative di Versailles ed il progetto wilsoniano di un mondo a misura statunitense, maturo per la democrazia ed il cui presupposto doveva essere la supposta e naturale adesione di tutti i popoli, produsse un progressivo abbandono della via diplomatica con il grande vicino nordamericano mentre le ideologie su cui i due fronti basavano la propria azione politica venivano radicalizzate73. I vari paesi si assestarono quindi su posizioni del tutto differenti ed il dissidio che si venne a creare sarebbe perdurato fino alla fine del secolo; intanto, in uno scenario caratterizzato dall’emergere di spinte totalitarie in Europa, dalla Grande Depressione conseguente alla crisi dell’ottobre 1929, della persistenza del criterio della
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Conseguentemente alla Pace di Versailles del 1919 ed alle decisioni prese in tale sede dalle potenze mondiali.
72 I paesi definiti come arretrati vennero divisi in tre classi (A, B e C) a seconda della loro
corrispondenza e vicinanza alle caratteristiche associate con lo status di “potenza” e con i fattori ritenuti necessari per parlare di civiltà compiutamente sviluppata (Marcello Carmagnani, L’Altro
Occidente, Einaudi, Torino, 2003, pagg. 304 – 305)
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Gli Stati Uniti, con il corollario Roosevelt alla dottrina Monroe, fecero del periodo 1898 – 1933 una vera e propria escalation di interventi militari in America Latina a protezione dei propri interessi economici ed a tutela della stabilità politica necessaria al mantenimento degli stessi; dall’altra parte i paesi latinoamericani, già dagli anni ’60 dell’Ottocento, optarono per l’adozione delle dottrine di Carlos Calvo (assenza di qualsiasi diritto extraterritoriale) e di Luis Drago
(negazione dell’utilizzo della forza armata per il recupero di crediti concessi ad un paese straniero e sovrano).
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potenza militare e del controllo economico venne elaborato un nuovo orientamento tenendo conto anche delle evoluzioni che si andavano delineando nei rapporti con gli Stati Uniti che, dopo il fallimento nel tentativo di creare una sfera d’influenza e colpiti dalla grossa crisi all’alba degli anni ’30, riformarono la propria politica estera avviandola sulla strada del “buon vicinato” promossa da Franklin Delano Roosevelt. Paradossalmente le aperture concesse da questa nuova impostazione della politica estera ed il parziale ritiro dalla scena nazionale latinoamericana della componente statunitense lasciò dei vuoti di potere all’interno delle amministrazioni statali che vennero colmati dalle fazioni politiche che in quegli stessi anni guardavano alle varie correnti politiche mondiali che esprimevano forti valori di nazionalismo.
Sulla base di questo complicato intreccio di ideologie politiche, elementi e modelli culturali, situazioni economiche e tendenze interne ed esterne prese avvio il primo periodo populista centroamericano caratterizzato dalle figure dei grandi dittatori. Jorge Ubico in Guatemala, Tiburcio Carias Andino in Honduras, Rafel Leonida Trujillo in Repubblica Dominicana, Fulgencio Batista a Cuba e Anastasio Somoza in Nicaragua furono le personalità che diedero nuova e definitiva connotazione al termine caudillo, tra l’altro del tutto impropriamente: la vecchia idea del caudillo veniva abbandonata in favore di quella di un dittatore di orientamento non sempre specificato, ma senz’altro sostenitore di una pratica politica improntata al populismo riequilibrata, dall’altro lato, con la tendenza a considerare lo stato come un proprio personale possedimento da mettere a disposizione degli interessi stranieri, spesso garanti per la stabilità del regime, e da spartire con le oligarchie nazionali in cambio di appoggio ed approvazione74. La situazione così creata, nonostante la potenziale instabilità interna, diede una parvenza di solidità ad un contesto perennemente fluido e solo in concomitanza con la conclusione del secondo conflitto mondiale iniziarono a diffondersi la necessità di una ventata di novità nella stagione politica contemporanea centroamericana.
Di nuovo, come accaduto in precedenza, l’azione politica e la volontà di cambiamento passò attraverso l’azione della classe militare e, sulla scia dell’ondata che attraversò l’istmo partendo da El Salvador trent’anni prima, fu la svolta impressa al contesto guatemalteco con la Rivoluzione d’Ottobre del 1944 a
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condurre l’intera area verso una nuova stagione politica75. Il potere rimaneva ancora legato alla classe militare, ma iniziava a diffondersi nella regione istmica una nuova ideologia politica, frutto di una riapertura al contesto internazionale ed alle sue influenze.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale sembrò infatti aprirsi la possibilità di un nuovo posizionamento per i paesi latinoamericani grazie alla creazione dei nuovi organismi multilaterali internazionali in funzione di rappresentanza politica e sostegno economico76. La partecipazione dei paesi del sottocontinente a queste nuove istituzioni, anche se non realmente subordinata, finì con l’essere fortemente influenzata dalle volontà nordamericane grazie ai forti legami che si crearono tra le amministrazioni nazionali degli stati centro e sudamericani e le nuove istituzioni finanziare nate dagli accordi di Bretton Woods77 che utilizzarono il credito come nuova arma per la creazione di vincoli di dipendenza e prerogative sulla direzione della politica interna centroamericana. Mentre gli Stati Uniti configuravano il proprio operato estero grazie alle possibilità fornite da questi nuovi strumenti finanziari apparentemente multilaterali, nelle zone centroamericane si faceva largo una diffusa intolleranza, come già accennato, verso le forme di governo autoritario e verso l’ingerenza straniera nelle questioni interne, tratti che spesso si sovrapponevano per incontrare le necessità di entrambe le parti. Il nuovo sentimento si manifestò con l’adozione, da parte dei nuovi governi, di atteggiamenti riformisti mentre una buona parte della componente sociale virava verso nuovi modelli basati su elementi culturali di una dinamicità del tutto insolita. La complessa articolazione del panorama culturale centroamericano di metà secolo non venne adeguatamente compresa dal contesto internazionale, saldamente ancorato su considerazioni ormai passate che non attribuivano a tali società alcuna capacità di produzione concettuale. Questa situazione generò nuove tensioni che si espressero a partire dagli anni
75 Nel giugno del 1944 una coalizione formata da alcuni componenti della classe militare e da gruppi studenteschi nazionali, integrata in pochi giorni da una consistente parte della
popolazione urbana e rurale, costrinse Ubico a ritirarsi dalla scena politica cedendo il potere ad una junta guidata da Federico Ponce Vaides; il governo insoddisfacente e tirannico provocò il sollevamento delle fasce più basse e di una ristretta fazione militare che riuscirono a deporre la
junta. Con le elezioni del dicembre 1944 si aprì il periodo della prima presidenza rivoluzionaria
sotto al guida di Juán José Arévalo (http://shr.aaas.org/guatemala/ciidh/org_rep/) 76
Ci si riferisce alla nascita dell’ONU, del FMI e della BM. 77
Il maggior peso degli Stati Uniti negli organi decisionali di FMI e BM appare chiaro dalla ripartizione delle quote e dei voti destinati agli stati membri: gli USA detengono circa il 20% della percentuale del voto.
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’50 in diverso modo: gli Stati Uniti, forti delle nuove prerogative ottenute nelle sedi istituzionali internazionali ed emisferiche78 iniziarono a rimodellare la propria azione politica estera nell’ottica di un progressivo soffocamento di tali tendenze, arrivando a diversi punti di rottura, prima in Guatemala e, pochi anni dopo, a Cuba, con esiti del tutto imprevisti. Gli stati centroamericani, infatti, nonostante la partecipazione al concerto occidentale nel periodo di massima tensione tra il gigante americano e quello sovietico, si distanziarono da una semplicistica accettazione di ideologie esterne e di partecipazione ad un ordine imposto, manifestando un forte nazionalismo, elaborando nuovi modelli di reazione a partire da nuovi presupposti e riacquisendo importanti tratti socio- culturali derivanti dall’interno come segno di opposizione al processo in atto79.