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3. LO SCENARIO INTERNO: APERTURE ED OPPOSIZIONI

3.3 VERSO LA CONTEMPORANEITA’

3.3.3 LE DUE SOCIETA’: DIALETTICA O DUALISMO

I governi liberali che salirono al potere in tutti gli stati della regione centroamericana a cavallo tra XIX e XX secolo non tennero in alcun conto le posizioni ambigue ed indecise espresse dalla componente indigena: le politiche di rapida trasformazione delle economie nazionali di Messico, Guatemala, Salvador, Honduras, come visto anche dagli esempi portati nel primo capitolo, costrinsero la popolazione indigena centroamericana a rinunciare progressivamente ai propri diritti che si erano lentamente affermati nel corso dei secoli della dominazione spagnola e che, in ogni caso, non venivano rimpiazzati

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V Congreso Centroamericano de Historia, “Estados nacionales y identitad etnica”, Instituo de Estudios históricos, antropológicos y arqueológicos de la Universidad de El Salvador, 2000, pagg. 1 – 6

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in alcun modo da nuove garanzie da parte dello stato liberale. Non solo il legame con la terra, tanto significativo, venne spezzato a causa delle vendite delle terre comuni e dei processi di migrazione forzata, ma si tentò di assimilare la componente indigena all’interno della nuova cultura capitalista che andava allora emergendo, eliminando le possibili sacche di opposizione ideologica.

Il processo non si rivelò così agevole, né i risultati così scontati come molti erano disposti a credere. Alla fine del XIX secolo diversi paesi centroamericani ufficialmente riuscirono nell’impresa di distruggere la lunga tradizione culturale indigena e di alterarne i modelli culturali, ritenendo che tali fattori impedissero di esprimere il vero potenziale produttivo di un’economia la cui modernità si esprimeva in senso opposto ai valori veicolati dalla comunità indigena autonoma. Tuttavia, anche se si riuscì a disarticolare e minare il sistema sociale indigeno, non si riuscì a cancellare la mentalità e la potenza di una cultura che si rinnovava da secoli né a scardinare l’unione etnica: la distruzione dei limiti ideali del proprio diritto sulla terra permise ai Maya di iniziare a considerare l’intero paese come tierra comun e, nel proprio ruolo di intrusos, di iniziare nuove forme di residenza e di socialità vissute spesso come una sfida all’ordine imposto; le nuove leggi emanate trasformavano la posizione di quello che prima era stato il libero campesiño maya in un jornalero, un arrendatario, un mozón, posizioni spesso ritenute inaccettabili e rifiutate, atto che portava al perseguimento da parte delle diffuse milizie rurali, pubbliche e private, e che contribuì a creare le basi per una contrapposizione di fondo ed una polarizzazione tra le volontà dei finqueros, espressione dello stato moderno che avanzava, e delle comunità locali, rimanenze di un tradizionalismo che pesava sul progresso317. La diffusione di queste situazioni di scontro e contrapposizione passò, nel corso di breve tempo, dall’essere vista come un conflitto locale diffuso in modo capillare in molti stati istmici a forte componente etnica indigena al divenire, all’interno delle opinioni dei governi liberali e delle oligarchie nazionali, la causa principale dell’impossibilità nel perseguire la via dello sviluppo. Ancora all’alba del XX secolo crebbe, attorno a quest’argomento, un’aggressiva analisi sociale che determinò i successivi sviluppi della concezione del ruolo della componente amerindia nel processo storico contemporaneo.

La realtà estremamente complessa delle società centroamericane e dei loro sistemi culturali, ed in generale quella dei contesti latinoamericani in toto, è stata

317 David Browning, El Salvador, la tierra y el hombre, Dirección de Publicaciones e Impresos CONCULTURA, San Salvador, 1998, pagg. 348 – 362

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spesso ignorata e trascurata preferendo riconoscere all’interno dei diversi contesti in questione una contrapposizione tra due distinte forme societarie dando vita a quella particolare condizione di dualismo che secondo un’opinione diffusa caratterizza le società latinoamericane; non diverse posizioni all’interno dello stesso sistema sociale, dunque, ma un vero e proprio confronto in senso oppositivo di due o più realtà, diverse tra loro ed arroccate su differenti posizioni318. Il motivo del successo di questa visione è la semplicità che una tale configurazione permette nello spiegare la situazione di sottosviluppo comune alle esperienze centroamericane: la permanenza di un nucleo sociale “tradizionale”, orbitante intorno ad elementi considerati contrari allo sviluppo, impedisce una diffusione organica dei processi necessari ad indirizzare l’intera società verso un presunto stadio successivo di evoluzione e permette, al contrario, soltanto la creazione di una sorta di enclave sviluppata e di dimensioni variabili, ma generalmente ridotte, che si trova ad essere diametralmente opposta e del tutto disgiunta dalla maggior parte della realtà sociale del paese, assolutamente inadatta a procedere sulla via dello sviluppo.

Le società centroamericane troppo spesso sono state e vengono ancora considerate come società dualistiche, analizzate ed osservate con gli occhi di una vera e propria sociologia del sottosviluppo che, seppure nelle sue diverse varianti319, utilizza sempre gli stessi presupposti di base: il sottosviluppo è uno stadio originario e gli indici che lo caratterizzano sono parte integrante della tradizione locale. Le diverse teorie costruiscono poi, al di sopra di tale solida posizione di partenza, diverse strutture esplicative per l’attuale articolazione sociale: le variabili proposte da Parsons obbligano gli attori sociale a compiere scelte polarizzate attribuendo il diverso percorso societario a precise volontà e decisioni320; il riferimento alle categorie dell’attribuzione e della realizzazione spinge Hoselitz a connotare il sottosviluppo come la naturale conseguenza della

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Andre Gunder Frank, America Latina: sottosviluppo o rivoluzione, Einaudi, Torino, 1971, pagg. 265 – 270

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Le varianti a cui ci si riferisce sono i metodi riassunti da Manning Nash con cui sono state osservate le questioni relative al mutamento sociale nei paesi latinoamericani: la metodologia del

gap approach, nelle sue varianti delle variabili strutturali di Hoselitz, degli stadi storici di Rostow e

delle varaibili storiche di Gerschenkron, risalente alle elaborazioni di Talcott Parsons, l’approccio diffusionista e quello psicologico (Da Ivi, pagg. 41 – 100)

320 Parsons propone cinque coppie di variabili, divise in strette dicotomie, la cui assunzione determina la successiva evoluzione: le variabili che caratterizzano i paesi già sviluppati sono l’universalismo, l’orientamento in vista della realizzazione, la specificità funzionale; il

sottosviluppo è generato invece dall’applicazione degli opposti valori di particolarismo, decisione per attribuzione, diffusione funzionale (da Ivi, pagg. 46 – 47)

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permanenza di un attaccamento a valori tradizionali321; il sottosviluppo diventa uno stadio storico che, nel procedere dei diversi stadi teorizzato da Rostow, ha caratterizzato anche l’evoluzione degli attuali paesi sviluppati che hanno volontariamente deciso di progredire, contrariamente alle volontà di isolazionismo ed esclusione degli attuali paesi sottosviluppati322. Dello stesso, semplicistico stampo sono le considerazioni che vengono effettuate all’interno degli approcci analitici che si basano non su variabili di scelta, ma di coinvolgimento ed esclusione da determinati processi: l’approccio diffusionista afferma la consequenzialità del processo sviluppista rispetto alla diffusione di determinati parametri culturali, definendo il sottosviluppo come la permanenza di una condizione originaria di presenza di un insieme di ostacoli culturali, mentre l’approccio psicologico, derivante direttamente dal pensiero weberiano e dalle ricette squisitamente religiose e psicologiche per lo sviluppo di McLelland, promuove come essenziale una riforma del concetto della vita e della persona, eliminando qualsiasi fattore di stampo non culturale323.

Le manchevolezze di tali teorie sono evidenti: si nega, innanzitutto, la realtà interconnessa dei destini delle due diverse classi di società, isolando le società sottosviluppate dal contesto in cui effettivamente si trovano a dover agire ed attribuendo loro volontà di esclusione che esse non manifestano; non si considerano i processi storici che sono stati messi in atto, eliminando in questo modo le cause all’origine di una tale articolazione attuale di partenza; non si considerano tutte le variabili nella loro totalità, ma ci si ferma ad un’esaltazione di alcune variabili culturali da una parte, ad un’accusa di presunti tradizionalismi dall’altra e si dimenticano i fattori materiali che hanno permesso di realizzare un tale sistema.

Di fatto, tutte le teorie di analisi sul mutamento sociale latinoamericano portano ad una stessa conclusione: la limitata attuazione dei processi di sviluppo, conseguenza di una precisa volontà di stasi espressa dagli attori americani, ha portato nei vari paesi alla formazione di due distinte e contrapposte formazioni sociali, separate dai diversi contesti delle realtà urbane e metropolitane da una

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Hoselitz sostiene fortemente che la classe dirigente che ha attraversato e detenuto le redini del potere nella contemporaneità (sequenze di dittatori militari e deboli oligarchie) abbia avuto la strada spianata da una sorta di magico fascino sul popolo, derivante da retaggi culturali

tradizionali; in poche parole, ci si basa su caratteristiche attributive per la definizione dei ruoli di potere (da Ivi, pagg. 51 – 54)

322 Da Ivi, pagg. 61 – 62 323

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parte e delle realtà rurali e comunitarie dall’altra; non solo, ma a quest’ultima componente vengono attribuite volontà isolazioniste che, se anche a volte sono state in qualche modo espresse, di certo non si sono mai realizzate, essendo tali realtà essenziali nel complesso sistema dello sviluppo; quella che si realizza è così una società dialettica sì, ma certamente non dualistica, in cui i rapporti tra le due diverse componenti, peraltro non scindibili così chiaramente, sono problematici e originali.

In un’analisi di questo tipo, diffusa e considerata fin troppo spesso come aderente al reale, gli elementi di resistenza ad una eventuale evoluzione sulla via dello sviluppo sono spesso identificati con le componenti indigene della società: sono quindi le popolazioni amerindie, secondo molti osservatori, a formare gran parte di quel blocco tradizionalista che si oppone in modo dicotomico all’altra realtà sociale presente, quella di matrice occidentale.

La realtà dei rapporti della componente amerindia con le società contemporanee appare tuttavia molto diversa agli occhi di un’analisi più meticolosa e correttamente indirizzata e, soprattutto nel lungo periodo ed a ridosso dei nostri giorni, rivela tutta la sua bontà.

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