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2. IL CONTESTO EMISFERICO: CONFLITTI E DIPENDENZE

2.3 VERSO UN NUOVO PARADIGMA

2.3.5 LA TERZA CONQUISTA

Nonostante le aspirazioni marcatamente attiviste e militanti che guidarono le due amministrazioni Reagan fino all’alba degli anni ’90, la nuova modalità di incorporazione delle repubbliche dell’istmo nella sfera d’influenza statunitense non derivò dallo stillicidio militare delle guerriglie e delle contras ne dall’azione di difesa degli interessi economici portata avanti dall’azione della sfera pubblica e privata. Le possibilità di azione diretta che avevano guidato le precedenti due

239 Nel 1983 venne formata la IDU (International Democrat Union), una sorta di “Internazionale democratica” delle destre conservatrici cristiane sulla falsariga delle varie “Internazionali comuniste” per la diffusione e condivisione delle ideologie, il mutuo supporto, la formazione di accordi bilaterali volti ad appoggiare progetti condivisi tra i rappresentanti (Da

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conquiste dell’America Latina non erano assolutamente riproducibili in un contesto contemporaneo, complesso ed interrelato, che contava una pluralità di attori ed interessi ed una coscienza politica sveglia e percettiva.

Ancora a partire dagli anni ’30 le amministrazioni USA iniziarono a rendersi conto che le crisi cicliche e sempre più significative in paesi come Messico, Repubblica Dominicana, Nicaragua, dovute alle eccessive liberalizzazioni dei mercati e ad una penetrazione che non lasciava respiro all’economia nazionale, furono parte delle cause che portarono ad eventi come la Rivoluzione Messicana negli anni ’10 del XX secolo e quella sandinista in Nicaragua negli anni ’20 ed iniziarono ad accettare l’idea che un’economia posta sotto controllo nazionale fosse possibile, se non auspicabile, per garantire una stabilità diplomatica ancora mai realizzata. Il concetto di stabilità andò sempre più legandosi a quello di sviluppo economico, ma sull’onda dell’equilibrio della Guerra Fredda si iniziò a spingere sempre più per uno sviluppo inteso in chiave strettamente capitalista che, con i suoi effetti in termini di benessere, avrebbe definitivamente allontanato lo spettro rosso. Fu il presidente Truman, in un discorso ormai celebre tenuto il 20 gennaio 1949, ad elaborare il concetto-cerniera di sottosviluppo e ad imprimere, per la prima volta, un unico senso di marcia alla storia mondiale, quello verso lo sviluppo in senso americano240 che, all’interno dell’emisfero, acquisiva una valenza preventiva nel contesto del confronto bipolare. Proprio a partire dagli anni ’60, soprattutto in seguito agli eventi degli ultimi anni del decennio precedente, l’America Centrale e Meridionale iniziò a diventare un luogo sempre più importante in tale senso241.

Tuttavia, nonostante le aspirazioni manifestate dai vari piani progettati e fino alla presidenza di Carter, i programmi di riforme condivisi messi in atto furono sempre più improntati al ritorno ad un capitalismo grezzo McKinley-style, rinnegando gli scarsi progressi fatti sulla strada della collaborazione multilaterale. Questa trasformazione si completò sotto le presidenze repubblicane degli anni ’80, Reagan e Bush, ma si può dire che il momento

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Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario

economico alla costruzione di una società alternativa, Bollati Boringhieri, Torino, 2005, pag. 17

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Esempi sono il particolare caso dell’Inter-American Development Bank, unica delle grandi istituzioni multilaterali riguardanti le Americhe che non riservava un ruolo preminente agli Stati Uniti in termini decisionali e i grandi esborsi conseguenti all’attivazione dell’Alliance For Progress kennedyana, circa 10 miliardi di dollari (Da Duccio Basosi, “Anticipazioni di un mondo unipolare?

L’amministrazione Reagan e la crisi del debito estero latinoamericano, 1981 – 1983”, in Cricco,

Guasconi Napolitano, L’America Latina tra Guerra Fredda e globalizzazione, Polistampa, Firenze, 2010, pagg. 135 – 137)

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definitivo di svolta verso un tale approccio sia stata la situazione cilena a metà anni ’70242.

Da tale esperienza nacque l’idea che ad una adeguata penetrazione di mercato si dovesse accompagnare una forte componente di utilizzo della forza militare, ma la rivoluzione culturale a cui Milton Friedman diede vita con il suo famoso discorso “The fragility of Freedom” fu di portata molto più ampia: Friedman contribuì a realizzare una nuova idea di libertà che, lontana dall’ideale postbellico che considerava la libertà legata ad una condizione di accesso e partecipazione di tipo individuale ai processi sociali, si realizzava, invece, come parte di una condizione economica generale e comune, di calibro nazionale ed oltre, che veniva indebolita da tendenza come quella verso il welfare state e che veniva rovesciata ed annullata da idee collettiviste e, ovviamente, socialiste, vere cause dell’obbligata forzatura nei rapporti internazionali da parte degli Stati Uniti243. La retta via, su cui l’economista invitato in Cile pregava Pinochet di riportare il paese, era stata smarrita tempo addietro quando, all’inizio degli anni ’50, molti paesi latinoamericani avevano iniziato a guardare con interesse alle idee keynesiane e si erano adoperati per la loro applicazione a livello statale. Nonostante tale cambiamento di rotta, la via era già pesantemente segnata e le nuove pratiche economiche in chiave protezionista ed il sostegno all’intervento statale in economia, molto spesso trasformatosi in vero e proprio statalismo, non riuscirono negli obiettivi prepostisi, di fatto costringendo le economie centro e sudamericane ad un rapporto di dipendenza244 che, con l’accettazione sempre

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Dopo gli avvenimenti che portarono alla caduta di Allende da parte dell’amministrazione Nixon, l’economia cilena si trovò completamente in ginocchio e la junta capeggiata da Pinochet inviò a Chicago un gruppo di economisti, invitando Arnold Harberger, collega di Milton Friedman, a formarli secondo le dottrine della scuola di Chicago; una volta ritornati, i Chicago Boys spinsero per l’applicazione di misure di shock economy che, unite allo scandalo sul coinvolgimento Nixon e alle rivelazioni sul ruolo di grandi compagnie USA (Pfizer, Bechtel, Getty, PepsiCo, Firestone), portarono a numerose rivolte ed a dure repressioni (Da Greg Grandin, Empire Workshop, Holt Paperbacks, New York, 2010, pagg. 163 – 166).

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https://ojs.lib.byu.edu/spc/index.php/BYUStudies/article/viewFile/4927/4577

244 Le economie latinoamericane, segnate dall’insuccesso dei governi populisti e nonostante il nuovo orientamento assunto a partire dagli anni della Seconda Guerra Mondiale, si trovarono a dover gestire la disarticolazione di un’economia nazionale vincolata agli interessi dei gruppi di potere sviluppatasi nei decenni precedenti, la poderosa presenza straniera, soprattutto statunitense, ben radicata da ormai mezzo secolo i cui orientamenti condizionavano l’intera economia nazionale e, nonostante la spinta alla modernizzazione economica, le tendenze in senso populista, sempre presenti anche se di nuova interpretazione, determinarono un comportamento negativo degli attori internazionali, rendendo impossibile una prosecuzione di

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più diffusa della nuova ideologia economica conservatrice, venne aggravato dal contesto di moralità delle politiche della Guerra Fredda.

Prima di potersi aprire la strada all’interno delle componenti sociali centroamericane tale tipo di ideologia necessitava di una solida base condivisa tra la classe imprenditoriale statunitense. In questo senso le crisi aperte all’inizio degli anni ’70245 diedero il colpo di grazia alle ultime sopravvivenze “newdealiste” che ancora si potevano ritrovare in determinate fasce imprenditoriali che ancora optavano per la messa in pratica di un capitalismo riformista all’estero e credevano nella necessità di un welfare state a casa. Chi prese coraggio e guadagnò vigore fu invece la coalizione follemente liberista composta dagli imprenditori evangelici della Sunbelt e dagli ultraconservatori del Sud che, seguendo le idee di Friedman e ritornando a considerare l’esistenza di fortissimi legami tra libertà economica e politica, vide nel nazionalismo centroamericano che andava riacquistando forza una grave minaccia alle proprie prerogative ed alla sicurezza nazionale.

Una volta ottenuta la presidenza, forte dell’appoggio di una base solida e decisa in continua crescita, Reagan iniziò a mettere in pratica i suoi progetti di politica economica in senso fortemente anti-keynesiano, sia all’interno che all’estero. L’ambito interno fu una delle principali preoccupazioni di Reagan che agì rinforzando il programma di austerity246 implementando tali misure con un insieme di manovre di natura mista, del tutto inusuali e fuori da ogni logica economica, tanto che l’insieme delle sue politiche interne prese il nome di Reaganomics e furono appellate, dalla destra stessa, come vodoo economics247.

molte delle politiche economiche (Da Marcello Carmagnani, L’Altro Occidente, Einaudi, Torino, 2003, pagg. 357 – 372)

245 Ci si riferisce alla crisi petrolifera del 1973, dovuta all’embargo petrolifero attuato dai paesi dell’OPEC conseguente alla scoppio della Guerra dello Yom Kippur.

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Il programma di austerity iniziato da Paul Volcker (presidente della FED, Federal Reserve

System, durante la presidenza Carter) fu necessario per fare fronte all’aumento della spesa

militare sotto l’amministrazione Carter che aumentò ancora sotto Reagan incrementando fortemente il debito pubblico.

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Arnaldo Testi riporta le principali manovre economiche interne dell’amministrazione Reagan: taglio delle aliquote a favore dei redditi alti (dal 70% del 1964 al 28%, l’aliquota minima salì dall’11% al 15%), accentuazione delle politiche antitrust e di deregulation dei mercati, allentamento dei controlli in campo borsistico, apertura delle risorse del demanio allo sfruttamento privato; l’insieme di queste nuove misure spinse grandi banche ed imprese a manovre azzardate che fallirono e che costrinsero Washington ad intervenire; si investì maggiormente in ambito militare, tagliando fondi della spesa pubblica, destinati soprattutto al welfare, destinandoli alla difesa (Da Arnaldo Testi, Il secolo degli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna, 2011, pagg. 254 – 257)

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All’estero, Reagan si trovò a dover affrontare la montante crisi del debito estero che, specie in America Latina, assunse dimensioni spaventose: a partire dall’inizio degli anni ’70, e soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973, i paesi latinoamericani furono obbligati dalle congiunture economico-politiche ad aumentare le richieste di aiuto finanziario sia presso le organizzazioni finanziarie multilaterali e le banche centrali, sia presso le grandi banche commerciali e di investimento. Le nuove necessità espresse dagli attori latinoamericani permisero agli Stati Uniti di ottenere un nuovo accesso all’area grazie al ruolo giocato nelle istituzioni finanziarie. Le svolte drastiche decise dalla potenza nordamericana con l’applicazione delle politiche di austerità monetaria statunitensi fecero impennare il peso del debito congiunto dei paesi del sottocontinente facendolo giungere a livelli spaventosi e legando il loro destino alle volontà espresse dai grandi attori finanziari248.

Gli effetti di tali manovre furono molteplici. All’interno l’effetto principale fu quello di una trasformazione della società statunitense nell’ottica di un’istituzionalizzazione di un perpetuo sistema di austerità generale che rese inapplicabile qualsiasi tipo di politica sociale equilibrata e, indirettamente, stroncò il liberalismo politico.

Fu invece in politica estera che tale operato acquisì nuovi significati ed ebbe le maggiori conseguenze, in particolar modo in America Centrale. All’inizio degli anni ’80 la nuova coalizione riuscì a saldare tutte le componenti ideologiche e culturali nella creazione di un nuovo grande paradigma nel quale l’attivismo militare, il fervore religioso e le necessità economiche si univano insieme per distogliere l’attenzione dai temi dello sviluppo, del progresso, del percorso comune e lasciavano sempre più il passo ad una visione del mondo come un’arena globale dove chi volesse emergere avrebbe dovuto puntare sempre più sulle proprie forze249. Il laboratorio centroamericano fu scelto come il luogo per

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Nel giro di dieci anni (1970 – 1980) il debito estero latinoamericano passò da 30 a 240 miliardi e, nel giro di altri due anni, aumentò di quasi un terzo raggiungendo i 331 miliardi a causa delle politiche monetarie statunitensi. I paesi latinoamericani dovettero adattarsi alle esigenze espresse da FMI e BM legando le proprie economie alle volontà degli Stati Uniti che guidavano tali istituzioni (Da Duccio Basosi, “Anticipazioni di un mondo unipolare? L’amministrazione

Reagan e la crisi del debito estero latinoamericano, 1981 – 1983”, in Cricco, Guasconi Napolitano, L’America Latina tra Guerra Fredda e globalizzazione, Polistampa, Firenze, 2010, pag. 138 – 150 )

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Nel 1981, alla Conferenza Internazionale sulla Cooperazione e lo Sviluppo, il dibattito era permeato di idee sviluppiste in senso strettamente neoliberista; l’idea dell’american way come percorso verso un mondo migliore e di allontanamento dalla minaccia comunista, che tanta parte aveva giocato nell’immaginario repubblicano veniva abbandonato per una versione “reaganiana” decisamente più aspra e cruenta (Reagan in Cancun, americanempireproject.com)

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sperimentare tale nuova modalità d’azione e ne uscì, un decennio dopo, completamente in ginocchio a causa dello stillicidio della guerra perpetua unito alla costante svendita dei patrimoni nazionali che i vari governi dovettero attuare con la speranza di raggiungere le condizioni per poter ottenere nuovi prestiti da parte della grandi istituzioni finanziare multilaterali e dai colossi della finanza nordamericani. Il principio del “Trade, not aid”250 coniato dal segretario al tesoro Donald Reagan, fu attuato alla perfezione sugli scenari dell’America Centrale che, all’alba degli anni ’90, abbassarono ogni forma di resistenza al processo definendo l’apparente successo di tale paradigma.

Questo nuovo orientamento segnò una vera e propria rottura strategica con gli atteggiamenti in politica estera dei decenni precedenti nei riguardi dell’America Latina: le condizioni che venivano imposte per il raggiungimento degli obiettivi per l’ottenimento di nuovi prestiti penalizzavano fortemente sia l’economia sia la situazione sociale dei vari paesi generando una costante avversione all’amministrazione USA e favorire, nell’ottica di un timore rosso, una potenziale penetrazione del grande nemico sovietico. Tale procedere diventò segno di come, già all’inizio degli anni ’80, lo spettro comunista non fosse più una minaccia degna di considerazione. Unica eccezione nel contesto latinoamericano furono proprio i paesi dell’istmo, i quali giocarono, loro malgrado, il ruolo di specchio per le allodole: riservando ai paesi centroamericani e caraibici un trattamento più “tradizionale” (in termini di impegno militare e di finanziamento degli attori anticomunisti), l’amministrazione Reagan riuscì a mettere in pratica misure degne di una politica dello shock giustificata dalla minaccia sempre presente, ma mai così reale, del comunismo, mentre l’intero emisfero Ovest pregustava l’ordine unipolare che da li a poco avrebbe superato i confini oceanici per espandersi a livello globale251 .

Gli ultimi due decenni hanno rappresentato un periodo in controtendenza. La configurazione di un ordine di fatto unipolare ha permesso ai paesi centroamericani di riuscire ad allentare parzialmente la stretta statunitense, di ripristinare un certo livello di stabilità civile all’interno dei confini nazionali e di procedere finalmente sulla strada della transizione democratica, tanto

250 Da Greg Grandin, Empire Workshop, Holt Paperbacks, New York, 2010, pag. 186 251

Per queste conclusioni i riferimenti sono Duccio Basosi, “Anticipazioni di un mondo unipolare?

L’amministrazione Reagan e la crisi del debito estero latinoamericano, 1981 – 1983”, in Cricco,

Guasconi, Napolitano, L’America Latina tra Guerra Fredda e globalizzazione, Polistampa, Firenze, 2010, Greg Grandin, Empire Workshop, Holt Paperbacks, New York, 2010

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sbandierata nel corso dei decenni precedenti, ma rimasta sempre un obiettivo irrealizzato.

Tale riposizionamento non sarebbe stato possibile se a contrastare le tensioni create dalla “responsabilità emisferica” non ci fossero stati elementi di costante opposizione che, grazie alla messa in pratica di un modello completamente diverso, fortemente radicato e coerente con il contesto sociale e culturale, sono stati capaci di elaborare risposte realmente moderne ed adatte, resistendo nel corso del tempo ai tentativi di cancellazione subiti e portando sulle proprie spalle il peso della speranza delle popolazioni centroamericane.

È internamente allo scenario dell’America Centrale che si devono cercare i semi della sua moderna unicità.

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