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4. ETNOGRADIE Q’EQCHI’: LA SINTESI DELLA TENSIONE

4.1 STORIE CONCRETE

4.1.2 PAURA E POTERE

La lunga dittatura di Ubico ed il suo ruolo di tata presidente331 attribuirono all’azione statale una nuova valenza. Le politiche selvaggiamente liberiste, i tentativi di controllo della persona, le pratiche repressive e punitive, se da parte delle classi popolari venivano ovviamente percepite come predatorie nei confronti dei loro diritti, venivano viste diversamente dalle oligarchie e dalla nascente middle-class che ne sostenevano il potere liberatorio secondo le nuove ideologie sviluppiste che andavano diffondendosi332. L’idea che fosse compito dello stato garantire ordine, sicurezza e possibilità di sviluppo, in realtà, affondava le sue radici nel periodo coloniale e, dopo il periodo di dittatura, venne lentamente ma completamente rovesciata a favore delle classi popolari nel periodo delle presidenze rivoluzionarie, diventando una costante nel pensiero politico indigeno nel periodo a venire.

L’apertura politica del periodo rivoluzionario permise a nuovi movimenti politici di emergere sullo scenario nazionale, regionale e locale e di acquisire una nuova connotazione politica reale sulla base di un nuovo modello di azione. Fondato sulle macerie del Partito Comunista, creato nel 1922 e distrutto da Ubico, il PGT (Partido Guatemalteco de Trabajo) nacque nel 1949 dalla volontà di alcuni elementi del PAR, come lo stesso Fortuny, con obiettivi realistici, moderati e marcatamente democratici: scopo dell’opera del partito era infatti la responsabilizzazione delle masse popolari ed indigene, la diffusione delle idee democratiche e di uguaglianza e del ruolo politico attivo dell’individuo, il rifiuto di ogni forma di paternalismo unito alla denuncia di un intero sistema statale

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Jorge Ubico resse lo stato guatemalteco per 14 anni nei quali la macchina statale divenne una vera e propria proprietà privata del dittatore, della sua famiglia e della rete di clientele che si costituiva attorno alla sua figura di tata presidente all’insegna del paternalismo.

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La concezione di sviluppo allora diffusa prevedeva sì un ruolo dello stato che però doveva limitarsi al garantire la totale libertà di azione degli attori privati che erano in grado di incidere sul progresso della vita economica e produttiva nazionale; nel caso del Guatemala, la difesa

dell’ormai tradizionale ruolo di coffee-state doveva essere la principale preoccupazione del governo per coloro che detenevano il controllo della produzione e commercializzazione in campo primario.

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fondato sul meccanismo del favore e dell’appartenenza di classe. A questa attività si univa la proposta di un nuovo modello di sviluppo economico nazionale incentrato su una riscossa produttiva che partiva da una redistribuzione del suolo produttivo utile e mirata. Tale particolare connotazione democratica e tali mire di sviluppo a base popolare attirarono tra le fila del partito lo stesso Jacobo Arbenz che nel 1950 salì alla presidenza del Guatemala e, due anni dopo, emanò il famoso Decreto 900 dando il via al progetto di riforma agraria e rivitalizzazione economica del paese333.

Le promesse di Arévalo acquisivano una nuova e concreta aspettativa per le fasce indigene e popolari attraverso la decisa politica di sviluppo di Arbenz, una politica rischiosa che richiedeva fiducia e sostegno e che impegnava lo stato a farsi promotore di concreta giustizia sociale per tanta parte della popolazione nazionale. La riforma agraria avviata nel giugno del 1952 puntava a diffondere il capitalismo nazionale attraverso l’estensione della democrazia nelle campagne offrendo la possibilità reale per i campesiños di liberarsi dal potere dei piantatori i quali, minacciati dall’imminente crollo dell’ordine coloniale, avrebbero dovuto offrire migliori condizioni di lavoro ed investire in progetti di sviluppo nelle loro piantagioni o accettare la propria scomparsa dallo scenario economico nazionale ed internazionale; la politica riformista fu resa forte dall’azione congiunta dei gruppi maya e meticci che, reclutati nelle nuove istituzioni locali adibite all’attuazione delle pratiche di redistribuzione334, cooperavano contro i finqueros e contro la perpetuazione del sistema stagnante che da troppo tempo caratterizzava il territorio nazionale. Nonostante i solidi presupposti di partenza, i punti di forza della riforma coincisero paradossalmente con i suoi punti di maggiore debolezza.

Il potere dei piantatori, nonostante i continui attacchi delle politiche riformiste, rimaneva ben solido sotto l’aspetto forse più importante: nella coscienza indigena il finquero era sì un usurpatore, ma era anche colui che forniva un contesto in cui posizionarsi, era il garante dell’ordine che, seppure vissuto come ingiusto, veniva da molti preferito alla inevitabile fluidità del periodo iniziale della riforma, ed i cui vantaggi erano spesso immediatamente tangibili, a differenza di quelli promessi dal governo rivoluzionario, rendendo diversi gruppi, anche di

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Greg Grandin, The last colonial massacre, The University of Chicago Press, Chicago, 2004, pagg. 38 – 44

334 I cosiddetti CALS, Comité Agrarios Locales attivi a livello giuridico, e CADS, Comité Agrarios

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estrazione indigena, avversi ai propositi riformisti. La creazione di vuoti di potere dove in precedenza vi era la presenza di un ordine imposto da lunga data permise ad alcune componenti locali, spesso anche di estrazione indigena, di concentrare nelle proprie mani un potere fuori da ogni regolamentazione finendo con l’utilizzare gli stessi strumenti impiegati dal vecchio ordine, non solo vanificando così gli scopi della riforma, ma facendo acquisire ai propositi rivoluzionari valenze politiche del tutto estranee a quelli che erano i reali obiettivi.

Alfredo Cúcul, nipote di José Angel Icó, alla morte dello zio tentò di continuare la sua opera di rafforzamento delle nuove reti di collaborazione sviluppate nelle campagne dell’Alta Verapaz. Nel 1950 Cúcul aveva 24 anni e nel giro di due anni, al momento della seconda presidenza rivoluzionaria e dell’inizio della riforma agraria, si trovò ad essere una delle personalità più importanti nella vita politica locale ed un punto di riferimento nella città di San Pedro Carchá. Entro il 1954 grazie al suo impegno politico vennero fondate oltre venti unioni contadine, organizzati diversi comitati agrari locali, sequestrate e redistribuite terre per una superficie complessiva di oltre 2.000 chilometri quadrati, oltre che bestiame e prodotti agricoli; grazie al suo appoggio ad iniziative locali vennero avviate progetti quali, per esempio, l’IGSS (Instituto Guatemalteco de Securidad Social), unione locale presieduta da Hugo De La Vega che, fornendo le garanzie basilari a molte famiglie in termini di assicurazione sociale, tentava di sciogliere la stagnazione in cui versavano le campagne settentrionali, affiancato dai primi tentativi di creazione di fondazioni a scopo di credito dedicate ai contadini, ai lavoratori delle fabbriche tessili di San Cristobál, ai minatori di Carchá335.

Tuttavia, nonostante gli sforzi di matrice chiaramente democratica, improntati ad uno sviluppo solido e concreto delle campagne, diversi furono coloro che approfittarono della situazione di incertezza che inevitabilmente la riforma portava con sé. Lo stesso Cúcul si trovò ad affrontare le situazioni problematiche legate all’emergere di alcune figure locali, come per esempio quella di Francisco Curley. Figlio di immigrati irlandesi, nato nella cittadina di Cahabón, vicina a Carchá, Curley visse l’esproprio delle terre della sua famiglia da parte di uno dei grandi piantatori della zona, Kensett Champney; approfittando dell’ondata rivoluzionaria, con la collaborazione di Federico García, personalità politica attiva a Senahú, e di diverse personalità di rilievo nelle comunità Q’eqchi’ della regione,

335 Greg Grandin, The last colonial massacre, The University of Chicago Press, Chicago, 2004, pagg. 50 – 60

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questi riuscì a creare all’interno dei comitati agrari una rete di clientele che gli permise di accumulare un discreto potere che veniva sì sottratto ai piantatori, ma che non faceva che reiterare i modelli che la rivoluzione cercava di distruggere336.

Numerosi furono i casi simili a questo su tutto il territorio nazionale, trasformando in molte circostanze i propositi del governo di rivoluzione democratica e di corsa allo sviluppo, secondo modalità adeguate al contesto che offriva la situazione del Guatemala, in esempi del risultato di una politica di matrice pericolosa e con conseguenze prevedibili: le figure politiche di estrazione indigena vennero presto associate a pericolosi esempi di bolscevismo ed appellati con il termine, fortemente caricato di un misto di disprezzo razziale e politico, di líder e le tensioni che l’inversione delle posizioni sociali produsse, portata in molti luoghi dalla riforma, sfociò in episodi di violenza di classe337 che vennero strumentalizzati come un effetto dell’affermazione delle dottrine comuniste e del pericolo di una presa di potere da parte della componente indigena.