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La condizione della donna nelle narrazioni bandelliane

40http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/letteraturaitaliana/il_cinquecento_/a4_novellistica_e_teat

ro__del_rinascimento/La-novellistica-e-Matteo-Bandello.html.

41 F. Spera, Modelli femminili nel tragico cinquecentesco in «Matteo Bandello. Studi di letteratura

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All’interno del Novelliere appaiono molti aspetti e tematiche pertinenti alla dimensione cortigiana del Cinquecento: per citarne i più significativi, dalla questione della lingua al confronto tra moderno e antico, dalla selezione degli autori oggetto di lettura o discussione nelle dedicatorie alle dichiarate preferenze letterarie e culturali dell’autore, sino all’aspetto più interessante per il nostro lavoro, quello relativo ai «ragionamenti» dell’amore e ai comportamenti e alla natura delle donne.

Non solo in ambito trattatistico, ma in tutta la letteratura di corte tra Quattrocento e Cinquecento emerge con particolare evidenza la “querelle des femmes”, tanto che la sua ripetuta presenza, talvolta esplicita e altre implicita, anima l’intero Novelliere bandelliano. D’altronde, come osserva la Fiorato, la discussione sulle donne e sull’amore era in auge anche in Francia proprio negli anni del soggiorno di Bandello.

Oltre alle influenze letterarie, ci sono due serie di fattori biografici importanti che hanno certamente contribuito alla visione che Bandello ha della donna: l’autore ha prima indossato l’abito domenicano, successivamente egli ha anche frequentato per decenni le corti dei signori, i salotti dell’aristocrazia.

Il suo incontro con il pubblico di corte, con numerose figure di nobildonne ha gradualmente influito i suoi interessi e la sua attività letteraria (rispetto ad un primo orientamento di erudita, latinista e ascetico, e rivolto ad un pubblico interamente maschile), indirizzandoli verso una produzione letteraria in volgare, dominata da uno spirito cortigiano, una produzione di carattere sociale e di largo consumo.

Questi due aspetti della sua esperienza personale sono più complementari di quanto si possa pensare. Tuttavia, se la religione e la mondanità non si sovrappongono nella biografia dell’autore, le tendenze misogine (o comunque sulla dichiarata inferiorità delle donne e della loro sfrenatezza e incontinenza, secondo un profilo di lunga tradizione) e filogine si oppongono in continuazione all’interno della sua raccolta.

Dapprima le donne si ritagliano un posto nelle Novelle di Bandello come pubblico. Sappiamo fin dal primo racconto, oltre che dall’avvertenza premessa alla prima parte e da altri accenni posteriori, che l’esortazione a scriver novelle venne al Bandello proprio da una colta gentildonna, capace di gustare negli originali i classici latini, cioè dalla sua protettrice Ippolita Sforza, ch’egli dovette conoscere a Milano, dopo che Alessandro Bentivoglio marito di lei, era stato costretto ad abbandonare il dominio bolognese. Ed è lei

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che apre la lunga serie di dedicatorie femminili, comprese molte delle grandi signore che l’autore ha conosciuto e frequentato durante la sua carriera di cortigiano.

Il metodo della lettera dedicatoria all’interno della sua raccolta di Novelle permette a Bandello di inserire la donna nel circuito del genere epistolare, che conosce con precisione dal 1530-1538, un successo enorme grazie ad alcune famose figure di nobildonne come Vittoria Colonna e Lucrezia Gonzaga.

Questa preponderanza e modernizzazione della presenza femminile nella raccolta di Bandello si riferisce, quindi, in primis alle pratiche culturali di una società aperta al commercio mondiale e desiderosa di concretezza e attualità in cui le donne suscitano un interesse mai eguagliato prima. In un secondo tempo il luogo e il modo in cui vengono considerate queste donne meritano un esame attento, in quanto acconsente alla produzione e alla ricezione di storie in cui altre donne, questa volta i personaggi, sono protagoniste di situazioni che si suppongono siano quelle della vita reale.

La collezione di Bandello contiene però solamente poche narratrici: Barbara Gonzaga (III,32), Maria di Navarra (II,35), Bianca Sanseverino d’Este (I,44) su più di duecento uomini. Quella delle donne come narratrici appare coma une singolarità in quegli anni. La scelta di Bandello è influenzata probabilmente dalla lettura di trattati morali come gli Asolani e il Cortegiano, dove tuttavia sono gli uomini a parlare, mentre alle donne spetta il mero compito di ascoltare, tendenza che si accentuerà solo negli anni dopo il 1550, quando la donna ritorna ad essere generalmente oggetto e non agente del discorso che definisce la sua condizione. Pertanto, l’autore era tenuto a dare la parola ai narratori che avevano accesso alle fonti d’informazione o che in realtà avevano qualcosa da riferire.

Questa prospettiva storica della narrazione ci pone al centro del problema della condizione della donna: nella società del XVI secolo l’informazione era tenuta e veicolata quasi esclusivamente dagli uomini, per questo che la narrazione delle novelle viene assegnata da Bandello, se non in rari esempi, solo a gente di cultura simile all’autore stesso (umanisti, letterati, giuristi e religiosi) che si ritrovano ad essere protagonisti con la loro attività professionale anche dell’esperienza quotidiana nella vita di tutti i giorni.

Alle donna, a parte la conversazione e l’ascolto di racconti, che rappresentano il loro modo di partecipare all’attività culturale, Bandello riconosce solo abilità e funzioni limitate nelle arti. Le vediamo, nel migliore dei casi, dedicarsi alla lettura, alla musica, al canto, alla lirica, alla corrispondenza privata. Poche sono le donne che hanno studiato il latino.

Così, Bandello all’interno della raccolta non da una visione ottimistica delle attività femminili: in breve l’autore sembra riprodurre la divisione dei compiti tra uomini e donne,

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a svantaggio di quest’ultime. Questa inferiorità è naturalmente compensata dalla pratica di galanteria e dall’interesse stesso che egli porta al sesso femminile.

Purtroppo, appaiono difficili da conciliare le abitudini mondane con le esigenze di attività domestica della donna, e l’autore risulta costantemente combattuto tra una concezione della donna che si dedica anima e corpo alla casa, che faceva riferimento non solo ad una tradizione antica, ma anche il modello che era più frequentemente davanti ai suoi occhi, e una concezione aristocratica che la destinava ad attività di corte che erano culturalmente più nobili, ma che, del resto, erano moralmente meno difendibili.

In tal modo, Bandello narra, anche con gusto, innumerevoli avventure amorose delle sue eroine aristocratiche e borghesi, e ci si imbatte alle volte nella gravità ascetica del predicatore, soprattutto, quando nota che le donne delle classi sociali più elevate vengono istruite nel lusso e nell’ozio, e condannate più di altre a cadere nelle trappole d’amore. Questa critica acquista un tono satirico verso le classi agiate, contro le quali, alla raffinata pigrizia, Bandello oppone la sana e pura virtù della contadina.

Nonostante ciò, Bandello ama ovviamente le donne e cerca costantemente di piacere a loro. Lui stesso, o i suoi narratori dedicano righe e righe di lodi nelle novelle e ancor di più nelle dediche. Si tratta di lodi per le loro virtù morali e sociali, per la loro immensa bellezza, dove la vena dell’autore sembra inesauribile. Adulazioni, complimenti sono accompagnati frequentemente con la partecipazione e l’enfasi del caso alle gioie e alle disgrazie delle protagoniste.

Felici ,perciò, appaiono le osservazioni di Bandello in merito al ruolo della donna e molte potremmo citarne che hanno lo stesso valore della seguente: «Perciò che quanto piú la donna è nodrita dilicatamente, quanto piú si pasce di cibi nobili e preziosi, e quanto piú si dà a l’ozio, a le lascivie, a le delicatezze, e morbidamente dorme, e tutto il dí vive in canti, suoni e balli, e di continovo di cose amorose ragiona ed ascolta volentieri chi ne parla, tanto piú sia facile ad irretirsi nei lacci amorosi».42

Ma assai degno di nota è che il Bandello, in quel secolo, con moderno spirito difendesse le donne dalla tirannia dei maschi e riconoscesse la loro capacità anche in situazioni che fino ad allora erano soltanto nelle mani degli uomini:

“Ed ancor che per l’umane e divine leggi l’uomo sia capo de la donna, non segue perciò che le donne debbiano essere sprezzate o tenute come serve, essendo il sesso loro atto ad ogni virtuoso ed eccellente ufficio che al ‘umana vita si convenga. Il che d’altra prova non ha

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bisogno, essendosi già da noi raccontate molte chiare donne, de le quali alcune, come furono le amazzoni e altre, sono state ne l’Arme miracolose; altre hanno fatto tremar l’imperio romano, come fece la valorosa Zenobia; altre in governare e amministrare regni e stati, molto rare e prudenti; altre in comporre poemi, di elevatissimo ingegno; altre in orare e difendere le liti, graziosissime; ed altre in varii essercizii molto famose e singolari. E chi dubita che oggi dì non ce ne fossero assai che il medesimo farebbero che fecero l’antiche e forse di più, se da noi, mercé del guasto mondo, non fossero impedite, ché non vogliamo quelle esser bastevoli che a l’ago e al fuso? Ma preghiamo Dio che la ruota non si volga; ché se un tratto avvenisse che a loro toccasse a governar noi, come ora elle da noi sotto gravissimo giogo di servitù tenute sono, se elle non ci rendessero pane per ischiacciata, direi ben poi che senza ingegno fossero. Tuttavia gli uomini, ancor che basse le tengano e le tarpino l’ali a ciò che alzar non si possano, non sanno perciò tanto fare nè tanto astutamente ingegnarsi che elle tutto il dì non beffino degli uomini e molti per lo naso ove vogliono non tirino come si fanno i buffali. Ma il mi lascio trasportare a giusto sdegno che ho di veder questo mobilissimo sesso sì poco prezzato.”43

Arguta è la difesa e l’elogio delle donne44 che si legge nella dedicatoria a Lancino Curzi in

I,9, dove si potrebbe riassumere la posizione dell’autore quando rigetta la spiegazione della causa degli errori e delle colpe delle donne nel loro essere per natura di poco cervello, prospettando un temibile rovesciamento di posizione tra i due sessi se anche le donne potessero attendere agli «studi così de l’arme come de le lettere, nei quali senza dubbio molte di loro si farebbero eccellentissime»45.

E un più acuto e autentico sapore di modernità può aver per noi, la condanna, oggi si direbbe del «delitto d’onore», nella dedicatoria della novella I,26: «E nel vero grave sciocchezza quella degli uomini mi pare, che vogliono che l’onor loro e di tutta la casata consista ne l’appetito di una donna…Questi giorni una figliuola d’Enrico di Ragona e sorella del cardinale Aragonese, morto il marito che era duca di Malfi, prese per marito il

43Novella III,11, Istoria de la continenza del re Ciro ed amore coniugale di Pantera.

44 Ma è noto che l’elogio della donna a delle sue virtù si incontra in non poche pagine di scrittori del’500, dai

capitoli XI-XXXVI del libro III del Cortegiano al dialogo Della dignità delle donne dello Speroni.

45 Il che ordinariamente de le donne non avviene, le quali, se peccano, errano il più de le volte per esser

troppo amorevoli e credule a le false lusinghe degli uomini che ogni dì, anzi ogni ora, dicasi pure il vero, cercano d’ingannarne qualcuna, parendo a molti di trionfare e d’aver cacciato il Turco d’Europa quando una semplice donna hanno beffata. Ora, non essendo donna nessuna presente ai nostri ragionamenti che la ragione del lor sesso diffendesse, e tutti noi essendo naturalmente inclinati a dar loro a dosso, non ritrovando altro, volemmo pur gettare la colpa dei loro errori nel lor poco cervello. Ma se il mondo si cangiasse e che le donne potessero aver una volta la bacchetta in mano e attendere agli studi così de l’arme come de le lettere, nei quali senza dubio molte di loro si farebbero eccellentissime, guai a noi. Io penso bene che ci renderebbero mille per uno e più, e che ci farebbero star tutto il dì con la conocchia a lato e col naspo e l’arcolaio, e ne cacciarebbero come guattari in cucina; e saremmo forse ben pagati, poi che noi molte volte fuor di ragione e oltre ogni convenevolezza facciamo loro tanti torti e le trattiamo molto domesticarnente […]io non vo’ dir male de le donne né biasimarle, essendoio d’una donna nato e amandole come faccio e cercandole sempre d’onorare e riverire in ogni cosa che per mesi puote, come molte di loro infinitamente meritano. Parte I, Novella 9.

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signor Antonio Bologna, nobile, vertuoso e onestamente ricco, che era stato con re Federico di Ragona per maggiordomo. E perché parve che digradasse, le gridarono la crociata a dosso e mai non cessarono finchè insieme col marito e alcuni figlioli l’ebbero crudelissimamente uccisa.»

Bandello difende le sue donne all’inverosimile, anche quando queste commettono delle infamie come l’infanticidio eseguito da Pandora.

L’apice dell’orroroso bandelliano è probabilmente in questa novella, la III,52: dove Pandora, femmina insaziata, che «quanti più ne vedeva, tanti ne bramava, e a tanti del corpo suo compiaceva quanti aveva bramati», infuriata contro un suo amante infedele, essendo in stato di gravidanza assai avanzato e non riuscendo a «disperdere», come essa voleva «arrabbiata e indiavolata», «con le pugna lo scolorato ventre fieramente percotendo, tanto tanto si contorse, tanto saltò e tanto si dimenò, che senti l’infelice creatura distaccarsi e voler uscire».

Lo strazio che la «scellerata» Pandora fece di quel misero feto è descritto a lungo con cruda insistenza dal novellatore; ma in un solo momento egli riesce effettivamente a destare un senso di orrore in chi legge: quando Pandora, vedendo «il pargoletto bambino dentro il bacile, con atroce e crudel vista quello risguardando e il capo d’ira e sdegno crollando, disse: -Mira, mira, Finea mia, come già questo bestiuolo cominciava a rassomigliar quel disleale e traditore di suo padre.»

L’autore davanti ad azioni del genere si affretta a correre in soccorso del sesso femminile, proibendo qualsiasi generalizzazione, al contrario stigmatizza i loro avversari, per lo più mariti gelosi e vecchi.46

46 “Ma perché, in qualunque modo egli si narrasse, si scoprirebbe di necessità la persona, io per adesso me

ne rimarrò non volendo a patto nessuno a suoi parenti, così di lei come del marito, reca-re con mie parole infamia. Bastivi per ora quanto ven’ho detto. Né sia poi alcuno che presuma biasimare il sesso nostro con dire: –La tale ha fatto e detto.–Biasimi chi vuole la Nanna e la Pippa e chi fa il male, e particolarmente vituperi qual si sia, se cosa ha fatto che meriti biasimo, ma non morda il sesso, ché se Giuda tradì Cristo, non sono per questo tutti gli uomini traditori. Se Mirra e Bibli furono ribalde, non sono l’altre cosí. Il sesso maschile e de le femine è come un orto che fa erbe d’ogni sorte. Quando tu sei nel giardino, cògli le buone e non dir male de l’orto. Messer Giovanni Boccaccio Perché una donna non lo volle amare, compose il Labirinto, ma pochi ci sono che lo leggano. Deveva dir male di quella e lasciar l’altre. E chi sa che quella donna non avesse cagione di non amarlo? Intendo anco che il mio compatriota il poeta carmelita, ha fatto una egloga in vituperio de le donne, ove generalmente biasima tutte le donne. Ma sapete ciò che ne dice Mario Equicola, segretario di madama di Mantova ? Egli afferma che il nostro poeta era innamorato d’una bella giovane e che ella non lo volle amare, onde adirato compose quella maledica egloga. Ma, per dirvi il vero, la buona giovane aveva una grandissima ragione, perché il poeta, – perdonimi la sua poesia, –era brutto come il culo e pareva nato dei Baronzi.”

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Certo, nelle sue novelle così come nelle dediche, l’autore spesso assume la difesa delle donne esposte alla dissolutezza e alla sensualità eccessive, minimizzando e ridicolizzando le gesta di uomini che trionfano senza gloria in una battaglia impari. Tuttavia questo atteggiamento molto difensivo non è esente da un certo paternalismo condiscendente e circoscrive l’emancipazione delle donne in limiti ristretti.

Sfruttando questa area problematica della vita umana dove le azioni degli uomini e delle donne sfuggono alle norme della casualità e sono dominate dalle possibilità irrazionali della natura umana che è incapace di controllare i propri impulsi, e che consacra la nuova frattura tra uomo e realtà nella coscienza degli italiani del XVI secolo e le cui relazioni e valori contemporanei sono in crisi, Bandello ha trovato un campo fertile per le sue storie d’amore e per raccontare della donna, che assume una responsabilità primaria nell’irruzione dirompente dell’irrazionale nella vita di tutti i giorni.

Il narratore abbandona i panni di difensore quando riprende ed esaspera i pregiudizi radicati nella mente dei suoi contemporanei e la diffusione da parte dell’ispirazione ascetica e della cultura umanistica, che hanno reso la donna un essere instabile, mutevole, imprevedibile, non dotata di ragione e giudizio che sono altrimenti la prerogativa degli uomini, cosicché questa viene descritta come un essere condannato a sbagliare.

Le azioni scellerate, lunatiche e perverse delle donne trovavano una spiegazione nella teoria degli umori e dei temperamenti, che Bandello prende in prestito da autori neoplatonici e dagli studi medici sulla psicosi. Sul comportamento delle donne, poi, con l’altro sesso l’autore lascia trapelare l’inbecillitas della natura della donna, ovvero la debolezza del suo corpo, ma anche la precarietà del suo giudizio e della sua ragione, e il suo insaziabile appetito sessuale

Per misurare la portata dei limiti del femminismo di Bandello, occorre esaminare da vicino le novelle che egli assegna al gentil sesso, considerato nel contesto della sua relazione con l’uomo, e in particolare quando a questo è legata dal vincolo matrimoniale.