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L’immagine edificante delle donne fedeli all’interno della loro relazione coniugale, viste e riviste nel capitolo precedente, è l’altra faccia della medaglia di una realtà più complessa appunto, quella rappresentata dalle innumerevoli storie di adulterio.

L’adulterio e le avventure che derivano dalla ricerca di amori illeciti sono la principale fonte narrativa della raccolta di Bandello, al punto che le novelle che descrivono casi di infedeltà coniugale rappresentano quasi un quinto dell’intera raccolta.

Lo sfondo più comune è l’ambiente urbano, abitato da artigiani e mercanti; il mondo dei circoli cortigiani al quale lo stesso autore apparteneva non è comunque trascurato, ma è interessante sottolineare come le novelle di adulterio a lieto fine siano per la maggior parte ambientate nel primo, mentre le novelle aventi per protagonisti personaggi che vivevano a corte tendono ad avere un tono tragico.

I pregiudizi di cui Bandello interpreta la natura delle donne e l’insistenza nel descrivere la fragilità e il loro insaziabile appetito sessuale, lasciano poche possibilità alle spose fedeli di predominare nelle Novelle. Questa scelta potrebbe derivare dall’influenza di una tradizione letteraria dove l’amore sessuale aveva un gran peso, e dal fatto che l’autore

83 A. C. Fiorato, L’image et la condition de la femme chez Bandello, in Ima ges de la femme dans la

littérature italienne de la Renaissance: préjugés misogynes et aspirations nouvelles: Castiglione, Piccolomini, Bandello, Paris, Université de la Sor- bonne, 1980.

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volesse dare una trascrizione fedele dei costumi reali, soprattutto tra gli strati più alti della società, noti per la loro dissoluta libertà sessuale.

L’immagine che Bandello propone dell’adulterio come male impossibile da sradicare si riscontra nella lettera dedicatoria a Francesco Berni in apertura alla novella 53, nella terza parte della raccolta:

Se tutte le beffe che le mogli fanno ai mariti, e quelle che essi fanno a le donne, fossero scritte a la giornata come accadono, io certamente mi fo a credere che tutta la carta che a Fabriano già mai si fece, e tuttavia si fa, non sarebbe bastante a riceverle, tante e tali sono. E ben che si veggia questa e quella donna, quale svenata, quale strangolata e quale di veleno estinta, e me, desimamente i mariti siano ben sovente col ferro, col laccio e col veleno levati da le scaltrite mogli di vita e con altri occulti inganni morti, non è perciò che ogni dí ancora non cerchino i buoni mariti risparmiar quello di casa e logorare l’altrui, e vedere se quante donne gli capitano a le mani hanno cosa alcuna di piú o di meglio de le mogli loro. Le donne altresí non crediate che stiano con le mani a la cintola, che anco elle non si procaccino quanto ponno di non istar indarno; di modo che si può dire dei mariti e de le maritate quello che degli assassini da strada e dei ladri si dice. Veggiono eglino tutto il dì mozzar il capo a quelli, impiccare questi, squartare ed abbrusciare quegli altri, e le forche per tutto trovano carche di malandrini e malfattori; e nondimeno peggio fanno che prima: argomento, nel vero, che fortemente siano da la natura inclinati al mal operare, ma non già sforzati, perciò che per noi stessi, volendo, possiamo lasciare le sconce opere e viver politicamente, come a uomini da bene si conviene.84

Come fa notare la Ugolini nel suo articolo85 sulla rappresentazione della donna nel Rinascimento attraverso le Novelle di Matteo Bandello, la scelta di avere come protagonisti delle sue novelle l’ambiente sia urbano che cortese permetteva all’autore di potersi muovere su due piani. Da un lato, infatti, narrando di mercanti e dottori, questi apparivano al pubblico cortigiano come appartenenti ad un mondo separato dal proprio, dando quindi al narratore la possibilità di deriderli e criticarli senza coinvolgere direttamente il proprio stile di vita.

D’altra parte, essi non erano certo distanti dal mondo della corte come avrebbero potuto esserlo personaggi appartenenti ai ceti popolari: rappresentavano quindi per il lettore di corte sia un “altro” distante da se, che un possibile specchio della propria condizione. Il narratore, pertanto, poteva prendersi la libertà di insinuare critiche e suggerimenti senza il timore di attaccare in modo diretto lo stile di vita dei propri compagni e patroni.

84Novella I,51, Beffa fatta da una bresciana al suo marito con mezzo di un tedesco che le scuoteva il

pelliccione e non seppe usar la sua ventura.

85http://www.academia.edu/1802562/Ladulterio_e_la_rappresentazione_della_donna_nelle_Novelle_di_Matt

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Al più alto livello sociale e soprattutto quando lo scandalo diventa una questione di stato, l’autore è inevitabilmente vicino al colpevole, molto spesso la donna, che verrà torturato e giustiziato. È il già citato caso di Parisina, che fu giustiziata nel 1425, dopo essere stata accusata di adulterio aggravato dall’incesto e di lesa maestà. Certamente, questo personaggio, troppo giovane, viene trascurata da un marito troppo più grande e libertino: tuttavia Bandello non dimentica di omettere la fragilità della donna, causata dai pochi anni di esperienza matrimoniale. Quando dopo una fase piena di sensualità ardente, la Parisina riesce a sedurre Ugo, e gettata poi in prigione in attesa della morte, questa Fedra ferrarese di «disonesti e scellerati appetiti» si trasforma in un personaggio tragico che Bandello tratta con una sobrietà patetica. Parisina è infatti nobilitata da un appassionato sacrificio che le fa prendere su di se tutta la colpa del fatto al fine di salvare il suo amante, e da una feroce ostinazione che la porta a rifiutare ogni confessione e ad invocare per giorni il nome di Ugo, sino alla sua morte. Il marchese, oltre ad apparire come un galletto e a sfruttare freddamente il suo potere politico per punire i due amanti, appare non solo come un personaggio crudele, ma responsabile, in una certa misura, della tragedia.

L’adulterio viene altrettanto represso ferocemente quando avvengono nelle famiglie rurali della nobiltà contemporanea. Nelle novelle II,12 e III,59 i mariti sono feudatari del Nord, presentati come onorevoli.86 I livelli sociali di questi due uomini sono tra l’altro gli stessi

dei protettori di Bandello, condottieri e nobili proprietari terrieri. Questi, ingannati dalle loro mogli (nonostante siano queste molto giovani), esercitano contro di loro una vendetta atroce, degna dei finali di Seneca, ma trattati da un romanziere realistico.

La prima donna viene costretta ad appendere il suo amante con le sue stesse mani nella sua stanza, dove poi verrà murata con il cadavere, e vivrà nel fetore fino a quando non giungerà la sua morte.87 Alla seconda vengono strappati i denti uno dopo l’altro, per

86 “fu in una parte di Piemonte un nobile e valoroso gentiluomo il cui nome mi taccio, il quale castella e

vassalli aveva sotto di sé, e la piú parte del tempo dimorava in corte, perciò che egli era uomo di gran conseglio e vedere, e il duca faceva non picciola stima di lui”, “Un eccellentissimo capitano, essendo ne lo stato di Milano di grandissima riputazione per le cose militari, diede una sua figliuola, che aveva nome Isabetta, per moglie ad un conte Filippo, che era signor di castella. Ella era bellissima giovane e di persona molto grande, ma baldanzosa molto e tutta pieghevole a’ prieghi d’altrui, di modo che poca fede serbava al conte suo marito, perciò che ogni volta che le era comodo, per non logorare quello di casa, si prevedeva di fuori via” rispettivamente II,12 (Il marito trovata la moglie in Adulterio fa che impicca l’adultero e quella fa sempre in quella camera restare ove l’amante era impiccato) e III,59 (Il conte Filippo trova la moglie in adulterio, e quella fa morire insieme con l’adultero ed una camerea.)

87 Comandò il signor del luogo che si recasse una fune e volle che la misera moglie ad un chiodo che in una

trave era lungo e grosso, impiccasse il suo amante. Fatto portar una scala, prese la donna la fune e quella piangendo amarissimamente, al collo de l’Amante annodò e salita su la scala ed al grosso chiodo quella attaccata, il povero e sfortunato amante strangolò. Fece poi levar di camera tutte quelle cose che dentro

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costringerla a confessare le sue colpe e i nomi dei suoi amanti, viene poi chiusa in un sacco e gettata nel fiume Po.88

L’autore racconta queste sadiche atrocità con un’impassibilità: non una parola di rimprovero nei confronti di questi mariti, che con il loro buon diritto non provano alcun tipo di emozione o di dubbio.

Il tema del rispetto dovuto all’onore e all’autorità del marito assume un carattere esplicitamente politico quando l’infedeltà della donna è aggravato dall’assassinio di suo marito (II,33; III,18)89. Qualunque siano le ragioni che avevano spinto le donne all’atto estremo della morte, il verdetto di Bandello, generalmente piuttosto indulgente agli errori delle donne, cade senza appello e la sua severità prende una svolta polemica.90

Bandello è più incline ad assolvere gli uomini che le donne colpevoli di omicidio e non sempre pretende le prove delle loro colpe. Ad esempio, madama Cabrio, protagonista della novella II,33, viene denunciata come responsabile di una serie di crimini commessi contro il marito e i figli, con nessun testimone che stabilisce effettivamente le sue colpe, facendo in modo che frasi di pettegolezzi di un ambiente ostile, e ricamati su fatti magari casuali l’abbiano resa colpevole.

Altre delle novelle di adulterio di tono tragico presentano casi di donne rimaste prive del controllo del marito e incapaci di dominare la propria instabile natura, e pertanto condotte

v’erano,e solamente in un catitone fe’ lasciar tanta paglia quanta a pena sarebbe bastata a dui cani per corcarsi.[…] Egli fece di modo con crate di ferro conciar la finestra che impossibile era uscirne; poi fece murar l’uscio e vi lasciò solo un picciolo buco per il quale a le povere donne faceva dar pane ed acqua e non altro, lasciando la cura al castellano del tutto. Le sciagurate donne amaramente il lor fallo piangendo, chiuse restarono, ove guari non stettero che cominciando l’impiccato a putire, si sentiva cosí gran puzzo che tutto il mondo si sarebbe ammorbato. Or qual fusse la vita de la gentildonna pensilo ciascuno. Ella era del suo amante stata manigolda e quel fiero spettacolo dinanzi agli occhi mai sempre si vedeva, e giorno e i notte l’intoterabil puzzo che da le marcite membra dei giovine usciva, era astretta a soffrire. In questa cosí misera vita stette ella forse sei anni insieme con la sua vecchia. Infermandosi poi gravemente, il marito tutte due le fece cavar fuori e in una camera porre ove in breve la gentildonna morí. (II,12)

88 “A la donna fece il conte cavar i denti ad uno ad uno con la maggior pena del mondo; la quale confessò

del veleno che al marito dato avea, e che a molti, i quali nomò, s’era amorosamente sottoposta, che di mente mi sono usciti.[…] Intesa la confessione de la moglie, quella tenne alcuni dí in prigione in pane ed acqua. Ciò che poi ne divenisse, non si sa; ma si tiene che non dopo molto la facesse, messa in un sacco, macerare in Po, con un gran sasso al sacco legato; come medesimamente si dice che aveva fatto d’una cameriera de la contessa, che in camera di lei dormiva e sempre degli amori di quella era stata consapevole.” (III,59)

89 III, 18 Rosimonda fa ammazzare il marito, e poi se stessa e il secondo marito avvelena, accecata da

disordinato appetito.

90 “Di modo che ella, che nata era nobilmente e allevata a nodrita con delicatezze ed usa a comandare ed

esser servita, adesso ubidisce e serve altrui. E a questa misera vita ella per se stessa s’è condutta per voler adempire tutti i suoi disonesti appetiti. A la quale certamente si deverebbe aver compassione, se ella nel marito e nei figliuoli e in tanti altri, come una Medea o Progne, fieramente non incrudeliva.”. (II,33 Infortunato ed infausto amore di madama Cabrio provenzale con un suo procuratore e morte di molti).

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a esiti disastrosi. L’esempio più celebre è la storia della più volte citata Contessa di Cellant, il cui marito, conoscendone la natura, la «governò mentre che visse di tal maniera, che ella era stimata una delle oneste e costumate donne di Milano». Dopo la morte del marito, la donna, essendo di «poco cervello» e incapace di controllare i propri «disordinati e disonestissimi appetiti», viene trascinata in una spirale di violenza che causa dapprima la rovina di due giovani innocenti e si conclude infine con la sua condanna a morte.

In questa e altre novelle tragiche Bandello sembra anche particolarmente preoccupato di mostrare al lettore le conseguenze derivanti dall’abbandonarsi a un appetito incontrollato, lasciando da parte il freno della ragione. È il caso di Pandora, la nobildonna protagonista della novella III, 52 il cui adulterio è condannato con fermezza in quanto non pare avere nessuna giustificazione ragionevole, ma è invece dettato da lascivia. La colpa di Pandora è, nondimeno, la stessa gratuita curiosità sessuale che Bandello identifica e biasima nei mariti in molte altre novelle di adulterio.

La maggior parte delle novelle tragiche offre così esempi di donne fuori controllo, condotte alla rovina sociale, e in alcuni casi anche a una morte violenta, dal proprio smisurato appetito sessuale. Il fatto che le protagoniste di queste novelle appartengono ad un ceto socialmente elevato risulta poi interessante, poiché alcune di esse hanno addirittura come protagoniste donne di potere, come regine o imperatrici, la cui attitudine disordinata e licenziosa ha effetti catastrofici sul governo del territorio a loro soggetto.

L’esempio più eloquente in questo senso è rappresentato dalla storia di Romilda, duchessa del Friuli, la quale presa da un’irresistibile passione per Cancano, il re barbarico che le aveva ucciso il marito, apre per lui la porte della città permettendogli di uccidere i propri figli e di saccheggiare e distruggere il ducato. Cancano infine condanna Romilda a una pubblica esecuzione, «acciò fosse in esempio che non debbiano le donne preponere la libidine a la ragione né uno piacer carnale a l’utile e a l’onesto.»

È anche notevole che tutte le novelle riguardanti la tragedia conseguente al comportamento di una nobildonna vengano narrate in presenza di donne di alta classe sociale, o siano a loro dedicate. Di conseguenza, novelle simili possono essere lette come un invito a ricordare l’importanza di continenza e onore per una donna di potere.

Ancora la novella della duchessa di Borgogna, dove Bandello descrive gli effetti distruttivi che una donna provvista di potere e una natura sregolata può avere sull’armonia di una società di corte. La duchessa «non si contentando degli abbraciamenti del duca, desiosa ritrovare uno che meglio le scotesse talora il pelliccione, e non avendo rispetto al grado ove era e a l’amore e ottime demostrazioni che il marito le faceva tutto il dì», tenta di sedurre il

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giovane cortigiano Carlo, il favorito del marito. L’ «affocata donna, vinta dal suo libidinoso appetito» tenta di scoprire con prudenza se il giovane abbia qualche interesse verso di lei, ma accortasi che Carlo si limita a fingere di non comprenderne le velate insinuazioni, decide quindi di rivelarsi. Quando Carlo ne rifiuta apertamente le profferte amorose in nome della fedeltà al proprio signore, la donna apre la strada a una spirale di gelosia e diffamazione che si conclude con la morte di Carlo e con l’assassino della duchessa per mano del marito. La duchessa è rappresentata come esempio dei pericoli che una donna di elevata condizione corre nel lasciare che le disordinate brame trionfino sulla ragione, sull’onore e sui doveri imposti dal proprio status sociale. Insieme ad altri esempi di donne potenti ma dalla natura turbata, la storia della duchessa di Borgogna è parte di un quadro più vasto, che tradisce un senso di persistente disagio nei confronti delle donne al potere.

Per concludere su questo tema del tragico adulterio, possiamo vedere come queste storie che portano alla repressione dell’infedeltà femminile offrono due caratteristiche comuni: da un lato, queste mogli hanno di solito un rapporto con uomini di rango inferiore e con mariti che vengono ritratti come uomini onorevoli. Se la gerarchia sociale tra marito e amante viene invertita, come accade nella novella I,59, allora il risultato può essere molto diverso91. Dall’altro lato, in queste relazioni di adulterio, le pene più severe vengono

riservate alle «dames de qualitè», che raramente sfuggono alla pena capitale.

91“ In Mantova un artefice si trovò aver una figliuola di quindeci anni, assai piú avvenente e fuor di modo

bella che a la sua bassa condizione non si conveniva, non si trovando alora figliuola nessuna di gentildonna che di bellezze l’agguagliasse. Piacque ella sormmamente a un signore di Gonzaga, di quelli, dico, che sono de la casa marchionale; il quale poi che s’avvide esser in tutto da le bellezze di Margarita vinto, chè cosí la giovanetta si chiamava, tanto fece e tanti modi usò che divenne di lei possessore, e dell’amor di quella con grandissima contentezza godeva. E quanto piú di quella aveva copia, tanto piú pareva che l’amore verso di lei crescesse; e di tal maniera andò la bisogna che egli ogni notte, o lo sapesse il padre de la Margarita o non, se n’andavaseco amorosamente a giacersi. Durando questa amorosa pratica, il padre la maritò in un giovine che lavorava di spade, il quale era assai di casa e di qualche roba agiato, e da pari suo teneva la moglie molto comodamente insieme con una fanticella che faceva cotati servigetti per casa e attendeva a la Margarita.[…] . L’adirato marito nulla del fuggir degli amanti avendo sentito, tornato di sopra ed in camera entrato, come vide la lucerna ammorzata -Ahi malvagia femina, –gridando disse, io t’ho pur colta, e non ti varrá l’aver spento il lume. –Il dire, e il dare del’arme a traverso il letto fu tutto uno. E quivi furiosamente di man dritti, riversi, fendenti e stoccate giocando, sfogava l’accesa colera. Fra nel detto letto in un lato la figliuolina de la Margarita corcata che poteva aver circa diciotto mesi; e menando il inarito coltellate da orbo, avvenne che in un tratto d’una coltellata egli, non gli sovvenendo de la bambina, le tagliò via di netto tutte due le gambe. La povera creatura gemendo miserabilmente se ne morì. Del che avvedutosi lo sfortunato spadaro e brancolando per il letto è vi trovando persona se non il corpicino monco de la sventurata bambina, dolente oltra misura e disperato di cosí pietoso caso, fece a la fanticella che al romore era corsa accender il lume.” (I,59, Uno divenuto geloso de la moglie credendo quella con l’adultero ammazzare, una sua figliuola uccide.)

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La morale che più o meno esplicitamente è alla base di queste sanguinose disavventure è che la gentildonna (e per una ragione più forte le donne di sangue reale) seppure fatte dalla stessa sostanza delle donne di bassa condizione, sono presentate con una punta in più di «concupiscibile appetito» a causa dell’ozio e del lusso in cui vivono, devono più delle altre resistere alle tentazioni della carne. Bandello in I,26 «Nè perchè ci sia talora una malvagia femina si vogliono l’altre sprezzare; anzi per una buona, chè molte ce ne sono, devono tutte l’altre esser dagli uomini sempre onorate e riverite, perciò ch’io porto ferma ma openione che mai non sia lecito contra le donne incrudelire», difende i valori della fedeltà femminile e dell’onore, anche con violenza e ferocia, che sarebbe difficile da spiegare senza fare riferimento all’irrigidimento della società nobiliare italiana verso la metà del XVI secolo. Ma non si tratta solo di onore.

Castiglione in un passaggio del suo Cortegiano esprime, sulla fedeltà delle donne, le ansie e le esigenze della casta nobile, le cui pretese, se non i privilegi, erano basate