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La Guerra dei sei giorni (1967) e la guerra del Kippur (1973)

La crisi di Suez (1956) alimentò il focolaio che si era ormai consolidato nel Medio Oriente; i paesi arabi non riconoscevano lo Stato di Israele (stato ebraico), l’Unione Sovietica era diventata un’alleata dell’Egitto mentre gli Stati Uniti sostenevano Israele. Inoltre Israele continuava ad avere problemi con la frontiera della Siria, poiché si faceva sempre più drammatica la situazione dei profughi palestinesi, che ammontavano a circa a 135 mila (quelli mantenuti dall’Unrwa). In tale clima politico nasce un movimento di resistenza palestinese che vuole tentare di riconquistare il territorio perduto e di ostacolare la propria espulsione. Una resistenza che porta, il 30 maggio del 1964, grazie ad un congresso

      

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G. Codovini, Geopolitica del conflitto arabo israeliano palestinese, Bruno Mondadori, 2009

nazionale palestinese riunitosi a Gerusalemme (lato giordano) alla nascita dell’OLP101. All’interno di questa organizzazione rientravano diverse entità politico-militare di vari orientamenti (tra le quali, al Fatah, fondata e guidata da Yasser Arafat e Khalil Wazir), divise nei programmi ma unite nel voler rendere libera ed indipendente la Palestina. Si tratta di un punto di svolta nella storia della resistenza palestinese. La nascita dell’OLP sotto l’egida egiziana scaturisce da una decisione della lega araba ed esprime la necessità per questi regimi di tener conto della nuova realtà palestinese e della formazione in esilio di un élite palestinese di alto livello culturale e politico. Molto più di Ahmad Shukary, posto alla direzione dell’OLP da Nasser, la nuova generazione palestinese è rappresentata da Yasser Arafat: giovane ingegnere, più radicale e più indipendente dai Paesi arabi, presidente dell’Unione degli studenti palestinesi dal 1952 al 1956, che nel 1959 crea con i suoi amici in Kuwait il movimento al Fatah. La resistenza palestinese, attraverso la brigate militari di al Fatah, il primo gennaio 1965 effettua la sua prima operazione in Israele102 . Da questo momento è un susseguirsi di combattimenti che determinano, nei loro diversi risultati, conseguenze politiche rilevanti103. Il presidente Nasser chiede il ritiro dei caschi blu dal Sinai, chiude il golfo di Aqaba, porto indispensabile per gli approvvigionamenti israeliani e realizza un'alleanza con l’esercito giordano. Il 5 giugno del 1967, gli israeliani attaccano l’Egitto, la

      

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“Organizzazione per la liberazione della Palestina” il cui primo presidente fu Ahmad al- Shukary. Nel 1969, a prendere le redini dell’organizzazione sarà Yasser Arrafat. 

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Questo modello di combattente (il feday) ha richiamato alle armi molti giovani palestinesi che stanchi del maltrattamento e delle violazioni dei diritti, hanno scelto la lotta piuttosto che rimanere inermi.

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Il 22 marzo 1968, all’indomani della quasi leggendaria battaglia di Karameh (in Giordania), le organizzazioni fedayin (gruppi anti-israeliani) si uniscono all’OLP che adotta la Carta nazionale.

Giordania e la Siria. Nel corso della guerra dei Sei Giorni104, Israele riesce a neutralizzare l’intera aviazione egiziana e si spinge fino al Canale di Suez. Sull’altro versante, siriano e giordano, gli israeliani raggiungono le alture del Golan e la Cisgiordania, entrano nelle città di Gerusalemme, Gerico, Betlemme e Nablus, fermandosi a 45 km da Damasco. Tra l’8 e il 10 giugno, sotto invito dell’Onu, gli Stati contendenti, accettano di porre fine all’ostilità. La prepotente vittoria di Israele ridefiniva nuovamente la cartina geografica della terra di Palestina 105 , dando luogo altresì all’esplodere di sentimenti che porteranno alla nascita del fondamentalismo islamico e determineranno, come vedremo, un cambiamento profondo nella questione palestinese. Il 22 novembre 1967, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approva all’unanimità la Risoluzione 242106, di sicuro la più discussa tra quelle emerse dall’Onu e definita come un capolavoro diplomatico di ambiguità. La Risoluzione prevedeva, tra l’altro, il riconoscimento e il rispetto per la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di ogni stato dell’area e la necessità di operare una pace giusta e permanente. Di qui, ogni attore del conflitto, interpretava la risoluzione a modo suo: per gli arabi era un invito esplicito a Israele, da parte delle

      

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Durante la guerra, Israele provocò pesanti distruzioni nei villaggi arabi (molti rasi al suolo), ottenendo l’esodo di altri 200 mila palestinesi dai territori occupati. Tale cambiamento demografico non ha carattere soltanto quantitativo ma rappresenta anche la base del “salto qualitativo” nell’organizzazione della popolazione palestinese.

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A partire dal luglio 1967, vi si sono già installate le prime colonie e il vice Primo Ministro israeliano Allon presentava un piano per l’annessione di quasi un terzo della Cisgiordania e la moltiplicazione delle colonie dette di “sicurezza”, in particolare nella valle del Giordano. Tuttavia, dieci anni più tardi, il numero totale dei coloni era solo di 5 mila persone, contro gli oltre 250 mila di oggi (senza contare i 200 mila abitanti ebrei di Gerusalemme-Est).

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La risoluzione 242, votata il 22 novembre 1967 dal Consiglio di sicurezza dell’ONU a seguito della guerra dei sei giorni, ribadire un principio fondamentale del Diritto Internazionale, il divieto, per il paese occupante, di appropriarsi di territori dell’occupato; stabiliva altresì due condizioni essenziali ai fini della pace: il ritiro di Israele dai territori occupati e il reciproco riconoscimento tra i due stati.

Nazioni Unite, a lasciare la Palestina e far rientrare i profughi nelle loro case. Per Israele, invece rappresentava il bene placet per continuare l’occupazione dei territori acquisiti. Centrale in questa analisi è la riflessione sulla Guerra dei sei giorni, in cui la disfatta palestinese fu evidente e foriera di conseguenze. Se prima, la lotta da parte araba era laicamente anticolonialista e anti imperialista, in seguito alla Guerra dei sei giorni, si moltiplicano gli appelli religiosi alla guerra santa. La questione dei profughi palestinesi diventa sempre più complicata; nasce la voglia di emancipazione dai governi arabi, e viene formandosi la coscienza di voler essere nazione tra le nazioni107. Il 4 febbraio 1969, Yasser Arafat diventa presidente del Comitato esecutivo dell’OLP., segnando la vittoria della strategia della lotta popolare armata e avviando una tattica terroristica, con uno scambio tra le élite arabe e il movimento nazionale palestinese. Come avevamo accennato, in precedenza, si ha un’escalation del conflitto che durerà fino agli anni Ottanta. La situazione precipita nel settembre del 1970, in Giordania, quando re Hussein, preoccupato delle destabilizzazioni prodotte sulla monarchia hascemita dalle milizie palestinesi, ne progetta una cruenta repressione nel nord della Giordania, dove morirono numerosi leader dell’ OLP; ne conseguì il trasferimento dell’organizzazione in Libano, a Beirut. Inoltre, nel 1970 Nasser muore e viene eletto come nuovo presidente dell’Egitto Anwar Sadat, il quale vuole coinvolgere in funzione anti israeliana unicamente i paesi arabi, per poter riaffermare l’egemonia araba; pertanto si svincola dal condizionamento sovietico e inizia a pianificare una strategia di recupero del Sinai. Il 6 Ottobre 1973, il giorno della festa

      

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Codovini G., Geopolitica del conflitto arabo israeliano palestinese, Bruno Mondadori, 2009. 

ebraica dello Yom Kippur108, i paesi confinanti con l’Egitto, Siria e Giordania, attaccano la linea israeliana. Il 14 ottobre inizia il contrattacco ad opera di Arion Sharon. Arrivati ad un punto critico, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, si accordano nella risoluzione 338, che, nel fissare il “cessate il fuoco” entro le 12 ore, ribadisce la richiesta di applicazione della risoluzione 242 del 1967109; Israele cessò il fuoco ma rifiutò l’applicazione della risoluzione 242.