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Origini dello Stato israeliano e analisi storica del conflitto con Israele

L’idea di uno Stato israeliano è piuttosto antica. Gli israeliani, in particolare quelli europei, hanno sempre immaginato e auspicato la fine della loro diaspora78 e relativa riunificazione in uno Stato unitario, ebraico, con confini certi e una propria specifica autorità. È sempre stata presente, sebbene diffusa e frammentata in una galassia di comunità

      

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L'origine della diaspora ebrea viene fatta risalire al 135 d.C., con Bar Kokhba, rivoluzionario ebreo che guidò l’ultima rivolta contro i romani. La ribellione scoppiò per due motivi. In primis, il divieto di circoncisione imposto dall'imperatore Adriano, con il chiaro scopo di eliminare un costume non solo giudaico, considerato barbaro e in contrasto con i canoni estetici adrianei (per i giudei, invece rappresentava un atto mirato a interrompere il patto tra Dio e il suo popolo). Secondo poi, il progetto di costruire una nuova città sulle rovine di Gerusalemme e, insediarvi il culto romano di Giove (un vero sacrilegio per gli ebrei). La sconfitta da parte dei ribelli comportò, come conseguenza, la partenza della maggioranza delle popolazioni ebraiche, ad esclusione di una ristretta minoranza, che per mezzo delle migrazioni successive arriverà a contare, all’inizio del XIX secolo, una dozzina di migliaia di persone. Nel mondo invece gli ebrei diedero vita ad una vera diaspora (dal greco dispersione), in cui il ricordo della “patria perduta” è tenuto in vita solo dalla religione. 

sparse per il mondo, l’idea di un nazionalismo ebraico in grado di rivendicare una terra e una patria. Questa aspirazione trova il suo tentativo formale di elaborazione e organizzazione alla fine del 1800 con Theodor Herzl, intellettuale ebreo d’origine austroungarica, il quale per primo delineò come problematica di valenza mondiale la diaspora del popolo ebraico e l’assenza di uno Stato in cui riunificarsi. Egli elaborò, nella sua opera Der Judenstaat79 (1896), la tesi principale del suo pensiero relativa alla formazione di una società ebraica entro uno Stato proprio, con distinta personalità internazionale, ove convogliare in pacifica immigrazione gli ebrei di tutto il mondo. Per perseguire questo obiettivo fondò il movimento sionista, che assunse natura coloniale a seguito della decisione di promuovere la nascita della nazione ebraica in terra palestinese. Per tutta la vita, Herzl cercherà di ottenere appoggi internazionali capaci di garantirgli, o almeno di impegnarsi nella realizzazione del suo ambizioso progetto, trovandone da subito e in particolare nella Gran Bretagna. Nel 1897 organizza il Primo Congresso sionista mondiale, nel cui programma dichiara: “il Sionismo si sforza di ottenere per il popolo ebraico in Palestina una sede nazionale riconosciuta pubblicamente e garantita giuridicamente” e ancora, “solo nella terra degli avi promessa da Dio, gli ebrei potranno sentirsi uguali a tutti gli altri popoli e non essere discriminati”80 come invece era avvenuto in Europa per secoli. È utile ricordare che già due anni dopo questa dichiarazione, ossia nel 1899, l’intellettuale palestinese Yussuf

      

79Herzl T., Der Judenstaat, Leipzig und Wien, 1896 80

Il congresso si tenne a Basilea (Svizzera), dal 29 al 31 agosto del 1897, qui si creò l’Organizzazione sionista, il suo leader terminò il congresso dichiarando le seguenti parole: « Dovessi riassumere il Congresso di Basilea in una parola - che mi guarderò bene dal pronunciare pubblicamente - sarebbe questa: A Basilea, io fondai lo Stato Ebraico. Se lo dicessi ad alta voce oggi, mi risponderebbe una risata universale. Se non fra 5 anni, certamente fra 50 ciascuno lo riconoscerà. »

Diya Pascià ammoniva, con una lettera di forte impatto emotivo, lo stesso Herzl sul fatto che, mentre il sionismo era “in teoria un’idea del tutto naturale e giusta”81 come soluzione del problema ebraico, la Palestina faceva parte dell’impero Ottomano, era popolata in grande maggioranza da non ebrei ed era venerata da 390 milioni di cristiani e da 300 milioni di musulmani; continuando, domandava: “con quale diritto gli ebrei la rivendicavano per sé?”. La ricchezza, secondo Yussuf, non può comprare la Palestina, la quale invece “può essere conquistata solo con la forza dei cannoni e delle navi da guerra”. È in questo contesto, sommariamente ricostruito, che si consolida il sionismo, il cui scopo è creare uno Stato fondato sulla religione in una terra, la Palestina, in realtà già abitata da altre popolazioni in larga maggioranza non ebree. In Palestina, nel 1895, risiedevano, infatti, 644 mila arabi (92%) e 56 mila ebrei (8%). Nonostante ciò, uno degli slogan più noti del movimento sionista è stato “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Si trattava evidentemente del tentativo di diffondere una tesi utile allo scopo, nascondendo la realtà dei fatti, cioè la presenza di diverse comunità che da secoli abitavano quei luoghi e che consideravano gli stessi la propria patria. In definitiva, sino al 1948, i sionisti sono coloro che hanno l’ideale politico di costruire lo Stato ebraico, mentre una volta nato lo Stato di Israele si definiscono sionisti quanti riconoscono che esso non appartiene solo ai suoi cittadini ma a tutto il popolo ebraico. Con il sionismo comincia una lenta immigrazione di ebrei in Palestina. Per la costruzione di un nuovo Stato erano però indispensabili tre elementi: il territorio, la popolazione e l’accordo con una potenza mondiale che ne permettesse la realizzazione. I fatti storici del ’900

      

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favorirono tutte queste condizioni82. Un momento di svolta epocale è rappresentato dalla sconfitta dell’Impero Ottomano ad opera degli inglesi83, con il conseguente passaggio della Palestina, di fatto, sotto il mandato britannico. Gli inglesi, i quali avevano già intrattenuto rapporti politici e assunto impegni con Hertzl, consideravano quell'area luogo ideale e strategico per i propri interessi in Medio Oriente ed è in funzione di ciò che, nel 1917, con la Dichiarazione Balfour84, approvarono il progetto sionista. L’Inghilterra era interessata a creare, in quelle terre abitate in maggioranza da arabi, una colonia europea che le agevolasse nel controllo sul Canale di Suez. Il 2 novembre 1917, il Ministro degli Affari Esteri britannico, Lord Arthur James Balfour, dichiara che il governo di Sua Maestà “considera favorevolmente la creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico e farà tutti gli sforzi necessari per facilitare la realizzazione di questo obiettivo, e dichiara beninteso che non sarà fatto nulla che possa violare i diritti civili e

      

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La Palestina è stata, storicamente, oggetto di continue conquiste da parte di numerosi popoli: Egizi, Filistei, Ebrei, Romani, Bizantini e molti altri. Nei quattro secoli che vanno dal 1500 alla prima guerra mondiale, questa regione diventa parte dell’Impero Ottomano, governata dai turchi e abitata in maggioranza da popolazioni arabe che parlavano la lingua araba e professavano religione islamica. Per il resto, solo il 20-25% erano arabi cristiani e l’8% ebrei.

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Nel dicembre del 1914, durante la prima guerra mondiale, gli Ottomani entrarono in guerra a fianco della Germania e dell’Austria. L’aiuto militare ed economico fornito dalla Germania, il tradizionale timore ottomano della Russia, probabilmente l’ambizione di rientrare in possesso di alcune province, convinse gli Ottomani a unirsi agli imperi centrali. Per reazione, inglesi, francesi, russi e italiani si accordarono per spartirsi le province ottomane. L’accordo Sykes- Picot (1916) stabilì che la Francia avrebbe esteso la sua sfera d’influenza sul Libano, la Turchia sudoccidentale, la Siria settentrionale e l’Iraq settentrionale, mentre l’Inghilterra avrebbe avuto il resto dell’Iraq, la sponda araba del Golfo Persico e la Transgiordania; per la Palestina fu previsto un regime internazionale; la Russia avrebbe ottenuto Istanbul e alcune zone dell’Anatolia orientale, la cui parte meridionale fu promessa all’Italia.

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Due sono gli elementi che meritano particolare attenzione per quanto riguarda la Dichiarazione di Balfur: 1. La creazione di un “focolare nazionale” per gli ebrei in Palestina. 2. Il rispetto dei diritti civili e religiosi degli ebrei nel resto del mondo e delle comunità non ebraiche presenti in Palestina. 

religiosi delle comunità non-ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e gli statuti politici di cui gli Ebrei godono in ogni altro Paese”.

Una dichiarazione che contravvenne gli impegni che la Gran Bretagna aveva già assunto e principalmente la promessa fatta nel 1916 allo Sceriffo della Mecca, Hussein Ibn Ali, come a Ibn Saoud, di “riconoscere e sostenere l’indipendenza degli arabi”, in cambio della loro partecipazione alla guerra contro i turchi. Gli accordi intercorsi lo stesso anno tra inglesi e francesi, i cosiddetti accordi Sykes-Picot, ambivano a spartirsi il regno destinato agli arabi e non prevedevano una sede nazionale ebraica. La stessa terra veniva promessa, in sostanza, a due popoli: quello arabo, già presente nell’area e quello ebraico, allora in assoluta minoranza ma forte di accordi, sebbene contraddittori, già sottoscritti tra il movimento sionista e gli inglesi. Come sosteneva l’ungherese naturalizzato inglese Arthur Koestler “una nazione ha solennemente promesso a una seconda (nazione) il territorio di una terza”. Per favorire l’immigrazione ebraica in Palestina, gli inglesi promulgarono leggi che consentirono l’acquisizione di terre da parte degli ebrei europei e riconobbero all’organizzazione sionista la giurisdizione sulla popolazione ebraica, la quale già nel 1927 arriverà a contare ben 170 mila presenze, creando un embrione del futuro Stato israeliano. Le popolazioni arabe vengono, invece, svantaggiate in ogni modo ed impedite a crescere, segnando, anche in questo caso, un modus operandi che si sarebbe ripetuto in seguito, con azioni ben più determinate e spesso atroci. Londra ha sottovalutato la resistenza degli arabi. Il malcontento per il tradimento delle promesse degli inglesi, già vivo nel 1917, cresce durante le due guerre a causa dell’istituzione della sede nazionale ebraica in violazione della clausola del Mandato che

proteggeva le popolazioni non ebraiche. Nell’estate del 1929 scoppiò la prima sanguinosa rivolta palestinese in cui i sionisti e i soldati inglesi uccisero 351 palestinesi. Dal 1920 al 1936, in seguito agli scontri avuti con le forze britanniche, si susseguirono diverse insurrezioni armate guidate dallo Shaykh 'Izz al-Dīn al-Qassām85, divenuto martire, con i suoi fedeli compagni. L’arrivo di Hitler al potere in Germania aumenta considerevolmente l’afflusso d’immigrati e di capitali ebrei in Palestina. L’organizzazione sionista, d’altronde, firma nel 1933, con le autorità naziste, l’accordo detto Haavara che permette e facilita questa immigrazione. La reazione degli arabi sfocia nelle rivolte del 1936-39, attraverso scioperi, attentati e scontri armati, subito represse nel sangue dal governo inglese. Nel 1939, l’Inghilterra, per ridurre le tensioni nell’area e assicurarsi le fonti petrolifere, è costretta a fare concessioni ai paesi arabi. Costituisce una commissione d'inchiesta e redige un “Libro bianco”, nel quale sono previste misure draconiane, tra cui, in primis, la limitazione dell’immigrazione ebraica a 75 mila persone per i primi cinque anni e sottomissione al consenso arabo di ogni successivo flusso immigratorio; secondo poi, il divieto di acquistare terre da parte del movimento sionista nelle zone cruciali del Paese e riduzione drastica altrove. La Palestina, in sostanza, destinata all’indipendenza nei successivi dieci anni, sarebbe praticamente certa di restare in prevalenza araba. La limitazione dell’immigrazione ebraica determina l’entrata in

      

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Lo Shaykh al-Qassām era un leader carismatico della lotta degli anni trenta, la sua tomba che si trova nei pressi di Haifa, è uno dei pochi resti che esiste tutt’oggi. Con la sconfittadello Shaykh al-Qassām, nel 1937 il suo posto fu preso da Abd al-Qadir al-Husayni, ma anche lui insieme ai suoi compagni venne ucciso dalle forze sioniste e inglesi. In seguito nel 1944 Hassan Salama prese la guida della resistenza contro le forze sioniste e britanniche, però anche lui cadde in battaglia. Ed infine nel 1940 la questione della Palestina divenne una questione araba e uno dei problemi internazionali più importanti. 

azione di gruppi paramilitari sionisti (gruppo Stern, Irgun e altri, con a capo alcuni dei futuri capi di Stato israeliani come Begin e Shamir), i quali non esitarono ad agire attraverso azioni terroristiche dirette contro la stessa Inghilterra, (attentato all’Hotel King David, con 91 vittime), le Nazione Unite (assassinio del rappresentante a Gerusalemme) e i palestinesi (massacri della popolazione civile per indurla ad abbandonare case e terre, subito occupate da immigrati ebrei).

Malgrado ciò, il libro bianco resta formalmente vigente sino alla ritirata inglese del 14 maggio 1948. Questa situazione venne completamente ridisegnata dalla seconda Guerra Mondiale. Fino a quel momento, l’idea sionista restava minoritaria, sebbene avesse prodotto conseguenze importanti, con la presenza stabile di un gruppo di ebrei ormai insediato in Palestina e la diffusione e il radicamento nel mondo dell’idea di uno Stato ebraico.

Il genocidio nazista cambia tutto. Centinaia di migliaia di ebrei sopravvissuti all’Olocausto non poterono o non vollero rientrare nel Paese d’origine e il movimento sionista ne approfittò per organizzare un’immigrazione “illegale” verso la Palestina. Aumentò sempre più la conquista di terre: delle nuove acquisizioni, solo il 5,6% venne comprato, il resto venne sottratto ai palestinesi mediante occupazione (nel 1925 solo il 7% del territorio era di ebrei). Lo sterminio degli ebrei aveva infatti fornito una legittimazione tragica alla lotta dei sionisti per uno Stato ebraico, soprattutto agli occhi delle coscienze occidentali, turbate da un giustificato senso di colpa. Durante il congresso sionista di Baltimore del 1942, organizzato negli Stati Uniti, venne fissato

esplicitamente l’obiettivo dello Stato ebraico: Ben Gurion86 affermava che “chi vuole e può garantire che ciò che è successo in Europa non si verificherà ancora? (…) Non c’è che un unico modo di salvaguardarsi: una patria e uno Stato”. Si immagini la forza di quest’argomentazione nel 1945 subito dopo la rivelazione della Shoah.