6.1 La ricerca empirica
6.1.4 Le caratteristiche delle famiglie intervistate
In questo paragrafo verranno indicati alcuni elementi per poter inquadrare la tipologia di famiglie che ho intervistato in entrambi i contesti prescelti, scegliendo tre comunità dislocate in tre aree diverse del paese. In Svezia, come anticipato nel capitolo quarto, ho scelto le
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Merton R.K., RobertK., Fiske, M.O. e Kendall, Patricia L., “ The Focused Interview”, New York:The Free Press, 1956
città di Uppsala, Stoccolma e Göteborg. In Italia, invece, sono state selezionate le città di Pavia224, Roma e Napoli.
Nell’aprile del 2012 ho avuto la possibilità di risiedere per un mese intero in Svezia, dopo aver preso contatto con le associazioni locali che si occupavano della questione palestinese225 e con i suoi due opinion leaders. Ho iniziato a svolgere le mie interviste nella città di Uppsala. Mi è stato possibile, sin da subito, percepire la forte apertura degli intervistati se era accompagnata da uno dei miei referenti. In realtà, attraverso il mio opinion leader palestinese residente in Norvegia sono riuscita ad entrare in profondità nel tessuto sociale di questa cittadina ed ho potuto riscontrare che la frammentazione politica esistente in Palestina si riflette inevitabilmente anche nella diaspora226.
Ad Uppsala ho intervistato dieci famiglie, di cui quattro provenienti dal Libano, tre dalla Siria, una dalla Giordania. Proprio nei pressi di Uppsala si trova, come anticipato nel quarto capitolo, il quartiere Gottsunda, in cui risiedono molti palestinesi arrivati dai campi profughi. Nella ricerca delle famiglie intervistate ho espresso chiaramente al mio contatto la necessità di intervistare, possibilmente, nuclei familiari provenienti non solo dai campi profughi ma anche dai Territori Occupati. La ricerca è stata relativamente difficile perché i palestinesi non abitano in ghetti o
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Una volta preso il contatto con l’associazione Italo palestinese di Pavia, mi sono resa conto che solo un numero esiguo di palestinesi risiede nella cittadina, e per tanto essi rappresentano un campione poco significativo; poiché alcune famiglie si erano traferite in altre città, sono riuscita a raggiungerle, e quindi a condurre l’intervista, nel nuovo luogo di residenza, e segnatamente, Venezia, Firenze e Bologna. Soltanto facendo ricerca sul campo mi sono resa conto che avrei potuto sostituire Pavia con un’altra comunità palestinese del nord, probabilmente il Veneto.
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The Solidarity Association of Sweden (PGS)Palestine.http://www.palestinagrupperna.se
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L’atteggiamento dei due referenti, in questo luogo, mi ha portato a compiere una scelta una volta intuito che non potevo frequentare entrambi i leader con la relativa rete amicale. Per tanto, dopo una breve ma intensa riflessione e valutazione dei contatti che mi erano stati forniti, ho preferito orientare la mia disposizione verso la persona che mi ha fornito più contatti.
vicini tra di loro. In effetti, i contatti sono stati rinvenuti solo attraverso la rete amicale del referente. In questo modo sono riuscita ad intervistare una famiglia proveniente da Jenin ed un’altra da Gaza.
La mia seconda tappa è stata Göteborg. Sono stata ospitata per una settimana da una famiglia di palestinesi profughi in Siria, presso la quale ho potuto svolgere un’osservazione partecipata dall’interno, con un notevole arricchimento per il mio studio. La famiglia che mi ha ospitato mi ha aiutato ad organizzare i tempi delle interviste con tre famiglie. Insieme a un’altra coppia molto attiva all’interno di un’associazione sulla Palestina, abbiamo organizzato il focus group, al quale hanno partecipato altre tre famiglie. Ad un’altra intervista ha partecipato una sola ragazza di diciotto anni, a causa di un imprevisto che ha impedito al resto della sua famiglia di essere presente. Le famiglie intervistate provenivano cinque dal Libano, due dalla Siria, una dalla Giordania e una dai Territori occupati.
La terza tappa è stata Stoccolma, dove ho trascorso cinque giorni, nei quali sono riuscita a realizzare tre interviste; una famiglia, nella quale il marito proveniva dalla Giordania, mentre la moglie dal Marocco; in un’altra il capofamiglia era stato prima rifugiato in Libano e poi in Siria, ed era sposato con una donna russa; e nell’ultima il capofamiglia era un funzionario dell’ambasciata palestinese, sposato prima con una donna svedese e successivamente con una donna palestinese. A Stoccolma è stato difficile organizzare gli incontri, per la relativa indisponibilità dei miei contatti, in parte per le festività pasquali ed in parte per motivi di lavoro.
Il totale delle interviste svolte sono state un’ottima premessa sulla quale calibrare anche le interviste che avrei continuato a svolgere in Italia. Qui,
invece, la maggior parte delle famiglie che ho intervistato sono provenienti dai Territori occupati. A Roma ho svolto nove interviste, di cui in quattro casi il capofamiglia proveniva dai Territori occupati, in due dalla Giordania, in una dal Libano e in due da Israele. A Roma, ho condotto le interviste durante il mese di marzo e maggio del 2012.
Nel mese di agosto, mi sono recata per sei giorni a Pavia, dove ho avuto modo di intervistare altre tre famiglie, che hanno avuto un’apertura nei miei confronti appena ho iniziato a spiegare nei minimi dettagli chi ero e in che cosa consisteva la mia ricerca. La disponibilità, in alcuni contesti è stata molto ampia, mentre in altri i ritmi dell’intervista sono stati scanditi dalla rapidità di una quotidianità che rincorreva impegni e doveri; a volte la brevità delle risposte è dipesa dalla non loquacità del soggetto intervistato. Alcuni contatti non si sono resi disponibili e questo mi ha portato ad allargare il campione. Un’intervista è stata svolta ad una famiglia che da Roma e si è trasferita a Venezia ed un’altra che invece si è trasferita a Firenze.
A Napoli, dopo aver preso i contatti con il responsabile delle comunicazioni all’interno della locale comunità, sono riuscita a interagire con altri membri del direttivo e non solo. Qui ho intervistato, nel mese di settembre 2012, sei famiglie, di cui due palestinesi con passaporto israeliano, una proveniente dalla Giordania e tre dai Territori occupati. Sono stati tutti molto cordiali e con alcuni di loro si è manifestata una profonda empatia. Concluso il mio ruolo da ricercatrice, abbiamo continuato a parlare delle difficoltà dei nuovi palestinesi, questa generazione che non ha potuto usufruire dei vantaggi che hanno invece avuto le generazioni passate.