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La natura ripristinatoria della confisca dei proventi

CAPITOLO 2 La natura giuridica della confisca dei proventi criminosi

2.3 Una ricostruzione alternativa: la natura ripristinatoria delle ipotesi di confische dei proventi 47

2.3.5 La natura ripristinatoria della confisca dei proventi

Le diverse estrinsecazioni della confisca dei proventi criminosi, allora, vanno ricondotte alla natura di misura ripristinatoria dell’equilibrio economico turbato dal reato, essendo tutte volte ad eliminare le conseguenze positive che derivano all’autore di un fatto criminoso195. Si tratta di una delle concretizzazioni del principio del nostro ordinamento in base al quale non sono ammissibili spostamenti patrimoniali o arricchimenti non giustificati da una causa lecita196.

194 A tal proposito, appare utile riproporre le riflessioni civilistiche contenute in A.ALBANESE, Ingiustizia del profitto e

arricchimento senza causa, Padova, 2005, 396 in relazione alle ipotesi di ottenimento di un profitto ingerendosi nella

sfera altrui ed a prescindere dalla presenza di un danno: «la restituzione dell’arricchimento integrale non assolve la

funzione riparatrice della responsabilità civile, ma neanche quella punitiva della responsabilità penale. Anche negli arricchimenti ottenuti mediante ingerenze abusive, la funzione dell’azione d’arricchimento senza causa è e rimane indennitaria. Infatti, il convenuto non dovrà mai restituire più di quanto abbia costituito il suo profitto […] e nei limiti della proporzione in cui il vantaggio sia dipeso dallo sfruttamento delle sue (dell’attore, nda) utilità».

195 Aderiscono alla tesi della confisca dei proventi quale strumento di riequilibrio economico, M.ROMANO, Confisca,

responsabilità cit., 1683; A.M.MAUGERI, La responsabilità da reato degli enti cit., 760. Inoltre, con riguardo alla confisca (senza condanna e dunque simile alla confisca del codice antimafia) per cui vi è una proposta legislativa nell’ordinamento tedesco, la relazione di accompagnamento conclude che «a tale misura non dovrà essere attribuita

natura di sanzione penale, bensì di mera misura ripristinatoria dell’ordine economico turbato dall’arricchimento senza causa rappresentato dal reato dal quale il bene proviene; con conseguente inapplicabilità dei principi e delle garanzie costituzionali e convenzionali proprie della materia penale» (sul punto, cfr. T. BETTELS, Misure di prevenzione

patrimoniali. Demnächst auch in deutschland? Darstellung der geplanten non-conviction-based-confiscation-Vorschrift § 76a Abs. 4 StGB des Entwurfs zur Reform der strafrechtlichen Vermögensabschöpfung in Deutschland, in

www.penalecontemporaneo.it, 16 dicembre 2016).

Inoltre, anche la prevalente giurisprudenza in tema di confisca del prezzo della corruzione sostiene il principio di diritto per il quale quando «il prezzo della corruzione è stato soltanto promesso ma non materialmente percepito dal pubblico

ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, né sia materialmente individuabile nel loro patrimonio, non è possibile disporre la confisca per equivalente di altri beni nella disponibilità di tali soggetti, atteso che diversamente essa esplicherebbe un effetto afflittivo non voluto dal legislatore, che l'ha immaginata come sanzione ripristinatoria dell'indebito arricchimento e non anche ablatoria delle utilità solo potenzialmente ricavabili dall'illecito» (cfr. in maniera

più ampia, Cass. pen., sez. VI, 13 febbraio-25 marzo 2014, n. 14017, in cui si dà conto anche della compresenza di uno scopo deterrente della misura; lo stesso principio è affermato da diverse sentenze della Cassazione, precedenti e successive, tra cui Cass. pen., sez. VI, 27 novembre 2012-28 gennaio 2013, n. 4179 e Cass. pen., sez. VI, 22 marzo-23 settembre 2016, n. 39542). Analogamente, in tema di usura, la giurisprudenza ritiene che possano essere confiscati i soli interessi usurari effettivamente percepiti dall’usuraio (e non quelli meramente pattuiti), dovendosi guardare al solo “incremento netto patrimoniale” ricavato dal soggetto attivo del reato (cfr. Cass. pen., sez. II, 11 aprile-20 giugno 2012, n. 24528 e, per una ricostruzione degli orientamenti in materia, M.B.MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura

bancaria, in www.penalecontemporaneo.it, 7 marzo 2017, 18 s.).

196 Quello della giustificazione causale delle attribuzioni patrimoniali è un principio che regge l’intero ordinamento: cfr. F.GAZZONI, Manuale di diritto privato cit., 711. Non rispondono a questa logica soltanto gli istituti di cui agli articoli 2028-2042 c.c., ma, se ci si riflette, tutte le rigide norme in materia di negozi traslativi o l’istituto della causa quale strumento di controllo dell’operare dei privati. Emblematica la riflessione in P.SIRENA, La gestione di affari altrui.

Ingerenze altruistiche, ingerenze egoistiche e restituzione del profitto, Torino, 1999, 32: «si deve infatti rilevare che qualsiasi istituto civilistico di carattere patrimoniale è finalizzato, in termini molto generici ed atecnici, a impedire un arricchimento ingiustificato, in quanto la norma giuridica realizza appunto una giusta composizione degli interessi contrastanti dei consociati. Così, si è rilevato, se il venditore, dopo aver ricevuto il pagamento del prezzo, si rifiuta di consegnare la cosa venduta, il diritto appronta strumenti idonei ad impedire che egli consegua un arricchimento ingiustificato».

Vale la pena richiamare, inoltre, il principio di diritto anglosassone espresso dalla massima di LORD DEVLIN, in base al quale tort must not pay: l’ordinamento non consente ad alcuno di trarre profitto dal compimento di un atto illecito (cfr.

62 Invero, occorre precisare che il principio in parola non trova un’applicazione generalizzata, vista l’esigenza di contemperare la ratio equitativa e di coerenza ordinamentale sottesa ad esso con gli altri interessi, individuali o collettivi, che vengono in gioco. E’ il legislatore a tenere conto di ciò nel selezionare i casi e le modalità di attuazione.

Diversi sono gli esempi in questo senso già in ambito civilistico, ove chiaramente - versandosi nella disciplina dei rapporti inter privatos - l’attenzione è principalmente posta verso il soggetto al danno del quale è avvenuto l’arricchimento197.

A livello contrattuale, il generale rimedio della nullità rende tamquam non esset le operazioni negoziali prive di causa, con causa illecita o comunque contrarie a norme imperative (art. 1418 c.c.), aprendo così la strada alla restituzione di quanto corrisposto nell’ambito di tali operazioni198. Al di fuori dei rapporti negoziali, poi, l’ingiustificato arricchimento è neutralizzato attraverso diverse altre tecniche, che talvolta si pongono nei limiti della deminutio della controparte e talaltra sono invece parametrati all’utile dell’arricchito. La prima conseguenza si ha, generalmente, nei casi di buona fede del beneficiario del profitto: esempi sono la disciplina dell’accessione, dell’unione, della commistione e della specificazione (artt. 934 ss. c.c.) o il rimedio residuale di cui all’art. 2041 c.c.. Si guarda al valore dell’arricchimento tout court, invece, soprattutto nelle ipotesi di buona fede dell’impoverito o di mala fede dell’arricchito: in questo senso, il possessore in buona fede ha diritto ad ottenere un indennizzo per i miglioramenti della cosa restituita, anche in misura maggiore della spesa sostenuta (art. 1150 c.c.), l’accipiens di un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) ed il possessore

citazione in P.SIRENA, La restituzione del profitto ingiustificato (nel diritto industriale italiano), in Rivista di diritto

civile, 2006, 310 s.)

197 Il principio civilistico in base al quale il conseguimento di un vantaggio patrimoniale a carico di altri deve essere giustificato da un interesse meritevole di tutela ha origini antiche: già nel diritto romano erano stati previsti strumenti restitutori rispetto a situazioni di approfittamento socialmente intollerabili (actio de in rem verso) o dazioni comunque indebite (legis actio per condictionem; condictiones indebitae), quali espressioni del «principio cardine del diritto privato

d’ogni tempo: suum cuique tribuere». Inoltre, esso trova applicazione in svariati istituti del nostro ordinamento (cfr.,

anche per la citazione tra virgolette e l’evoluzione del principio in ottica comparatista, C.M.BIANCA, Diritto civile, vol. 5, La responsabilità, Milano, 2012, 823 ss.; si veda anche P.GALLO, Arricchimento senza causa. Artt. 2041-2042, in Il

diritto civile. Commentario, a cura di P.SCHLESINGER-F.D.BUSNELLI, 2003, 239 ss.; per un ampio excursus storico e comparatistico: A.ALBANESE, Ingiustizia del profitto cit., 4 ss., il quale rileva come in epoca romana «il divieto generale

di arricchimento senza causa […] era assurto al rango di principio ispiratore dell’intera disciplina, affiancando il

neminem laedere della responsabilità civile ed il pacta sunt servanda della materia contrattuale»). In giurisprudenza, si veda la recente Cass. Civ., Sez. Un., 14 aprile-26 maggio 2015, n. 10798.

Nell’ambito della disciplina del diritto d’autore, si ritenne di sopprimere nella stesura definitiva della legge 22 aprile 1941, n. 633 l’art. 161 originariamente previsto nel disegno di legge - il quale prevedeva proprio «la reintegrazione nel

suo patrimonio (del titolare, nda) dei benefici pecuniari ottenuti con la utilizzazione indebita» - in ragione della superfluità

della disposizione, che secondo il relatore poteva desumersi dai principi generali dell’ordinamento giuridico. Sul punto, P.MARZANO, Risarcimento del danno e retroversione degli utili nel diritto d’autore, in Il diritto industriale, 2012, 127 ss.

198 In particolare, viene in rilievo l’istituto dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), in base al quale chi ha corrisposto qualcosa non dovuta ha diritto alla ripetizione, salvo che non sussistessero doveri morali (art. 2034 c.c.) o una concorrenza da parte del solvens in uno scopo offensivo del buon costume (art. 2035 c.c.).

63 (art. 1148 c.c.) devono restituire i frutti se sono in mala fede199 e più in generale una simile conseguenza è ricondotta all’istituto della gestione di affare altrui200.

Uno strumento particolarmente forte in questo senso è stato adottato in materia di proprietà industriale: l’art. 125, comma 3 c.p.i. prevede che la vittima di una contraffazione possa chiedere all’autore dell’illecito - oltre al risarcimento del danno - anche la retroversione degli utili percepiti in

199 Nelle ipotesi di buona fede i frutti dovuti sono solo quelli successivi alla domanda, con ciò comunque corroborando l’idea per cui l’arricchimento non giustificato va restituito, salvo che non ci siano alcuni interessi opposti da tutelare (come il legittimo affidamento). Per altre ipotesi, si vedano P.SIRENA, La gestione cit., 115 ss. (e le conclusioni di pag. 148 s.); C.M.BIANCA, La responsabilità cit., 822 s.; P.GALLO, Arricchimento senza causa cit., 248 ss.

200 Si discute se l’obbligo di restituzione del profitto derivi soltanto dall’art. 2032 c.c. (quindi nell’ipotesi di gestione di affare altrui ratificata: così conclude l’opinione prevalente) o più in generale da tutto l’impianto degli artt. 2028 ss. c.c. (in questo senso, P.SIRENA, La restituzione cit., 318; lo stesso A. peraltro ritiene che la gestione di affari altrui non sia tecnicamente ricollegabile agli istituti - 2033 e 2041 c.c. - fondati sul divieto di ingiustificato arricchimento, ma - pur essendo come tutti gli istituti civilistici di carattere patrimoniale genericamente finalizzato a tale scopo - è volto a riequilibrare economicamente gli esiti di un’ingerenza nella sfera altrui, come avviene per il mandato: cfr. P.SIRENA, La

gestione cit., 31 ss.).

Un altro dibattito riguarda se il generale obbligo di restituire i profitti afferenti ad una sfera altrui viga solo per le ipotesi di mala fede (così P.SIRENA, La restituzione cit., 319; amplius, P.SIRENA, La gestione cit., 65 ss.) ovvero se «la

restituzione del profitto netto realizzato mediante un’iniziativa antigiuridica sarebbe dovuto al titolare del diritto leso indipendentemente dalla buona ovvero mala fede del soggetto attivo» (in questi termini, R.SACCO, L’arricchimento

ottenuto mediante fatto ingiusto: contributo alla teoria della responsabilità extracontrattuale, Torino, 1980, 116 e 125).

64 conseguenza della violazione201. E’ un istituto ispirato all’anglosassone disgorgement202 e, per la dottrina maggioritaria, non ha natura punitiva, né compensativa o restitutoria: si tratta di un rimedio ripristinatorio che si presta in maniera efficace a completare la tutela civilistica, accompagnandosi a quelli reintegratori del pregiudizio203.

Tale istituto è forse quello che più di tutti si avvicina alla confisca dei proventi, la quale - avendo natura pubblicistica - riesce anche a superare le principali critiche della retroversione, inerenti all’entrata ultracompensativa di cui gioverebbe la vittima204. Sarebbe infatti lo Stato a provvedere direttamente, a favore della collettività, ad elidere le indebite conseguenze vantaggiose.

201 E’ un istituto introdotto dal d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140, in attuazione dell’art. 13 della direttiva (CE) n. 48 del 29 aprile 2004 (c.d. direttiva enforcement) e da tempo auspicato quale adeguato rimedio per «l’angolo morto degli illeciti

che non producono depauperamenti patrimoniali» (espressione di R.SACCO, L’arricchimento cit., 11).

Già prima della stesura del d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (c.p.i.), invero, la giurisprudenza aveva ritenuto di poter utilizzare gli utili del contraffattore quale indice per la valutazione equitativa del lucro cessante da riconoscere al titolare del diritto leso e nella stessa ottica compensativo-risarcitoria si era mosso anche il legislatore nella prima versione dell’art. 125 c.p.i. (ancora presente nell’attuale comma 1). Per una ricognizione della giurisprudenza sul punto, M.BARBUTO, La

reversione degli utili nel diritto italiano, in Il diritto industriale, 2012, 155 ss.; P.PARDOLESI, Contratto e nuove frontiere rimediali. Disgorgement v. punitive damages, Bari, 2012, 135 ss. In materia di danno all’immagine, cfr. Cass. civ. Sez.

III, 16 maggio 2008, n. 12433, in cui la Corte prevede la possibilità di ristoro mediante il pagamento di una «somma

forfettaria pari al compenso che la parte lesa avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione […] da quantificare in via equitativa anche grazie agli indici desumibili dal novellato art. 158, 2 ° comma l. aut., tra i quali spicca il profitto conseguito dall'autore dell'illecito», visto che «con la pubblicazione non autorizzata l'autore dell'illecito si appropria indebitamente di vantaggi economici che sarebbero spettati alla vittima» e la funzione

del risarcimento è «di ritrasferire tali vantaggi dall'autore dell'illecito al titolare del diritto» (si veda anche il commento in D.BOSCHI, Il c.d. prezzo del consenso tra risarcimento del danno e restituzione dell'arricchimento, in Danno e

Responsabilità, 2008, 1233 ss.)

Solo con la novella del 2006, però, si è allargata la prospettiva, andando a riconoscere “in ogni caso” la restituzione degli utili derivati dalla violazione del diritto. Tale locuzione è stata interpretata da alcuni nel senso che l’applicazione della misura sia applicabile a prescindere dalla sussistenza dei requisiti soggettivi di dolo o colpa (cfr. L. TAURINI, Il

risarcimento del danno da contraffazione, in Proprietà intellettuale e diritto della concorrenza, vol. II, La tutela dei diritti di privativa, a cura di A.S.GAUDENZI, Mirafiori Assago, 2010, 202; P.MARZANO, Risarcimento del danno cit., 131; M. BARBUTO, La reversione degli utili cit., 160), deponendo in questo senso la funzione equitativa (e non punitiva) dell’istituto, nonché le indicazioni che vengono dagli strumenti sovranazionali a cui si ispira (l’art. 13 della citata direttiva

enforcement, in maniera esplicita, prevede al terzo comma che il recupero dei profitti può essere previsto per i casi in cui

«l’autore della violazione è stato implicato in un’attività di violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo»; inoltre, in base all’art. 45 dell’Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs), «in

appropriate cases, Members may authorize the judicial authorities to order recovery of profits and/or payment of prestablished damages even where the infringer did not knowingly, or with reasonable grounds to know, engage in infringing activity». Nel senso contrario, ossia che siano comunque necessari dolo o colpa, C.GALLI, Risarcimento del

danno e retroversione degli utili: le diverse voci di danno, in Il diritto industriale, 2012, 118.

202 L’istituto anglosassone, invero, assume caratteri anche più incisivi, arrivando ad esempio a permettere la costituzione di un trust in cui far confluire tutti i profitti derivanti dal reinvestimento di una tangente incamerata dal funzionario infedele (cfr. P.MILLETT, Bribes and secret commissions again, in Cambridge Law Journal, November 2012, 583 ss.).

203 Sebbene vi sia un orientamento in base al quale l’istituto assumerebbe una natura (quasi) punitiva (P.PARDOLESI,

Risarcimento del danno, reversione degli utili e deterrence: il modello nord americano e quello europeo, in Il diritto industriale, 2012, 133 ss. e, in maniera più ampia, P.PARDOLESI, Contratto e nuove frontiere cit., 53 e 146), la posizione prevalente (e la stessa relazione di accompagnamento al d. lgs. 140/2006) ritiene che l’istituto abbia natura autenticamente ripristinatoria (per un inquadramento nei termini di un arricchimento senza causa sui generis: C.GALLI, Risarcimento del

danno cit., 117; C.MANGIAFICO, Macchina brevettata, prodotti complementari e danno risarcibile. Nota a Trib. Milano,

5 agosto 2005, in Il diritto industriale, 2006, 217 s.; M.BARBUTO, La reversione degli utili cit., 156 ss.; lo riteneva - già prima dell’introduzione dell’art. 125 c.p.i. - un’estrinsecazione della gestione di affari altrui, P.SIRENA, La restituzione

cit., 318).

65 Anche per essa, come nel diritto privato, non vi può essere un’applicazione generalizzata, ma l’intervento ablatorio di riequilibrio economico patrimoniale è discrezionalmente individuato dal legislatore. Ciò avviene in base all’individuazione dei casi in vi sia un pregnante interesse pubblico ad una tale attività recuperatoria dello Stato. Si comprende quindi la previsione della confisca, oltre ad i casi in cui il giudice rinvenga una pericolosità nel mantenimento della disponibilità della cosa (confisca facoltativa)205, in tutte le ipotesi in cui l’ordinamento ritenga già in astratto intollerabile l’acquisizione illecita. In altre parole, sebbene nessuna causa illecita giustifichi un arricchimento, soltanto alcuni contesti criminosi rendono opportuno che lo Stato si attivi direttamente per eliminare gli incrementi patrimoniali privi di un valido supporto causale206.

Spesso ciò avviene, ad esempio, quando ad essersi impoverito è direttamente un ente pubblico, configurando così una sorta di tutela restitutoria rafforzata207. Inoltre, non risultando né auspicabile né praticabile un’indiscriminata ed invasiva indagine su tutti gli arricchimenti senza una causa lecita, spesso la confisca obbligatoria è prevista in contesti in cui la sfera economico-patrimoniale del privato sia già stata invasa dal procedimento penale, ossia nell’ambito di quei reati il cui accertamento implica già investigazioni sui movimenti di ricchezza208. Una volta che la potestà dello Stato ha necessariamente invaso la sfera privata con tale tipologia di indagini, non vi sarebbe ragione per non intervenire ed implementare il principio generale in esame.

205 Cfr., retro, nota n. 42 del par. 2.3.3.

206 Peraltro, già in generale il pretium sceleris è ritenuto un introito intollerabile per l’ordinamento, avendo la sua diretta giustificazione causale nella commissione del reato (art. 240, comma 2, n. 1 c.p.): solo in alcuni contesti, però, la tutela è supportata anche dalla confisca per equivalente.

207 Esempi di questo tipo si hanno nella previsione della confisca obbligatoria (diretta o per equivalente) per i reati tributari (art. 12 bis d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sul quale si esprime in termini analoghi S.EUSEPI, Reati tributari cit., 368 s.), per le ipotesi di truffe nei confronti di soggetti pubblici (art. 640 quater c.p., che non richiama tutte le ipotesi di truffa ma soltanto quelle ex art. 640, comma 2, n. 1 e 640 bis c.p. - oltre a quella informatica ex art. 640 ter c.p.). Riguardo ad i reati contro la pubblica amministrazione (art. 322 ter c.p.) il discorso è più complesso, considerato che non sempre il provento del reato corrisponde esattamente a quanto sottratto all’ente pubblico.

208 In questa logica si pongono le confische previste dall’art. 2641 c.c. (in tema di reati societari), dall’art. 644, comma 6 (in tema di usura) e dall’art. 648 quater c.p. (per i reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio), dagli artt. 187 e 187

66 Ancora, a venire in rilievo sono i proventi di reati ritenuti particolarmente antisociali, come quelli riferibili a sodalizi mafiosi o terroristici o ad una sistematicità criminale anche comune209, per i quali - come già esposto - è anche prevista una semplificazione probatoria e procedimentale210.

La ricostruzione qui portata avanti, allora, appare quella maggiormente sostenibile.

La natura ripristinatoria della confisca dei proventi di reato, infatti, si colloca in perfetta armonia con la sistematica dell’ordinamento e, interpretandone la disciplina conformemente alla Costituzione ed alle fonti sovranazionali, appare una soluzione preferibile rispetto a quelle della natura preventiva o punitiva.

La presenza di una finalità di riequilibrio economico, d’altronde, è riconosciuta - più o meno esplicitamente e seppur non in via esclusiva - da tutti i contrari orientamenti che si è avuto modo di analizzare211. In questo senso, inoltre, sembra andare anche il considerando n. 1 della direttiva UE 42

209 Nel catalogo della confisca “allargata” di cui all’art. 12 sexies d. l. Martelli rientrano reati di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e reimpiego, trasferimento fraudolento di beni, riduzione in schiavitù e acquisto/alienazione di schiavi, reati in materia di stupefacenti, terrorismo, contraffazione, sfruttamento sessuale dei minori e, come anticipato, delitti contro la pubblica amministrazione.

Le categorie nei confronti delle quali è possibile disporre la confisca del codice antimafia, contenute all’art. 4 del medesimo d. lgs. 159/2011, comprendono gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose o di reati tipici del contesto mafioso (art. 51, comma 3-bis c.p.p.; art. 12-quinquies, comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306), coloro che preparano, istigano, finanziano atti sovversivi e/o terroristici o associazioni politiche fasciste, indiziati di violenza durante manifestazioni sportive. Inoltre, in virtù del rinvio all’art. 1, le misure di prevenzione patrimoniali sono applicabili anche a: a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

210 Nel senso della natura ripristinatoria della confisca di prevenzioneA.M.MAUGERI, La confisca misura di prevenzione

cit., 40, nonché la relazione di accompagnamento alla proposta di introduzione di una simile confisca senza condanna

nell’ordinamento tedesco (cfr. nota n 76).

211 Alla valenza ripristinatoria fa riferimento la richiamata giurisprudenza (Cass. pen., Sez. Un., n.31617/2015, Lucci, in cui viene affermato che la confisca del prezzo mira a recuperare ciò di cui l’interessato non avrebbe titolo civilistico alla ripetizione, essendo frutto di un negozio contrario a norme imperative, e dunque non è mai legalmente entrato a far parte del patrimonio del reo; in cui si riconduce la confisca del profitto allo stesso nucleo unitario di finalità ripristinatoria dello