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La nozione di “persona estranea al reato”

CAPITOLO 3 I terzi interessati alla cosa oggetto di sequestro o confisca

3.2 La tutela sostanziale rispetto alla confisca diretta

3.2.4 La nozione di “persona estranea al reato”

Per escludere l’applicazione della confisca nei confronti di soggetti titolari di una situazione giuridica costituente (o afferente ad un) provento del reato, infatti, occorre che si tratti di “persone estranee al reato”.

Il riferimento soggettivo appare pacificamente riferibile sia a persone fisiche, che a persone giuridiche. In relazione al termine “estraneità”, invece, non emerge un significato univoco. Occorre allora fare riferimento alla ratio della norma, che intende limitare il recupero dei proventi criminosi rispetto ai terzi che siano meritevoli di tutela.

Muovendo dall’interpretazione della confisca dei proventi quale misura extrapenale, è ben possibile che anche soggetti non condannati in via definitiva per il reato possano subire gli effetti della misura recuperatoria. Ciò permette di dare all’accezione in esame una valenza sostanziale: l’estraneità è riferita al reato e non solo al procedimento penale. Non basta il fatto di non essere stato indagato, imputato o condannato per essere qualificati in termini di “persona estranea”.

Per integrare quest’ultimo concetto - e dunque paralizzare la confisca - la giurisprudenza ha elaborato due diversi indici, che devono essere presenti cumulativamente: l’assenza di partecipazione attiva al reato e l’assenza di utilità economiche derivanti dal reato, salvo che queste ultime siano state conseguite in buona fede360.

Il primo requisito implica la mancanza di qualsiasi collegamento con il fatto di reato: per essere “estraneo”, il terzo non deve aver contribuito o partecipato in alcun modo alla fattispecie criminosa, neanche con contributi non punibili. E’ abbastanza pacifico, allo stesso tempo, che risulta estraneo anche chi risulta coinvolto nel reato in maniera passiva, quali sono la persona offesa ed i danneggiati dal reato. Anzi, tali soggetti sono meritevoli di una considerazione e tutela anche superiore, tanto è vero che in diverse norme il legislatore si preoccupa di escludere in maniera specifica dalla confisca ciò che può essere ad essi restituito361.

359 In questo senso, ad esempio, il Tribunale di Trapani, con l’ordinanza del 3 marzo 2011, in

www.penalecontemporaneo.it, 11 marzo 2011, ha valorizzato la non estraneità di una società che, pur non avendo partecipato al procedimento, aveva subito la confisca di uno stabilimento industriale. In particolare, si trattava di una società partecipata al 50 % da un soggetto condannato per il reato di associazione mafiosa, a cui era stata confiscata proprio tale quota di partecipazione sociale; determinante, però, erano i vantaggi ottenuti dalla società - nella diretta disponibilità della consorteria mafiosa - dall’utilizzo del metodo mafioso anche all’interno del tessuto economico.

360 Cfr. T.E.EPIDENDIO, La confisca nel diritto penale cit., 159 ss.

361 Prevedono una tale specificazione, tra gli altri, gli artt. 600 septies, 644, comma 6 c.p. e 19, comma 1 d. lgs. 231/2001. Si tratta di un riferimento che, come visto nel par. 2.3.4 (ed in particolare alla relativa nota n. 58), può assumere una valenza anche con riferimento alla sussistenza o meno di un principio di sussidiarietà della confisca dei proventi rispetto

109 Invero, un siffatto requisito del coinvolgimento attivo nell’azione criminosa è astrattamente corretto e sostenibile, ma con riferimento alla confisca diretta dei proventi ha in concreto un’importanza limitata. Muovendo dalla ricostruzione del provento in termini di vantaggio economico netto, se un terzo ha pure contribuito al reato ma non ha conseguito un simile vantaggio, è difficile sostenere che abbia incamerato il provento da sottoporre ad ablazione.

Diventa allora decisivo il secondo requisito, che riconduce l’estraneità proprio all’assenza di vantaggi economici derivanti dal reato362 o, qualora tali vantaggi siano stati conseguiti, alla sussistenza di un legittimo affidamento del terzo sulla provenienza lecita dell’introito patrimoniale363.

Una tale connotazione soggettiva (la c.d. “buona fede”) è stata ricostruita dalla giurisprudenza in termini di «non conoscibilità - con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - del

predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato»364. Ulteriore specificazione è contenuta nella direttiva UE n. 42 del 2014, in cui vengono indicati, come ipotesi esemplificative di assenza di buona fede, i casi in cui il terzo sapeva o avrebbe dovuto sapere che «il trasferimento o l’acquisizione dei beni aveva lo scopo di evitare la confisca,

sulla base di fatti e circostanze concreti, ivi compreso il fatto che il trasferimento o l’acquisto sia stato effettuato a titolo gratuito o contro il pagamento di un importo significativamente inferiore al valore di mercato»365.

La buona fede è un requisito di contegno soggettivo che viene spesso ricondotto sia al generale e pubblico interesse alla certezza della circolazione giuridica, sia al principio di colpevolezza ex art. 27 Cost.

Il primo fondamento è sicuramente corretto, in quanto limitare l’ingerenza statale alle sole ipotesi in cui il soggetto sapesse o dovesse diligentemente sapere la provenienza criminosa trova giustificazione nella generale esigenza di certezza e celerità della circolazione giuridica. Andare a sottrarre beni ad

ad altri meccanismi restitutori e risarcitori. Tuttavia non vi è dubbio che si tratti quantomeno di un livello rafforzato di tutela di queste particolari categorie di terzi.

Per quanto riguarda in particolare le restituzioni dei beni sequestrati la direttiva 2012/12/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato all’art. 15 prevede che «gli Stati membri provvedono a che, in seguito a una decisione di un'autorità competente,

i beni restituibili sequestrati nell’ambito del procedimento penale siano resi senza ritardo alle vittime, tranne quando il procedimento penale imponga altrimenti. Le condizioni o le norme procedurali in base alle quali tali beni sono restituiti alle vittime sono stabilite dal diritto nazionale», disposizione esplicata meglio dal considerando n. 48, in base al quale «i beni restituibili sequestrati nell'ambito del procedimento penale dovrebbero essere restituiti il più presto possibile alla vittima del reato, salvo che ricorrano circostanze eccezionali, quali una controversia riguardante la proprietà o laddove il possesso dei beni o il bene stesso siano illegali. Il diritto alla restituzione dei beni non dovrebbe ostacolare il legittimo mantenimento del sequestro ai fini di altri procedimenti giudiziari». Per il resto, la direttiva non si occupa del rapporto

tra sequestro/confisca e risarcimento, premurandosi genericamente che quest’ultimo sia assicurato alla vittima dal sistema nazionale.

362 In questo senso si è espressa precipuamente la Corte Costituzionale nella sentenza 14-19 gennaio 1987, n. 2.

363 Cfr. Corte Costituzionale 9-10 gennaio 1997, n. 1.

364 In questi termini Cass. pen., Sez. Un., 28 aprile-8 giugno 1999, n. 9; in dottrina T.E.EPIDENDIO, La confisca nel diritto

penale cit., 161ss.

365 Così recita l’art. 6 della Direttiva (UE), n. 42 del 3 aprile 2014. Per un commento, A.M.MAUGERI, La direttiva

2014/42/UE relativa alla confisca degli strumenti dei proventi da reato nell’Unione Europea tra garanzie ed efficienza: un “work in progress”, in www.penalecontemporaneo.it, 19 settembre 2014, 19 ss.

110 un soggetto che invece aveva confidato senza colpe nella legittima provenienza significherebbe paralizzare i traffici giuridici, in quanto nessuno andrebbe a compiere acquisti senza aver compiuto una rigorosa ed approfondita verifica sulla provenienza. In alcuni casi ciò non sarebbe possibile e comporterebbe addirittura scelte di non acquisto, con effetti micro e macroeconomici a catena non auspicabili366.

Per converso, il riferimento all’art. 27 Cost. non si attaglia all’istituto della confisca dei proventi e la stessa analisi dell’elaborazione giurisprudenziale ne fa emergere due punti critici.

In primo luogo, il requisito della colpevolezza è un rigido ed irrinunciabile baluardo della responsabilità penale e dunque potrebbe essere invocato solo qualora si desse alla confisca una tale natura. Come visto, a tale conclusione non è mai giunta la giurisprudenza, né costituzionale, né di legittimità, almeno per la confisca diretta dei proventi.

Nel solco di tale ragionamento, poi, è possibile rilevare come la Corte Costituzionale abbia compiuto un più netto ed espresso riferimento alla colpevolezza nelle ipotesi in cui oggetto di scrutinio era la confisca obbligatoria di beni strumentali367. Quando invece oggetto di ablazione erano beni di derivazione criminosa il percorso argomentativo della giurisprudenza si è concentrato maggiormente sull’assenza di vantaggi economici o di un legittimo affidamento368. Pur non trattandosi di una scelta espressamente motivata, appare significativo evidenziare come probabilmente un maggiore “bisogno di colpevolezza” si sia manifestato proprio in quei casi in cui la fattispecie aveva tratti maggiormente punitivi369.

In secondo luogo, una corretta applicazione delle garanzie penalistiche implicherebbe anche la necessità di determinatezza nella tipizzazione dell’illecito e la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. In altre parole, se la confisca fosse una pena non sarebbe in nessun caso possibile

366 Cfr., retro, 1.5.4 e relativi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

367 Così, ad esempio, nelle citata sentenza n. 229/1974.

368 Ad esempio, nella citata sentenza n. 1/1997 (in tema di proventi del reato di contrabbando) - pur dando atto dei precedenti giurisprudenziali in tema di art. 27 Cost. ed inserendo nel discorso il tema della personalità della responsabilità penale - la Corte Costituzionale ha portato avanti affermazioni che sembrano più prossime a discorsi extrapenali: «altro

sono le attività illecite dell'autore del contrabbando, dei suoi eventuali concorrenti, di coloro che siano incorsi nei reati di ricettazione o di incauto acquisto, altra la posizione del terzo che abbia compiuto il suo acquisto in buona fede e senza che esistessero elementi idonei a far sorgere sospetti circa la provenienza del bene. Tale posizione è da ritenere protetta dal principio della tutela dell'affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell'ordinamento giuridico e dal quale scaturisce anche la regola generale di circolazione dei beni mobili nel nostro sistema di mercato (cfr. art. 1153 del codice civile). Si può anzi dire che, secondo l'ordinamento civilistico, lo stato di buona fede nell'acquisto di beni mobili, salve le deroghe positivamente previste, possiede una così accentuata rilevanza da interrompere qualunque legame del bene con i precedenti possessori e da determinare un acquisto a titolo originario [...] Un più ragionevole equilibrio degli interessi che in simili casi vengono in considerazione (quelli dello Stato connessi all'esercizio della potestà tributaria, quelli del privato derivanti dal principio dell'affidamento incolpevole) porta a ritenere che l'interesse finanziario dello Stato possa certo ricevere un ambito di tutela privilegiata anche nei confronti del terzo sul piano processuale. Può quindi risultare non irragionevole una deroga al principio vigente in materia di acquisti di beni mobili secondo il quale la buona fede è generalmente presunta; ma la tutela di tale interesse non può spingersi sino al punto di impedire al terzo estraneo al reato di essere ammesso a provare che non sussistevano al momento dell'acquisto circostanze tali da far sorgere sospetti circa la provenienza del bene da contrabbando».

369 Come avuto modo di esaminare, infatti, la confisca obbligatoria dei beni strumentali tende ad assumere la natura di punizione: cfr. retro il par. 2.6.3.

111 applicarla a soggetti che non siano stati condannati in via definitiva per un reato legalmente predeterminato. L’estraneità, dunque, andrebbe letta in questo senso e la tutela andrebbe estesa a tutti i soggetti diversi dal condannato.

A tali conclusioni, evidentemente, non è mai arrivata la giurisprudenza che pure richiama l’art. 27 Cost. Anzi, come si avrà modo di esporre più avanti, è stata anche ritenuta legittima e ragionevole l’inversione dell’onere probatorio a carico del terzo, ai fini della dimostrazione dell’estraneità. Appare allora più lineare e coerente ritenere che l’unico fondamento della lettura dell’estraneità anche in base al parametro della “buona fede” vada ricercata nel principio generale di certezza del diritto e legittimo affidamento, che peraltro con riferimento alla confisca è stato anche tipizzato da diversi strumenti internazionali370. Si tratta, allora, di un elemento non proprio del rigido statuto penalistico, ma che si innesta nel regime di protezione dell’individuo di tipo generico.

In base ad una tale cornice costituzionale, è possibile in definitiva affermare l’interpretazione dell’estraneità al reato nel senso di assenza sia di coinvolgimento attivo nella condotta criminosa, sia (soprattutto) di ottenimento di vantaggi in assenza di “buona fede”.

Ciò permette, inoltre, di ritenere che anche la clausola di salvaguardia dei terzi contenuta nell’art. 19, comma 1 d. lgs. 231/2001 abbia un senso analogo a quella, appena analizzata, di “appartenenza a persona estranea al reato”.