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Nozione di provento

CAPITOLO 2 La natura giuridica della confisca dei proventi criminosi

2.4 Nozione di provento

2.4.1 Calcolo al netto dei costi ed in via sussidiaria a restituzioni e risarcimenti

In questa ottica di idee, allora, nel calcolo dei proventi illeciti da sottoporre a confisca occorre privilegiare la logica del netto, andando a scomputare i costi sostenuti dall’autore del reato per commetterlo.

Un tale discorso, che la Cassazione ha avuto modo di accogliere con riferimento ad i costi leciti213, a sommesso parere di chi scrive va esteso anche ai costi illeciti.

Ponendosi nell’ottica del principio di proporzionalità, infatti, una razionale connessione tra scopo di ripristino e mezzi ablatori impone che questi ultimi abbiano ad oggetto esclusivamente l’effettivo arricchimento patrimoniale, vale a dire la differenza patrimoniale positiva che un soggetto ha avuto in conseguenza del reato.

quando, come nel caso della confisca, la sede sia funzionale all’applicazione di misure destinate ad incidere non già sulla libertà personale della parte, ma sul suo patrimonio».

Infine, sebbene quale finalità concorrente a quella preventiva, fa riferimento alla finalità di recupero dell’ingiustificato arricchimento (esaminando la disciplina georgiana, ma con cenni più ampi alla disciplina sovranazionale in materia di confisca dei proventi, anche per equivalente), la sentenza della Corte Edu, Gogitidze e altri c. Georgia, 12 maggio 2015 (già sintetizzata nel primo capoverso della nota n. 28 del presente Capitolo).

212 Oltre a rinviare a quanto esposto retro nel par. 1.5.3, cfr. A.M.MAUGERI, La responsabilità da reato degli enti cit., 675, 680 e 693.

213 In questo senso, Cass. Pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654 (leading case per la confisca nei confronti degli enti), che ha escluso che - come in ottica aziendalistica - possa guardarsi all’utile netto, ma al contempo ha ritenuto che vadano scomputati costi leciti o corrispettivi per prestazioni lecite, nelle ipotesi in cui la fonte contrattuale si colleghi alla sfera negoziale di un’impresa lecita (cioè non dedita prevalentemente o esclusivamente alla perpetrazione di reati) e che la condotta criminosa non abbia contaminato integralmente d’illiceità la causa negoziale (come nelle ipotesi di reato-contratto e non meramente di reato in reato-contratto). In relazione alle persone fisiche, in senso analogo, si segnala Cass. pen., sez. II, 10 dicembre 2013, n. 12761. Sulla ricostruzione della nozione di profitto in relazione alla natura giuridica della confisca, V. MONGILLO, I mobili confini del profitto confiscabile nella giurisprudenza di legittimità, in

68 Non coglie nel segno la considerazione che ciò permetterebbe al reo di recuperare le spese illecite, con effetti negativi in ottica general-preventiva214. Siffatte considerazioni potrebbero trovare spazio solo qualora si accedesse ad una qualificazione in termini punitivi della confisca215.

Nella diversa prospettiva adottata in questa sede, non pare di poter affermare che si assegni alcun vantaggio al reo scomputando i costi illeciti, ma semplicemente si calcola quanto effettivamente la sua situazione patrimoniale sia migliorata in ragione del reato. Peraltro, un costo illecito costituisce spesso provento del reato per un altro concorrente nel reato stesso216 ed è dunque nei suoi confronti che occorre eventualmente attivarsi per il recupero della somma. Altrimenti, si verificherebbe una duplicazione che esorbita dal fine ripristinatorio.

L’ammontare della confisca deve tenere conto, per gli stessi motivi, di eventuali restituzioni, adempimenti di obblighi risarcitori o altri meccanismi che abbiano ridotto l’entità del vantaggio economico illecito217.

Anche in questo caso, se l’esigenza sottesa alla confisca è quella di eliminare l’indebito arricchimento derivante dal reato, occorre considerare anche le conseguenze restitutorie e riparatorie negative che lo stesso reato ha comportato (e che magari hanno realizzato, in fin dei conti, addirittura una deminutio

214 Secondo questa posizione, ampiamente diffusa, detrarre i costi illeciti condurrebbe all’esito contraddittorio per cui lo Stato, da un lato, vieta un comportamento che punisce penalmente e, dall’altro, permette al reo di ottenerne un vantaggio in sede di quantificazione del profitto, recuperando le spese illecite. In questo senso, in giurisprudenza Cass. Pen., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654; in dottrinaA.M.MAUGERI, La responsabilità da reato degli enti cit., 738 s.; V.MONGILLO,

I mobili confini cit., 10.

215 Sul punto, vale la pena richiamare quanto affermato in E.MEZZETTI, Profitto e prezzo confiscabili e confisca per

equivalente nei reati contro la pubblica amministrazione, in www.penalecontemporaneo.it, 21 febbraio 2014, 2: l’applicazione del principio del lordo «finisce col disperdere del tutto la natura compensativa tipica della confisca a

vantaggio di una connotazione marcatamente punitiva, specie nel caso in cui il reo non abbia tratto dal fatto alcun vantaggio economico o addirittura, a conti fatti, “abbia lavorato in perdita”».

216 Così il costo della tangente per il corruttore è il prezzo del reato per il corrotto; il corrispettivo per un acquisto penalmente vietato è un costo illecito per l’acquirente ed il profitto (lordo) per il venditore; ecc.

217 In questo senso oggi esplicitamente dispone l’art. 12 bis d. lgs. 74/2000: «la confisca non opera per la parte che il

contribuente si impegna a versare all’Erario, anche in presenza di un sequestro», ma già precedentemente la

giurisprudenza penal tributaria aveva ritenuto operanti meccanismi di sussidiarietà (si veda la ricognizione compiuta in Cass. pen., 13 luglio-7 ottobre 2016, n. 42470).

Invero, l’introduzione di una clausola simile all’interno del codice penale era stata proposta nel corso dei lavori preparatori, ma fu ritenuta superflua. Sul punto, cfr. A.M.MAUGERI, La responsabilità da reato degli enti cit., 702 ss. Inoltre meccanismi analoghi (seppur a volte non determinati in maniera così univoca) sono previsti anche negli articoli 600 septies, 644, comma 6 c.p. e 19, comma 1 d. lgs. 231/01.

Più in generale, la giurisprudenza non sempre conclude per l’applicazione generalizzata di meccanismi sussidiari ed un atteggiamento ondivago e casistico può forse avere origine proprio dalla segnalata ambiguità di natura della confisca. La prospettiva della presente trattazione permette di dare coerenza e linearità anche a tale questione. Tra le sentenze che adottano un tale pensiero, in relazione alla truffa: Cass. pen., sez. II, 26 maggio 2015, n. 36444, che ha ritenuto di non poter confiscare la somma restituita al danneggiato: «ove la somma "restituita" - o comunque rifusa - non fosse computata

come ontologica riduzione di ciò che il reato aveva fruttato, la confisca non prenderebbe più in considerazione l'utilità economica che è residuata all'esito di una condotta di adempimento dell'obbligo restitutorio, ma un importo avulso dalle condotte riparatone e come tale raccordabile ad un tipo di sanzione non prevista dall'ordinamento. Tale sarebbe, infatti, una confisca parametrata non sul profitto "attuale" al momento della sua applicazione, e dunque al netto delle restituzioni, ma all'utile derivato dal reato al momento della sua consumazione. In sostanza, la confisca verrebbe a colpire non l'accrescimento patrimoniale frutto dell'illecito, ma una parte del patrimonio in quanto tale, dando così vita ad un effetto sanzionatorio illegittimo, in quanto non previsto dalla legge».

69 patrimoniale del soggetto autore). Non tenerne conto vorrebbe dire esorbitare dallo scopo, sfociando in connotazioni punitive.

Coerentemente a tale ragionamento, non è invece possibile predicare la sussidiarietà anche con riferimento a meccanismi punitivi conseguenti al reato: essendo lo scopo di questi ultimi proprio quello di infliggere un male diverso ed ulteriore, non è possibile scomputarne l’ammontare da quello dell’arricchimento netto.

2.4.2 La nozione di “cosa” in senso ampio

In relazione alla tipologia dell’oggetto della confisca, poi, vanno segnalate alcune ambiguità nelle formule letterali utilizzate dal legislatore per indicare il quid che costituisce il prezzo, prodotto, profitto o il corrispettivo valore confiscabile. Si discorre talvolta di cose, talaltra di beni ed in alcuni casi di altre utilità218. Se il primo termine indica genericamente “qualsiasi entità oggetto di attenzione” ed il secondo è normativamente ricondotto alle “cose che possono formare oggetto di diritti” (art. 810 c.c.), il terzo sembra avere una portata semantica decisamente più ampia ed estesa. In realtà, si tratta di un tema su cui non risulta che vi sia stata (se non per casi molto peculiari) particolare attenzione da parte degli interpreti, più concentrati a valorizzare le nozioni di prodotto, prezzo e profitto, che costituiscono il punto di riferimento legislativo più importante. Un tale approccio è sicuramente sostenibile aderendo alla tesi della natura extrapenale della confisca dei proventi che non impone un’interpretazione stricta e tassativa e che può, ancora una volta, attingere alla nozione europea di “provento” per interpretare quelle interne.

Nel solco di tale ragionamento, allora, si può affermare che la confisca non deve ritenersi riferita alla “res” (cosa, bene, utilità) in sé, ma alle situazioni giuridiche soggettive che costituiscono un “vantaggio” derivante dal reato. In questo senso, oggetto di confisca possono essere, oltre al diritto di proprietà sul bene, anche altri diritti reali minori o personali di godimento sullo stesso219, e finanche situazioni non correlate ad una res, come le quote sociali ed i diritti di credito di tipo pecuniario. Depone in questo senso anche il tenore degli artt. 104 e 104 bis disp. att. c.p.p., i quali, tra le “cose” oggetto di sequestro preventivo includono i crediti, le azioni e le quote sociali, l’azienda (della cui natura monista o di mera sommatoria dei beni ancora si discute) e gli strumenti finanziari dematerializzati. Analogamente, nel codice antimafia, si prevede una disciplina per la vendita dei titoli e delle partecipazioni societarie e per il recupero dei crediti confiscati (art. 48, comma 1, lett. b e c); l’obbligo di indicare in una sezione specifica della relazione dell’amministratore giudiziario “i

218 Ad esempio, si parla di cose nell’art. 240 c.p.; di beni nell’art. 322 ter c.p. (nella parte della confisca diretta) nella confisca del codice antimafia; di altre utilità in diverse ipotesi di confisca per equivalente, nonché nella confisca allargata.

219 In questo senso, in tema di enfiteusi, Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 1993-22 aprile 1994, n. 3781, in cui si afferma che «deve ammettersi la possibilità di confisca del diritto dell’enfiteuta stante la riferibilità dei concetti di appartenenza

e disponibilità anche al bene oggetto di tale diritto: ciò alla luce della pienezza del diritto del concessionario (che può costituire diritti reali a favore di terzi e disporne per atto tra vivi o mortis causa), della sua potestà espansiva (diritto-potestativo di affrancazione), della possibilità di sottoporlo ad esecuzione forzata e ad ipoteca [...] la confisca [...] coinvolge soltanto la posizione patrimoniale di godimento del fondo spettante al concessionario e non pregiudica la diversa posizione del concedente, il quale conserva ogni suo diritto e facoltà nei confronti del nuovo titolare del diritto reale». Cfr. anche F.MENDITTO, Le confische cit., 378.

70 beni organizzati in azienda” (art. 36, comma 1, lett. d); una speciale disciplina per la gestione delle aziende sequestrate (art. 41) e confiscate (art. 48, comma 8).

Tra tutte queste situazioni, maggiori problemi hanno creato i crediti, per i quali il dibattito si presenta ancora acceso, potendosi rivelare dei meri vantaggi futuri. Invero, un tale dibattito non mette in discussione che il profitto possa identificarsi con l’accrescimento patrimoniale ottenuto dal reo (anche se non costituente un “bene” in senso stretto), ma è teso ad evitare che la confisca si estenda ad utilità non effettivamente conseguite (come nel caso di un credito non riscosso). La giurisprudenza sembra essersi attestata nel senso che possono costituire oggetto di confisca diretta i crediti certi, liquidi ed esigibili, mentre nel quantum della confisca per equivalente possono essere computati i soli crediti effettivamente riscossi220.

In realtà, a sommesso parere di chi scrive, occorre distinguere l’ipotesi in cui il credito in esame costituisca un “provento” nei termini sopra descritti da quella in cui esso sia confiscato in quanto valore patrimoniale equivalente alle utilità criminose.

Nel primo caso, esso è confiscabile mediante la confisca diretta, a prescindere dai suoi caratteri, se si trova nel patrimonio del reo. Si tratterebbe in ogni caso di una situazione giuridica di vantaggio e lo Stato subentrerebbe nell’identica posizione: non si toglierebbe al reo alcuna utilità ulteriore rispetto a quella conseguita.

Se invece il credito che costituisce provento non è più nel patrimonio del reo, è possibile confiscare beni di valore equivalente allo stesso, facendo riferimento (non all’entità del credito), ma al suo “valore di realizzo”, alla stessa stregua di come viene calcolato il corrispettivo per la cessione negoziale di crediti. E’ evidente che nel caso in cui il credito risulti estinto in maniera non satisfattoria (ad esempio per nullità o annullamento della fonte del credito), il suo “valore di realizzo” è pari a zero.

Al valore di realizzo, in una logica invertita, ci si può affidare nella seconda ipotesi citata: si tratta del caso in cui il provento sia costituito da altri beni di un determinato valore e si voglia confiscarne l’equivalente mediante l’ablazione di crediti.

2.4.3 Confisca diretta dei proventi e confisca del valore degli stessi

Una tale precisazione permette di aprire il più ampio e generale discorso sulla distinzione tra confisca diretta del provento e confisca per equivalente. Pur avendo tali istituti la medesima natura, un tale argomento va affrontato perché per la value confiscation non vi è una previsione generale e dunque può essere disposta solo nei casi espressamente tipizzati dal legislatore. Ebbene, ciò che consente di parlare di confisca diretta è la possibilità di ricostruire una, seppur indiretta, derivazione dal reato dell’oggetto dell’ablazione; quando invece - non risultando concretamente possibile ciò - il punto di riferimento è il valore corrispondente al vantaggio economico conseguente al reato, si è nell’ambito della confisca per equivalente.

220 Cfr. G.FIDELBO, La nozione di profitto confiscabile nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, rel. n. 41/14 dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Roma, 17 giugno 2014.

71 Sebbene il discorso possa apparire ovvio, così non è. Si pensi alle discussioni nate attorno a beni fungibili come il denaro: la Cassazione ha concluso per la qualificazione, in ogni caso, in termini di confisca diretta221. Tuttavia, tranne i casi in cui sia stato possibile sequestrare le esatte banconote conseguite con il reato o comunque si sia ricostruito il loro flusso di trasformazione, la confisca del denaro assume in genere i tratti di “equivalente”. Da questo punto di vista, anche riflessioni attinenti ad altri rami dell’ordinamento hanno concluso per la qualificazione del denaro sempre meno in termini di res e sempre più quale misura del valore222. Inoltre, in questo senso sembra andare anche la lettera di molte norme sulla value confiscation, che indicano appunto il denaro tra i beni equivalenti da poter apprendere223.

Nell’ambito della confisca prevista dal Codice Antimafia, poi, la questione diviene peculiare. Si tratta di un istituto che, a pensarci bene, contiene tutte le altre tre ipotesi di confisca (diretta, per equivalente, per sproporzione) previste dall’ordinamento, pur in ottica particolare.

L’art. 24, infatti, individua come oggetto della confisca il provento mediante la prova diretta della provenienza (beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego) o in via presuntiva (ipotesi dei beni sproporzionati al reddito). In relazione ad essi, in maniera condivisibile le Sezioni Unite, che pure partivano da diverse premesse, hanno affermato che «sono

suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, indipendentemente dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta»224.

Fino al recentissimo passato, la possibilità di confiscare beni del valore equivalente era limitata dall’art. 25 alle sole ipotesi in cui sia avvenuto un trasferimento di beni a terzi, in maniera più rigida rispetto alle confische nell’ambito di procedimenti penali. Con la riforma del Codice Antimafia, tuttavia, il legislatore del 2017 ha reso più agile tale strumento, prevedendone peraltro l’applicabilità anche nei confronti degli eredi225.

221 Alla conclusione per cui la confisca di denaro è sempre diretta sono approdate, tra le altre, le citate sentenze a Sezioni Unite n. 10561/2014 Gubert e n. 31617/2015 Lucci.

222 Ciò è particolarmente evidente con l’evoluzione dei mezzi di pagamento, sempre più dematerializzati e legati a scritturazioni informatiche. In realtà, però, della peculiarità della res denaro si era già reso conto il legislatore del 1942, che ad esempio all’art. 1977 c.c. parla di “debito di somme”. Cfr. A.SCIARRONE ALIBRANDI, La circolazione del denaro: gli strumenti di pagamento, in AA. VV., Diritto commerciale, a cura di M.CIAN, Torino, 2013, 318 ss.

223 Come rilevato da M.ROMANO, Confisca, responsabilità cit., 1677, a partire dalla prima norma che ha previsto la confisca per equivalente (art. 644, comma 6 c.p.) e con tenore letterale analogo in altre norme (ad esempio, art. 648 quater, comma 2 c.p.) – oggetto della value confiscation sono anche “le somme di denaro” di cui il reo ha disponibilità e di valore equivalente al prezzo/prodotto/profitto (da segnalare come altre norme, come l’art. 322 ter c.p. e l’art. 12 bis d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, invece, discorrono più genericamente di “beni”).

224 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014, n. 4880.

225 L’art. 25 Cod. ant. prevedeva: «Se la persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione disperde, distrae,

occulta o svaluta i beni al fine di eludere l'esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto denaro o altri beni di valore equivalente. Analogamente si procede quando i beni non possono essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell'esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede».

L’art. 5, comma 9 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, invece, ha riscritto tale disposizione elasticizzandone i requisiti: «dopo la presentazione della proposta, se non è possibile procedere al sequestro dei beni […] perché il proposto non ne

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