• Non ci sono risultati.

La tutela generale nel procedimento penale

CAPITOLO 3 I terzi interessati alla cosa oggetto di sequestro o confisca

3.4 La tutela generale nel procedimento penale

Così delineati gli aspetti sostanziali di tutela del terzo interessato ad uno specifico bene oggetto di sequestro/confisca disposta nei confronti dell’indagato/imputato/condannato, occorre chiedersi quale sia la sua posizione nell’ambito del procedimento penale.

Il tema crea non pochi problemi, visto che il processo penale - pensato per accertare la sussistenza della responsabilità penale di uno/più soggetti - è essenzialmente costruito sulla figura del reo e dunque in una dialettica tra pubblica accusa e difesa. La partecipazione di altri soggetti non è essenziale e, sebbene si debba ravvisare un recente trend di coinvolgimento della persona offesa382, ad essi è riservata una posizione collaterale.

Ciò è particolarmente evidente in relazione a coloro che siano interessati (non alla sorte processuale del reo, bensì) ad un bene in qualche modo correlato alla propria situazione giuridica soggettiva. Si

impedirne la dispersione quanto per assicurarne l’integrità del valore. Negli altri casi la misura reale può invece essere contenuta entro la quota di proprietà di pertinenza dell’indagato sulla quale opererà poi la successiva confisca» (Cass.

pen., 27 gennaio-23 febbraio 2011, n. 6894).

381 Sul rapporto tra confisca per equivalente e l’istituto del fondo patrimoniale, cfr. S.EUSEPI, Reati tributari cit., 347 ss.

382 Ciò è avvenuto negli ultimi anni soprattutto su input sovranazionale: si pensi, tra le altre, alle modifiche introdotte dalla legge l. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa del 25 ottobre 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote) e dal d. lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, di attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (cfr. F.DEL VECCHIO, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l'adeguamento dell’Italia alla

116 ritiene che la loro posizione abbia carattere civilistico, con tutte le relative conseguenze processuali383.

Aspetti problematici vengono in rilievo sia, a monte, con riferimento agli strumenti d’indagine a cui possono essere sottoposti; sia, a valle, in relazione ad i rimedi esperibili nelle varie fasi processuali ed alle regole probatorie e di giudizio che reggono la decisione sulla loro posizione.

3.4.1 I poteri di indagine nei confronti dei terzi

Il primo problema attiene alla possibilità per il Pubblico Ministero di svolgere indagini patrimoniali nei confronti di soggetti diversi dall’indagato, soprattutto con mezzi invasivi che comprimono alcuni diritti costituzionali, come quello alla riservatezza384.

Non vi sono problemi se la qualifica di “terzo” derivi da una separazione della posizione processuale di un soggetto originariamente iscritto nel registro ex 335 c.p.p. come concorrente nel reato, in quanto si tratterebbe di indagini compiute direttamente nei suoi confronti, con tutte le relative garanzie. Non pare possano esservi particolari preclusioni neanche nei casi in cui alle informazioni patrimoniali sul terzo si arrivi seguendo le tracce del provento o comunque di beni che dalle indagini (ad esempio i servizi di osservazione della p.g., sommarie informazioni, ecc.) risultino essere nella disponibilità dell’indagato. Si tratterebbe di accertamenti necessari per «le determinazioni inerenti all’esercizio

dell’azione penale» (art. 326 c.p.p.), locuzione che va letta pacificamente in maniera estensiva, per

comprendere anche gli elementi necessari alle richieste che il Pubblico Ministero può compiere nel corso del procedimento (come, appunto, quelle di misure cautelari al giudice procedente)385.

Occorre invece chiedersi se, ai fini dell’individuazione di beni da sottoporre a confisca, sia possibile compiere indagini (non mirate nel senso appena descritto, bensì) esplorative nei confronti dell’intero patrimonio di “terzi”. Ciò può accadere nel caso in cui alcuni soggetti - per il legame con l’indagato o altri elementi che emergono dalle indagini - potrebbero aver ricevuto proventi o essere intestatari fittizi di assets nella disponibilità dell’indagato. Una risposta affermativa potrebbe derivare dalla funzionalità di tali indagini alla richiesta di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca e, dunque, ad una richiesta che il Pubblico Ministero ha facoltà di adottare nel corso delle indagini (che costituirebbe, tra l’altro, una delle finalità di giustizia previste dal Codice della Privacy quali

383 Ad esempio, si ritiene applicabile analogicamente l’art. 100 c.p.p. ma - collocandosi nell’ambito del procedimento penale - si discute se l’assenza di procura speciale sia sanabile ex art. 182, comma 2 c.p.c. Sul punto, cfr. F.MENDITTO,

Le confische cit., 467.

384 In senso ampio, la riservatezza tutela l’interesse dell’essere umano all’intimità della propria persona e delle proprie azioni. Il suo rispetto è condizione essenziale del rispetto della persona e trova fondamento negli artt. 2, 14 e 15 Cost., 7, 8 ed 11 Carta UE, 8 Cedu. Il generale diritto all’intimità, poi, si esplica nel: diritto al segreto (ossia ad una sfera inviolabile sottratta all’ingerenza dei privati e dello Stato), che trova i suoi limiti nei fatti resi volontariamente pubblici, o in interessi pubblicistici preminenti, come quello della giustizia penale, ma con le dovute specifiche garanzie ex lege; diritto alla riservatezza in senso stretto (ossia l’esigenza che i fatti della propria vita privata non siano pubblicamente divulgati), che si differenzia dal primo perché implica la non divulgazione e dall’integrità morale perché afferisce a dati non necessariamente offensivi, ma comunque riservati e che trova tutela specifica nel d. lgs. 196 del 2003; diritto all’immagine (interesse del soggetto che il suo ritratto non venga diffuso pubblicamente), che trova la sua disciplina nell’art. 10 c.c. e negli artt. 96 e 97 l.d.a. Sul tema, cfr. C.M. BIANCA, Diritto Civile, vol. 1, La norma giuridica. I soggetti, Milano, 2002.

117 giustificazione della deroga alla disciplina sui dati personali). Una risposta negativa, invece, potrebbe trovare fondamento in una lettura più ristretta dell’art. 326 c.p.p., bilanciata con il diritto di riservatezza tutelato a livello costituzionale ed, in modo più specifico, a livello europeo. A tal proposito, la Corte di Giustizia, nel censurare la direttiva 2006/24/CE in tema di conservazione di dati telefonici, ha evidenziato come alcune delle ragioni di violazione degli articoli 7 e 8 della Carta di Nizza dovessero rinvenirsi nell’assenza di una disciplina dettagliata di presupposti e limiti e nella previsione di un’applicazione generalizzata «anche a persone per le quali non esiste alcun indizio

tale da far credere che il loro comportamento possa avere un nesso, ancorché indiretto o lontano, con reati gravi»386.

In un’ottica di maggiori garanzie, allora, occorre che le indagini patrimoniali nei confronti dei terzi siano fondate su effettivi elementi di fatto che facciano desumere un tale nesso, anche indiretto o lontano. Nell’ambito in esame, peraltro, ciò spesso finisce per sostanziarsi in un’apposita notizia di reato che, a seconda dei casi, può essere riferibile alle fattispecie di favoreggiamento reale, ricettazione, riciclaggio, impiego di beni di provenienza illecita, acquisto di cose di sospetta

386 Nell’ambito della verifica del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte di Giustizia ha proceduto al vaglio dei diversi step (legittimità dello scopo, sussistenza di una “connessione razionale” tra i mezzi e i fini, “necessità”, “proporzionalità in senso stretto”). Dopo aver ritenuto rispettati i primi tre parametri, i giudici di Lussemburgo hanno invece concluso per l’invalidità della direttiva in relazione ad i suoi effetti concreti, non limitati allo stretto necessario: «[...] essa concerne tutti i mezzi di comunicazione elettronica il cui uso è estremamente diffuso e di importanza crescente

nella vita quotidiana di ciascuno. Inoltre, conformemente all’articolo 3, la direttiva riguarda tutti gli abbonati e gli utenti registrati. Essa implica pertanto un’ingerenza nei diritti fondamentali della quasi totalità della popolazione europea [...] senza alcuna distinzione, limitazione o eccezione a seconda dell’obiettivo di lotta contro i reati gravi. Infatti, da un lato, la direttiva 2006/24 riguarda in maniera globale l’insieme delle persone che fanno uso dei mezzi di comunicazione elettronica, senza tuttavia che le persone i cui dati vengono conservati debbano trovarsi, anche indirettamente, in una situazione che possa dar luogo a indagini penali. Essa pertanto si applica anche a persone per le quali non esiste alcun indizio tale da far credere che il loro comportamento possa avere un nesso, ancorché indiretto o lontano, con reati gravi. Inoltre, essa non prevede alcuna deroga, e pertanto si applica anche a persone le cui comunicazioni sono soggette, in base alle norme del diritto nazionale, al segreto professionale. Dall’altro lato, pur mirando a contribuire alla lotta contro la criminalità grave, la suddetta direttiva non impone alcuna relazione tra i dati di cui prevede la conservazione e una minaccia per la sicurezza pubblica e, in particolare, non limita la conservazione dei dati a quelli relativi a un determinato periodo di tempo e/o a un’area geografica determinata e/o a una cerchia di persone determinate che possano essere coinvolte, in un modo o nell’altro, in un reato grave, né alle persone la conservazione dei cui dati, per altri motivi, potrebbe contribuire alla prevenzione, all’accertamento o al perseguimento di reati gravi. In secondo luogo, alla suddetta mancanza generale di limiti si aggiunge il fatto che la direttiva 2006/24 non prevede alcun criterio oggettivo che permetta di delimitare l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati e il loro uso ulteriore a fini di prevenzione, di accertamento o di indagini penali riguardanti reati che possano, con riguardo alla portata e alla gravità dell’ingerenza nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, essere considerati sufficientemente gravi da giustificare siffatta ingerenza. Al contrario, la direttiva 2006/24 si limita a rinviare, all’articolo 1, paragrafo 1, in maniera generale ai reati gravi come definiti da ciascuno Stato membro nel proprio diritto interno. Inoltre, per quanto riguarda l’accesso delle autorità nazionali competenti ai dati e al loro uso ulteriore, la direttiva 2006/24 non contiene le condizioni sostanziali e procedurali ad esso relative. L’articolo 4 della direttiva, che regola l’accesso di tali autorità ai dati conservati, non stabilisce espressamente che tale accesso e l’uso ulteriore dei dati di cui trattasi debbano essere strettamente limitati a fini di prevenzione e di accertamento di reati gravi delimitati con precisione o di indagini penali ad essi relative, ma si limita a prevedere che ciascuno Stato membro definisca le procedure da seguire e le condizioni da rispettare per avere accesso ai dati conservati in conformità dei criteri di necessità e di proporzionalità. [...] Pertanto, è giocoforza constatare che tale direttiva comporta un’ingerenza nei suddetti diritti fondamentali di vasta portata e di particolare gravità nell’ordinamento giuridico dell’Unione, senza che siffatta ingerenza sia regolamentata con precisione da disposizioni che permettano di garantire che essa sia effettivamente limitata a quanto strettamente necessario».

118 provenienza o di intestazione fittizia. Sorge, allora, un obbligo di immediata iscrizione della notizia nell’apposito registro, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., ed una conseguente specifica regolamentazione dei presupposti e limiti dell’azione pubblica nei confronti dell’individuo.

3.4.2 Gli strumenti di difesa in fase di sequestro

In relazione alla fase del sequestro, è espressamente prevista la possibilità di impugnazione del decreto di sequestro (riesame ex art. 322 c.p.p.) o contro altre ordinanze in materia (appello cautelare ex art. 322 bis c.p.p.) anche per «la persona a cui le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe

diritto alla loro restituzione». Gli stessi soggetti, poi, possono ricorrere per cassazione nei casi in cui

ravvisino nelle decisioni così scaturite una violazione di legge (art. 325 c.p.p.), sempre che abbiano partecipato a tale giudizio di impugnazione o che in sede di appello cautelare sia stato per la prima volta disposto il sequestro387. Si tratta di rimedi che si reputano esperibili unicamente dal soggetto che afferma essere proprietario del bene, in quanto solo una tale situazione giuridica soggettiva è assolutamente incompatibile con il subentro dello Stato nella piena titolarità del bene388. In base alle conclusioni cui si è arrivati in questa trattazione, una simile affermazione vale per i casi in cui oggetto di sequestro sia l’intero diritto di proprietà; più in generale, il principio può essere espresso nel senso che i rimedi spettino al titolare della situazione giuridica sottoposta a vincolo cautelare.

Nei casi in cui, invece, il terzo assuma di essere titolare di altri diritti che insistono sul bene sequestrato, si ritiene che la sua tutela avvenga relazionandosi con l’amministratore giudiziario ed impugnando le relative determinazioni389.

3.4.3 Gli strumenti di difesa rispetto ad una sentenza non definitiva

I problemi maggiori sorgono nel momento in cui venga disposta la confisca con una sentenza non ancora definitiva. In questi casi, pur rimanendo in vita la vicenda cautelare (e dunque i già visti rimedi), è evidente la sussistenza di un interesse per il terzo che voglia tutelare i propri diritti ad evitare che la decisione di merito si consolidi passando in giudicato.

E’ orientamento consolidato quello per cui non sussiste il potere di impugnare direttamente la sentenza. Ciò deriva dalla tassatività delle impugnazioni anche sotto il profilo della legittimazione attiva (art. 568, comma 3 c.p.p.), in combinato con l’assenza della menzione del terzo tra i soggetti individuati dalla legge quali titolari a proporre impugnazione. L’unica ipotesi in cui potrebbe avere una tale facoltà sarebbe quella in cui egli sia co-imputato per uno dei già esaminati reati in materia (artt. 379, 648, 648 bis, 648 ter, 712 c.p., 12 quinquies d.l.306/1992) e sia dunque una parte del processo: si tratta, tuttavia, di un’eventualità tutt’altro che scontata e che comunque non attiene alla tutela del terzo in quanto tale.

387 In questo senso, tra le altre, Cass. pen., sez. III, 16 gennaio-6 marzo 2015, n. 9796.

388 Un tale assetto è stato ritenuto, in relazione alla fase del sequestro, conforme al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. sia dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 22-29 gennaio 1996, n. 18) sia dalla giurisprudenza di legittimità (di recente, Cass. pen., sez. I, 14 gennaio-1 marzo 2016, n. 8317).

119 Ciò posto, il tema della tutela da accordare al terzo è stato di recente oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale, entrambe interpellate dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione.

Le Sezioni Unite390, interpellate per dirimere il contrasto di orientamenti sulla possibilità per il terzo di attivare lo strumento dell’incidente di esecuzione prima del passaggio in giudicato391, hanno ritenuto inapplicabile tale rimedio alle sentenze non definitive: si tratterebbe di un’estensione analogica inammissibile, venendosi a creare un anomalo procedimento “parallelo” di matrice giurisprudenziale ed evidenti corti circuito sistematici392. Per il collegio nomofilattico, tuttavia, ciò non comporta un vulnus di tutela per il terzo: la sentenza non definitiva che dispone la confisca, infatti, non è il titolo giuridico in base al quale il bene è vincolato, trattandosi appunto di provvedimento irrevocabile e non esecutivo. Ciò che rende indisponibile il bene è, ancora, l’originaria misura cautelare del sequestro e dunque deve ritenersi possibile la richiesta di restituzione ex art. 263 c.p.p. al giudice della cognizione procedente; a fronte di un diniego, poi, è possibile esperire l’appello cautelare ex art. 322 bis c.p.p. In virtù del generale potere-dovere del giudice di riqualificare i mezzi d’impugnazione (art. 568, comma 2 c.p.p.), i giudici di legittimità hanno ulteriormente specificato che «qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa

va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame».

390 Si tratta della sentenza Cass. pen., Sez. Un., 20 luglio-19 ottobre 2017, n. 48126.

391 L’ordinanza di rimessione (Cass. pen., 21 febbraio-11 maggio 2017, n. 23322) aveva evidenziato il contrasto tra orientamenti di legittimità: in alcune sentenze si è affermato che l’esperibilità dell’incidente di esecuzione per il terzo è possibile soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, considerati anche i rischi di un procedimento parallelo (e non meramente incidentale) a quello principale, potenzialmente fondato anche su elementi diversi e senza la partecipazione degli imputati (da ultimo, Cass. pen., sez. II, 18 gennaio-8 febbraio 2017, n. 5806); in altre sentenze, invece, si è ritenuto consolidato il principio in base al quale il «terzo estraneo al giudizio non ha diritto di impugnare la

sentenza nella quale sia stata disposta la confisca di un bene sottoposto a sequestro preventivo, ma può chiederne la restituzione, esperendo incidente d'esecuzione, sia nel corso del procedimento, sia dopo la sua definizione e, avverso eventuali decisioni negative del giudice di merito, può proporre opposizione e, successivamente, ricorso per cassazione

(in particolare, di recente, Cass. pen., sez. III, 27 settembre-20 dicembre 2016, n. 53925). In alcune sentenze, la possibilità della richiesta di restituzione è stata fondata sul disposto dell’art. 263 c.p.p., ma con applicazione analogica delle norme sul procedimento di esecuzione (e quindi la non esperibilità dell’appello ex art. 322 bis c.p.p., ma solo l’opposizione nei confronti del medesimo giudice (Cass. Pen., sez. I, 30 ottobre 2008, n. 42107 del 30/10/2008).

392 La Corte, ha rilevato come «il possibile esito di decisioni contrastanti (assunte, oltretutto, dal medesimo giudice) è

innegabile. E già tale considerazione dovrebbe orientare l'interprete che voglia essere rispettoso della coerenza del "sistema". Va poi rimarcato che la competenza del giudice dell'esecuzione è competenza funzionale, non esercitabile, quindi, da chi non è chiamato a svolgere quello specifico ruolo. Ma a tale argomento se ne aggiunge un altro, per così dire, di carattere strutturale. Non si vede invero perché e come possa essere affidata al giudice della cognizione la procedura che il legislatore prevede per l'incidente di esecuzione; non si vede in qual modo chi ancora deve emettere una sentenza, ovvero ha già emesso una sentenza che non ha il carattere della definitività, possa comportarsi come se tale sentenza fosse venuta ad esistenza e fosse divenuta irrevocabile. L'incidente di esecuzione consente infatti la verifica del titolo esecutivo derivante dalla sentenza di condanna, si colloca nell'ambito del c.d. "rapporto punitivo" e viene attivato per l'esecuzione e nell'esecuzione della sentenza irrevocabile. […] L'interprete non può creare ex nihilo percorsi procedurali anomali, operando un "trapianto" da una procedura all'altra e snaturando, in tal modo, la funzione e la natura del giudice della cognizione».

120 Si è ancora in attesa, invece, del deposito della decisione presa dalla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità inerente all’assenza del potere di impugnazione della sentenza non definitiva da parte del terzo393, all’esito dell’apposita udienza del 24 ottobre 2017. 3.4.4 Gli strumenti di difesa dopo il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca E’ successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che tradizionalmente si è dato maggiore spazio alle prerogative difensive del terzo, rimarcando come proprio a garanzia di quest’ultimo sia principalmente posto il procedimento di esecuzione in materia di confisca: il condannato, al contrario, ha già potuto far valere le sue pretese in giudizio e deve subire la preclusione del giudicato394. Il terzo può proporre incidente di esecuzione in relazione ad i presupposti applicativi della confisca, ma se sorgono questioni sulla proprietà delle cose confiscate la decisione in proposito va devoluta al giudice civile395.

A livello procedurale, è previsto che sull’istanza del terzo il giudice decida senza formalità, con la successiva possibilità di presentare opposizione nei confronti della pronuncia (667, comma 4 c.p.p.). In base ad una recente sentenza additiva della Corte Costituzionale, il procedimento deve seguire le forme dell’udienza pubblica nei casi in cui il terzo ne abbia fatto richiesta nell’opposizione396: è stato ritenuto contrario all’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 6, par. 1 Cedu l’esclusione di questa possibilità, in quanto - pur potendo il procedimento presentare un elevato grado di tecnicità - «l’entità

della “posta in gioco” [...] e gli effetti che la procedura stessa può produrre sulle persone non consentono di affermare “che il controllo del pubblico” - almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto - “non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato”»397. Si discute invece se, nel caso in cui il terzo non richieda le forme dell’udienza

393 L’ordinanza che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale (Cass. pen., sez. I, 14 gennaio-1 marzo 2016, n. 8317) ha individuato i parametri costituzionali degli artt. 3 (ritenendo irragionevole la discriminazione tra la posizione del terzo rispetto alla confisca di cui all’art. 24 Cod. Ant. ed il terzo rispetto alla confisca “allargata”, accomunate dalla medesima radice funzionale e finalistica), 24 e 117 con riferimento all’art. 6, comma 1 Cedu (visto che la mera possibilità di difendersi in sede di esecuzione, oltre a rendere frammentario il sistema, non assicura la pienezza dei diritti), 42 e 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del primo prot. add. Cedu (visto che rimarrebbe privo di tutela il diritto di proprietà).

394 In questo senso, cfr. Trib. Trapani, ord. 3 marzo 2011, in www.penalecontemporaneo.it, 11 marzo 2011 e relativi riferimenti giurisprudenziali.

395 In questo senso l’art. 676, comma 3 c.p.p., che rinvia all’art. 263, comma 4 c.p.p. in materia di sequestro probatorio. E’ stato escluso, inoltre, che oggetto della richiesta possa essere la sostituzione del bene confiscato con il corrispondente