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Le misure amministrative a tutela della continuità d’impresa

CAPITOLO 5 Gli stakeholder, interessati alla continuità d’impresa

5.3 Le misure amministrative a tutela della continuità d’impresa

d’impresa - 5.5.1 La particolare attenzione alla continuità d’impresa nel d. lgs. 231 del 2001 - 5.5.2 La gestione dei beni sequestrati e la destinazione dei beni confiscati - 5.6 Procedimento di prevenzione ed attività d’impresa - 5.6.1 Le misure alternative a sequestro e confisca - 5.6.2 La gestione dei beni sequestrati - 5.6.2 La destinazione dei beni confiscati - 5.7 Breve riepilogo.

5.1 I soggetti coinvolti ed il quadro criminologico

Qualora i sequestri o le confische abbiano ad oggetto un bene strategico per l’esercizio di un’attività d’impresa, i possibili effetti negativi su soggetti terzi non si limitano alle situazioni attuali (di interesse al bene in sé o al soddisfacimento del proprio credito), ma si espandono anche alle legittime aspettative che tutta una gamma di soggetti aveva riposto nel complesso produttivo inciso. Ancora maggiore è il rilievo di questa situazione quando non si tratti di un unico bene, ma dell’intera azienda o di significativi rami di essa.

Un primario rilievo hanno i lavoratori subordinati, la cui posizione è un costante punto di riferimento della Costituzione: oltre alla già esaminata tutela rafforzata del loro credito (art. 36), infatti, il lavoro è ritenuto un fondamento della stessa Repubblica (art. 1), nonché un diritto-dovere facente parte del nucleo fondamentale della Carta (art. 4)552. E’ evidente la non desiderabilità di un intervento dello Stato che neutralizzi, oltre al vantaggio per l’autore del reato, anche un centro produttivo che risultava dare lecitamente opportunità di lavoro e di concorrere, così, al progresso materiale e spirituale della società.

Analogamente, a poter essere incisi dalla paralisi di un’attività economica sono tutti gli operatori che con essa si interfacciavano (fornitori, clienti professionali, ecc.) e che farebbero fatica a trovare un altro partner con le medesime caratteristiche: si pensi - ad esempio - alla rete di distribuzione, magari con clausola di esclusiva.

Infine, non va dimenticata la posizione dei piccoli investitori (azionisti di minoranza, obbligazionisti) che avevano ritenuto di destinare i propri risparmi al finanziamento di determinate imprese, nonché i consumatori che dei beni/servizi dell’impresa fruivano e vogliono continuare a fruire.

Sebbene siano tutte situazioni giuridiche degne di rilievo, a differenza delle altre categorie di terzi il loro soddisfacimento assume caratteristiche dinamiche e complesse: non è sufficiente una pronuncia

552 Cfr. quanto esposto nel par. 1.5.2.

171 giudiziale che riconosca la sussistenza del diritto, ma occorre una vera e propria opera attiva efficiente ed efficace che riesca a far proseguire in modo sostenibile l’impresa con le cose oggetto di sequestro/confisca.

Inoltre, come per le altre categorie, la tutela non potrà essere di tipo assoluto, dovendosene vagliare anche l’eventuale meritevolezza/buona fede: si pensi ad un lavoratore dipendente che partecipava all’attività criminosa o a fornitori che erano consapevoli dei vantaggi competitivi derivanti dalla stessa azione illecita. Si tratta di aspetti particolarmente complicati: come già avuto modo di esporre nella parte introduttiva della presente trattazione, l’attuale quadro criminologico in materia economica è tutt’altro che lineare. Alla complessità delle fattispecie di reato e delle tecniche di porle in atto, anche mediante collaborazioni transnazionali, si aggiunge una non facile distinzione tra i classici white collar crimes e la declinazione in ambito economico delle tradizionali forme di criminalità organizzata553.

Si è visto, in particolare, come vi siano diversi “meccanismi attrattivi”, spesso operanti in maniera sinergica e tale da dar vita ad una molteplicità di forme di influenza, non sempre decifrabile (soprattutto nell’ambito delle organizzazioni di tipo “orizzontale”)554.

È possibile, infatti, che l’impresa non sia partecipata direttamente da soci mafiosi, ma stipuli accordi da cui scaturiscono obblighi reciproci di collaborazione e scambio (c.d. impresa collusa) oppure ancora che l’intesa sia sporadica e limitata ad uno o più specifici affari (c.d. imprese contaminate,

joint-venture o imprese-clienti) ovvero infine che vi sia un rapporto di subordinazione (o addirittura

oppressione) in cui la “protezione” mafiosa è imposta, più che concordata (si discorre in tali ipotesi di imprese dipendenti o oppresse, a seconda del grado di sottomissione)555.

5.2 Il problematico approccio al contesto d’impresa

A fronte di questo complesso ed intricato quadro, si è già avuto modo di constatare l’inadeguatezza del diritto e del processo penale, tradizionalmente ed ontologicamente imperniato sul rapporto tra singoli individui (offensore e vittima) scaturito da un singolo fatto di reato556.

Per un verso, le misure cautelari ed ablatorie reali in ambito economico-imprenditoriale hanno rappresentato un fertile terreno di disputa tra prerogative giudiziarie ed amministrative in tema di funzioni preventive. Così, sia in tema di sequestro preventivo “impeditivo”, sia con riguardo a quello

553 Si veda, per una descrizione più ampia della tematica, il par. 1.1.

554 Cfr., oltre al par. 1.1., C.VISCONTI, Proposte per recidere il nodo mafie-imprese, in www.penalecontemporaneo.it, 7 gennaio 2014, 4.

555 Come già evidenziato nel paragrafo 1.1 (a cui si rinvia per una trattazione più ampia) nei vari testi accademici vengono utilizzate diverse classificazioni delle imprese che orbitano, con gradazioni diverse, attorno al sodalizio mafioso. Quella proposta è una sintesi tra le varie fonti, ritenuta da chi scrive la più confacente agli obiettivi del presente elaborato. Per le diverse opzioni ricostruttive, cfr. A. BALSAMO-V. CONTRAFATO-G. NICASTRO, Le misure patrimoniali contro la

criminalità organizzata, Milano, 2010, 126 ss.; N. DALLA CHIESA, L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e

controllo sociale, Milano, 2012, 28 ss.; CENTRO TRANSCRIME DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI MILANO, Gli investimenti

delle mafie. Report finale della ricerca sviluppata nell’ambito del PON Sicurezza 2007-2013, in www.investimentioc.it, Milano, 2013, 168 s.

172 finalizzato alla confisca (originariamente costruita anch’essa in termini di prevenzione), si è dovuto prendere atto della necessità di valutazioni di opportunità politico-amministrativa, esorbitanti la mera valutazione giudiziale di pericolosità. Sul punto, emblematica è la complessa vicenda dello stabilimento siderurgico ILVA di Taranto, da cui sono scaturiti provvedimenti legislativi del cui respiro applicativo ancora si discute557.

In secondo luogo, la fase del sequestro - tradizionalmente di stampo statico “conservativo” in attesa degli esiti del procedimento - ha mostrato scarsa presa su forme dinamiche di ricchezza, ossia su

assets destinati all’esercizio di un’attività d’impresa558. L’attività conservativa, in questi ambiti, non è possibile in senso proprio, in quanto è necessaria una forma di attività gestionale, comprensiva di scelte opinabili tra diverse possibili strategie economiche559.

557 Le rilevanti implicazioni sociali in tema di lavoro (visto l’ingente numero di lavoratori interessati), ambiente e salute (vista la natura inquinante dell’attività svolta) hanno condotto a diversi attriti tra l’esercizio del potere giudiziario e quello del potere politico ed amministrativo. Vengono in rilievi i diversi decreti legge noti come “salva-Ilva” e riferiti a stabilimenti industriali di rilievo strategico nazionale: il d.l. 3 dicembre 2012, n. 207, convertito nella legge 24 dicembre 2012, n. 231 (le cui disposizioni sono state oggetto di tre diverse pronunce della Corte Costituzionale, la quale con le ordinanze n. 16 e 17 del 13 febbraio 2013 ha dichiarato inammissibili i conflitti di attribuzione sollevati dalla Procura di Taranto e con la sentenza n. 85 del 9 maggio 2013 ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip e dal Tribunale del Riesame di Taranto); i d.l. 4 giugno 2013, n. 61, convertito in l. 3 agosto 2013, n. 89, e 10 dicembre 2013, n. 136, convertito nella legge 6 febbraio 2014, n. 6; il d.l. 4 luglio 2015, n. 92, decaduto per mancata conversione (sul quale pure era stata proposta questione di legittimità costituzionale dal Gip di Taranto). Per alcune riflessioni sul tema, cfr. P.TONINI, Il caso ILVA induce a ripensare le

finalità e gli effetti del sequestro preventivo, in Diritto penale e processo, 2014, n. 10, 1153 ss., in cui viene ricostruito il

quadro delle diverse modalità esecutive del sequestro preventivo; V.ONIDA, Un conflitto fra poteri sotto la veste di

questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a Corte Costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, in www.rivistaaic.it, 20 settembre 2013, in cui l’Autore accoglie con favore il giudizio di conformità a Costituzione del d.l. 207/2012: «in un paese in cui troppo spesso si devono constatare la

deresponsabilizzazione o le inerzie delle amministrazioni in ordine al controllo delle situazioni ambientali, e in cui il ricorso alle sedi giudiziarie (amministrative o penali, o magari anche civili) e la “giurisdizionalizzazione” dei conflitti fra interessi collettivi sembrano divenire quasi l’unico rimedio possibile, il richiamo della Corte all’autonomia e alla responsabilità dell’amministrazione appare un elemento di saggezza e di equilibrio istituzionale»; D.PULITANÒ, Fra

giustizia penale e gestione amministrativa: riflessioni a margine del caso Ilva, in Diritto penale contemporaneo, 2013,

n. 1, 44 ss., in cui si pone l’attenzione sul paradigma epistemologico del garantismo proprio degli accertamenti giudiziali penali, che invece mal si attaglia a giudizi prognostici sui pericoli futuri; R.BIN, Giurisdizione o amministrazione, chi

deve prevenire i reati ambientali? Nota alla sentenza "Ilva", in www.forumcostituzionale.it, 2013, ove - dopo aver riflettuto sulla finalità preventiva del sequestro preventivo c.d. impeditivo - si auspica «che il legislatore intervenga a

regolare il concorso delle due autorità: non attraverso soluzioni improvvisate e parziali, come quella introdotta dal decreto-legge in questione, ma con una meditata riforma dell'art. 321 cod. proc. pen. Si deve ritenere – scrive la Corte (punto 12.6) – che l’art. 1 del decreto legge 207/2012 “abbia introdotto una nuova determinazione normativa all’interno dell’art. 321, primo comma, cod. proc. pen.”, ma essa riguarda solo il sequestro preventivo emanato in presenza delle specifiche condizioni previste dal comma 1 della disposizione. Avremmo invece bisogno di regole più generali, che disciplino i ruoli rispettivi e i rapporti reciproci tra un’autorità amministrativa – così spesso inattiva – e l’autorità giudiziaria che è chiamata a supplire le inefficienze della prima. Né si deve trascurare un altro profilo: la difficoltà che incontrano i c.d. interessi diffusi ad accedere all’amministrazione pubblica, a sollecitarne i meccanismi di controllo, ad agire davanti al giudice amministrativo per ottenere considerazione delle proprie istanze, alimentano il ricorso “sociale” alla giustizia penale e l’attivazione delle procure della Repubblica, tenute a verificare la non manifesta infondatezza della notitia criminis. L’“anomalo esercizio dei poteri istruttori dell’organo giurisdizionale” è dunque la conseguenza di un sistema che nel suo complesso andrebbe meglio assestato».

558 In questi termini N.PISANI, Responsabilità penale e gestione di impresa in regime di amministrazione straordinaria, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2016, nn. 3-4, 719.

559 Sul punto sono interessanti le riflessioni in N.PISANI, Responsabilità penale cit., 718 ss., ove - in un più ampio discorso sullo statuto applicabile all’agire di amministratori/custodi giudiziari - si evidenzia appunto l’inedito ruolo per il giudice

173 Infine, l’acquisizione definitiva da parte dello Stato di complessi produttivi accentua questi oneri di gestione ed amministrazione e rende necessarie chiare e precise scelte sulla prosecuzione o meno dell’attività e sull’eventuale eterodestinazione a soggetti privati meritevoli560. Si tratta di un momento che peraltro acquisisce natura “simbolica”, soprattutto nei contesti di criminalità organizzata, di restituzione alla collettività delle risorse economiche illecitamente acquisite561.

Queste problematiche non sono ignorate dal legislatore, che negli ultimi anni si sta occupando con sempre maggiore attenzione ad esse, sebbene talvolta in maniera non perfettamente coordinata. De

iure condito, allora, diventa importante una ricostruzione del quadro normativo esistente, entro il

quale muoversi ed operare. Per far ciò, è stato autorevolmente sostenuto come sia necessario che i magistrati (ma anche gli organi amministrativi) che si occupano di tali questioni siano consapevoli del proprio ruolo e dei propri limiti, nonché del contesto territoriale ed economico in cui sono chiamate ad operare le norme giuridiche e siano qualificati da conoscenze specializzate che travalicano i concetti giuridico-normativi562.

Ciò impone, in primo luogo, che l’intervento nell’ambito dell’impresa risulti proporzionato alle effettive esigenze concrete, in modo da evitare qualsiasi conseguenza negativa che non sia strettamente necessaria al raggiungimento dello scopo. In questo senso, occorre essere consapevoli dei possibili effetti della “irradiazione” della responsabilità e della duplicazione degli accertamenti563: se, infatti, risulta imprescindibile per gli organi inquirenti una penetrante verifica “sul campo” che eviti la distruzione o l’occultamento di “tracce” importanti, non può ignorarsi l’atterrimento e l’afflittività insita dentro ad ogni singola “invasione” (si pensi, a titolo esemplificativo, alle ipotesi in cui ci siano in gioco segreti industriali). A ciò si aggiunga l’eco della divulgazione giornalistica, la cui forza è tale da incidere in maniera rilevante sulla reputazione nel mondo degli affari ed in questo modo deteriorare i rapporti con clienti, istituti di credito e fornitori564.

di tutela e promozione positiva degli interessi d’impresa ed il fenomeno di dissociazione tra gestione dell’impresa e amministrazione formale della società.

560 La differenza tra gestione durante il sequestro e destinazione dopo la confisca è evidente nella differenziazione dei compiti dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata: ausiliario del Giudice fino alla definitività dell’acquisizione coattiva, ente pubblico che svolge attività amministrativa, perseguendo autonomamente una finalità pubblicistica dopo la confisca definitiva (art. 110, comma 2 d. lgs. 159/2011). Sui compiti dell’Agenzia nelle due fasi, oltre ad i successivi paragrafi, si veda M.MAZZAMUTO, L’agenzia

nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in

www.penalecontemporaneo.it, 11 dicembre 2015.

561 In questo senso, tra le altre, Corte Cost. 15-23 febbraio 2012, n. 34.

562 In questo senso, E. APRILE, Gli effetti dell’intervento penale sull’economia delle imprese. Nuovi equilibri tra

repressione dei reati e continuità delle attività produttive?, relazione svolta al convegno nazionale V. Aymone, tenutosi

a Lecce il 14 novembre 2015, in www.penalecontemporaneo.it, 30 novembre 2015, 6.

563 Si tratta della possibilità che in indagini o accertamenti amministrativi si vadano a coinvolgere la totalità (o quasi) dei soggetti operanti nell’ambito d’impresa, rimandando a momenti successivi una selezione dei soggetti realmente responsabili; inoltre, spesso le investigazioni vengono a duplicarsi ed in questo modo ad amplificare gli effetti collaterali. Sul punto, si veda la lucida analisi di E.AMODIO, I reati economici nel prisma dell’accertamento processuale, relazione svolta al XXV convegno di studio E. de Nicola “Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro”, tenutosi a Milano nei giorni 1-15 marzo 2008, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2008, 1496 ss.

564 In relazione al sequestro di prevenzione, si veda G.CAPECCHI, Le misure di prevenzione patrimoniali. Laboratorio di

174 In secondo luogo, un corretto approccio alla realtà economico-criminale impone un utilizzo ottimale degli strumenti disordinatamente messi a disposizione dall’ordinamento, scegliendo quello che maggiormente si attaglia al caso concreto, sempre leggendo le norme di legge con la lente della proporzionalità. Già in generale, ad esempio, quando (come nei sequestri/confische per equivalente) vi è la possibilità di scegliere tra diversi cespiti patrimoniali, appare opportuno evitare di vincolare/sottrare quelli strumentali ad attività economiche. Inoltre, occorre tenere ben presenti le possibili alternative che l’ordinamento mette a disposizione per situazioni di crisi di legalità e che talvolta si sovrappongono, sono alternative o comunque prevalgono alle incisive ipotesi di interdizioni ed ablazione patrimoniale (evidentemente misure di per sé capaci di capaci di paralizzare iniziative produttive in bonis e condurle al dissesto). In particolare, con l’obiettivo di dare continuità all’attività d’impresa, soprattutto qualora le dimensioni produttive ed occupazionali siano particolarmente significative, vi sono sia istituti di matrice amministrativa sia istituti che si innestano in procedimenti giurisdizionali. All’interno di questi ultimi, poi, sempre maggiore attenzione è data dal legislatore alle problematiche della gestione dei beni sequestrati ed amministrazione/destinazione dei beni confiscati.

5.3 Le misure amministrative a tutela della continuità d’impresa

A livello amministrativo, proprio il citato caso dell’ILVA di Taranto è stato lo scenario per alcuni importanti interventi normativi.

In relazione a problematiche di natura ambientale, il d.l. 3 dicembre 2012, n. 207 ha previsto la possibilità che il Ministro dell’Ambiente, riesaminando l’AIA, possa autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva fino a 36 mesi per stabilimenti di interesse strategico nazionale (individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) con almeno 200 lavoratori subordinati occupati (compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni), se ravvisi l’assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione. La prosecuzione, tuttavia, è subordinata all’adempimento di apposite prescrizioni ministeriali, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili. Un tale provvedimento amministrativo prevale su eventuali sequestri emessi dall’Autorità Giudiziaria, i quali, pur rimanendo in vita, non comportano l’inibizione delle attività così autorizzate.

Un simile assetto è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale, che ha evidenziato come si tratti di un’opera di bilanciamento che rientra nelle attribuzioni del legislatore e che evita che un diritto diventi “tiranno” nei confronti degli altri565. In dottrina è stato notato come in questo modo si

ma pericolosa alimentazione giornalistica nei confronti delle aspettative che la collettività nutre in ordine al recupero dei beni illecitamente accumulati [...]” e di conseguenza suggerisce al giudice di “accentuare nel provvedimento ablatorio cautelare le espressioni linguistiche ispirate ad un concetto di prudenza ed interinalità, sì da educare la stampa ad evidenziare che quanto assoggettato a sequestro risulta allo stato degli atti provento o frutto di attività criminale e che il destino di tali beni, pertanto, non sarà necessariamente la confisca”.

565 Cfr. Corte Costituzionale, 9 aprile-9 maggio 2013, n. 85, già citata nella parte generale (par.1.4) e nel presente Capitolo (par. 5.2 – nota 6 in cui sono presenti i vari commenti alla sentenza e più in generale alle problematiche sorte nel caso Ilva).

175 sia arrivati a delineare una vera e propria terza species del sequestro preventivo, in cui la “facoltà d’uso” è rimessa alle valutazioni di un organo amministrativo e l’adempimento delle prescrizioni è successivo (e non presupposto) a tale provvedimento; si è inoltre auspicato un’estensione della disciplina anche ad ipotesi che - seppur senza tali dimensioni occupazionali - presentino comunque significative esigenze socio-economiche di continuità produttiva566.

Peraltro, per lo specifico caso ILVA, lo stesso decreto legge ha previsto l’immissione nel possesso anche dei prodotti sequestrati quali prodotto del reato, al fine di permetterne la commercializzazione, sempre nell’ottica di efficiente continuità aziendale. Ancor più che nell’ambito delle misure prettamente preventive, allora, è qui evidente come il legislatore abbia inteso comprimere la confisca ripristinatoria a favore dei soggetti (lavoratori) che evidentemente sono stati estranei al reato ed anzi principali vittime dello stesso567.

Nello stesso solco si pongono i decreti legge 4 giugno 2013, n. 61 e 10 dicembre 2013, n. 136. Con il primo, è stata introdotta una particolare ipotesi di commissariamento per 12 mesi (prorogabili fino a 36) di imprese che gestiscano almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale, deliberata dal Consiglio dei Ministri. Il presupposto è che la relativa attività produttiva abbia comportato e comporti pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute a causa dell’inosservanza dell’AIA. La gestione è finalizzata alla continuità dell’impresa ed alla risoluzione delle problematiche ambientali568.

Per far ciò, le risorse finanziarie sono attinte anche dalle somme sequestrate all’impresa o ai soggetti resisi autori dei reati ambientali e - in virtù del secondo provvedimento legislativo indicato - anche se riferibili ad altri reati commessi nell’ambito della medesima attività imprenditoriale. Invero, appare singolare l’utilizzo attivo di somme meramente “congelate” e la cui sorte dovrebbe dipendere dalla sorte del procedimento (penale o nei confronti degli enti)569: ciò evidenzia ancora una volta

566 In questo senso P.TONINI, Il caso ILVA cit., 1158 e 1165.

567 E’ evidente che sono proprio i lavoratori le prime vittime dell’assenza di salubrità ambientale; a ciò si aggiunga che nell’ambito dell’attività siderurgica sono stati contestati anche reati in materia di infortuni sul lavoro, rispetto ai quali era avvenuta un’analoga “sterilizzazione legislativa” del sequestro (d.l. 4 luglio 2015, n. 92), sottoposta a vaglio di legittimità costituzionale, poi reso inutile dalla mancata conversione in legge.

568 Nello specifico «il commissario è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro sette giorni

dalla delibera del Consiglio dei Ministri e si avvale di un sub commissario nominato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Con gli stessi procedimenti si provvede all'eventuale sostituzione o revoca del commissario e del sub commissario. 2. Il commissariamento di cui al comma 1 ha durata di 12 mesi eventualmente prorogabili di 12 mesi fino ad un massimo di 36. La prosecuzione dell'attività produttiva durante il commissariamento è funzionale alla conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi conseguenti alle situazioni di cui al comma 1». Per qualche riflessione

sull’istituto, cfr. M. MASSA, Il commissariamento dell’ILVA e il diritto delle crisi industriali, in

www.forumcostituzionale.it, 17 giugno 2013.

569 In questo senso, nel novembre 2015 il Tribunale di Bellinzona ha annullato la decisione del giudice di Zurigo che permetteva la consegna di denaro sequestrato dalla Procura di Milano alla famiglia Riva mediante rogatoria in conti svizzeri al fine del riutilizzo per la bonifica ambientale e messa in sicurezza: le motivazioni dei giudici svizzeri si fondano