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Per quanto concerne il problema dei vizi e mancanza di qualità, si è osservato che, trattandosi di difetti imputabili all’alienante, sono estranei all’area del rischio assunto dall’acquirente.

I difetti della res futura sono imputabili al venditore quando egli compia negligentemente le attività strumentali alla venuta ad esistenza della cosa o quando i beni strumentali presentino delle condizioni insufficienti o comunque non adeguate alla produzione del bene dedotto nel contratto, si pensi ad esempio ai vizi della cosa madre.

Alla luce dei principi generali, la garanzia è esclusa allorquando al momento della conclusione del contratto i difetti erano facilmente riconoscibili ex art. 1491 cod. civ. Relativamente alla vendita di cosa futura, dunque, il compratore non ha diritto alla garanzia quando usando l’ordinaria diligenza avrebbe potuto accorgersi che le condizioni della cosa madre erano tali da non garantire una buona riuscita della cosa dedotta nel contratto.

67 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 389

68 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, cit., pag. 389

37 Se il vizio o la mancanza di qualità essenziali o promesse non sono imputabili al venditore, il rimedio applicabile risulta quello dell’impossibilità parziale della prestazione non imputabile alle parti.

Se si tratta di vendita di cosa futura commutativa ex art. 1472 comma 1 cod. civ., l’acquirente ha la possibilità di rifiutare i beni difettosi e nello specifico di recedere dal contratto laddove non abbia un apprezzabile interesse all’adempimento parziale ossia ad acquistare solo quella parte di beni che siano qualitativamente conformi a quelli previsti, dal momento che non si assume il rischio dell’eventuale deterioramento fortuito del bene.

Se invece non venga in rilievo una completa diversità del bene il compratore è soggetto ai termini di decadenza e di prescrizione abbreviata previsti in tema di garanzia per vizi e mancanza di qualità all’art. 1495 cod. civ.

In conclusione alla vendita di cosa futura commutativa si ritiene applicabile la disciplina in tema di garanzia per vizi di cui all’art. 1490 cod. civ.69

3.1.1 Vendita a prezzo forfettario e vendita a sorte.

Dopo aver analizzato la disciplina applicabile in tema di vizi e mancanza di qualità relativamente alla vendita di cosa futura c.d. commutativa di cui all’art. 1472 primo comma cod. civ., è necessario approfondire la questione relativa alla differenza tra vendita a misura e vendita a prezzo forfettario al fine di un maggior inquadramento della fattispecie contrattuale in esame.

Nella vendita a misura il prezzo è proporzionato alla quantità prodotta, mentre nella vendita a prezzo forfettario il prezzo è fissato globalmente a prescindere dalla quantità prodotta del bene dedotto nel contratto. In quest’ultima ipotesi, diversamente dalla prima, il compratore assume su di sé il rischio dell’eventuale diminuzione della quantità prodotta e della carenza qualitativa del prodotto rispetto al previsto e di conseguenza non gode dei rimedi analizzati nel paragrafo precedente in tema di garanzia per vizi e difetti di qualità non imputabili al venditore e nello specifico non ha il diritto di agire in giudizio per chiedere la risoluzione per impossibilità parziale della prestazione non imputabile alle parti70.

In ogni caso il compratore non si assume anche il rischio della mancata venuta ad esistenza della res futura, potendo in questa ipotesi agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto per impossibilità totale della prestazione non imputabile alle parti.

Se invece il compratore si assume, tramite apposita pattuizione, anche il rischio che la cosa non venga ad esistenza la vendita si configurano gli estremi della vendita a sorte.

69 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 390

70 M. Bianca, la vendita e la permuta, Torino, II edizione, Utet, 1993, pag. 391

38 Invero, come più volte ribadito dalla stessa Corte di Cassazione, nella vendita a sorte o emptio spei il compratore si obbliga incondizionatamente a pagare al venditore il prezzo anche se la cosa non venga ad esistenza o sia comunque quantitativamente diversa da quella sperata o supposta dal compratore al momento dell’acquisto. Il fatto che il compratore nella vendita a sorte si assuma il rischio dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione non è tale da modificare l’attribuzione in ogni caso spettante al compratore stesso: il trasferimento del diritto alienato.

Con riferimento all’alienazione del diritto come attribuzione principale della vendita a sorte si intende di conseguenza l’obbligo dell’alienante di far acquistare al compratore il diritto promesso e quindi di svolgere tutte le attività necessarie affinché il bene venga ad esistenza, così che se la mancata o ridotta produzione del bene sia imputabile alla condotta negligente dell’alienante, sorge comunque a carico di quest’ultimo l’obbligo del risarcimento del danno per inadempimento del contratto.

4 Le impugnative negoziali. L’esperibilità dell’azione di risoluzione per eccesiva onerosità.

Come abbiamo avuto modo di vedere nei paragrafi precedenti, le prestazioni corrispettive del compratore e del venditore non si esauriscono in un unico momento, anzi, nella vendita di cosa futura il trasferimento del diritto si realizza in un momento successivo rispetto alla conclusione del contratto.

Il dubbio che si è posto la dottrina è se sia applicabile il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 cod. civ., nel caso in cui la prestazione di uno dei due contraenti tra il momento conclusivo dell’accordo e il momento della venuta ad esistenza della res futura diventi eccessivamente onerosa per la sopravvenienza di avvenimenti straordinari ed imprevedibili.

In realtà si è osservato che la risposta a questo interrogativo postula necessariamente, in primo luogo, una compiuta individuazione degli atti che rientrano nell’ambito applicativo della disposizione di cui all’art. 1467 cod. civ.; in secondo luogo, una distinzione tra il caso in cui l’eccessiva onerosità sopravvenuta riguarda la prestazione del venditore e tra il caso in cui riguarda invece quella del compratore71.

Per quando concerne la prima questione, dalla lettura della norma in esame si evince che l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità si applica ai contratti ad esecuzione periodica o continuata ed ai contratti ad esecuzione differita nei quali l’originario sinallagma contrattuale viene sconvolto da un evento straordinario ed imprevedibile che rende eccessivamente onerosa, al di là dell’alea normale del contratto, la prestazione di uno dei contraenti.

Il dubbio è se la vendita di cosa futura rientri nel tipo di contratti suddetti e di conseguenza se ad essa sia applicabile la disciplina in esame.

71P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, par. 44

39 Quel che è certo è che la fattispecie contrattuale in commento non è un contratto ad esecuzione continuata o periodica, dal momento che in essa manca qualsiasi carattere di periodicità.

Non può invece escludersi con altrettanta sicurezza che la vendita di cosa futura sia un contratto ad esecuzione differita. Quella parte della dottrina, che ritiene che la fattispecie contrattuale in esame sia un negozio a formazione progressiva, risponde negativamente alla questione suddetta e fonda il suo ragionamento sul fatto che è impossibile prospettare l’onerosità di un obbligo, non ritenendo sorto, sino alla venuta ad esistenza della cosa, il contratto da cui tale obbligo scaturisce72.

Come abbiamo già detto nel primo capitolo, trattasi in ogni caso di una ricostruzione non condivisibile per l’erroneità del presupposto da cui muove: la mancata completezza della fattispecie contrattuale.

Un’altra parte della dottrina ritiene che invece alla vendita di cosa futura sia applicabile il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità.

Invero, tale corrente dottrinale sostiene che se si ammette che la vendita di res futura, di cui all’art.

1472 primo comma cod. civ., sia un caso nel quale non vi è perfetta coincidenza tra la formazione e la totale esecuzione del negozio (perché alcune obbligazioni del compratore e del venditore non sono contestuali al contratto), si deve altresì ammettere che la vendita di cosa futura sia un contratto ad esecuzione differita, alla quale di conseguenza può essere applicata la disposizione di cui all’art. 1467 cod. civ.73

Tuttavia questa ricostruzione, se condivisa, solleva molte altre difficoltà, tutte riguardanti la modalità con cui si possa configurare in pratica l’eccessiva onerosità, dal momento che il trasferimento del diritto avviene automaticamente con la nascita della cosa.

Secondo l’opinione della dottrina suddetta, qualsiasi finalità si riconosca alla risoluzione per eccessiva onerosità, quel che è certo è che essa richiede la mancata esecuzione della prestazione di cui si lamenta l’eccessiva onerosità.

Nel caso della vendita di cosa futura, il differimento dell’effetto reale è di per sé sufficiente per ritenere che l’esecuzione del contratto sia differita e che sia ammissibile, nel periodo che intercede dalla conclusione del contratto alla venuta ad esistenza della cosa, l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità.

Di conseguenza, posto che l’eccesiva onerosità sopravvenuta riguarda la prestazione da adempiere da parte di chi domanda la risoluzione, ex art. 1467 primo comma cod. civ., nella vendita di cosa futura l’azione deve considerarsi ammissibile da parte del venditore finché non vi sia stato il trasferimento del diritto74.

72 Di questa opinione D. Rubino, la compravendita, III edizione, Milano, Giuffrè, 1971

73 Di questa opinione P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962

74 P. Perlingieri, negozi su beni futuri, Napoli, Jovene, 1962, par. 44

40 Se quindi la vendita ha ad oggetto i frutti prendenti, il venditore può agire in giudizio per chiedere la risoluzione, ex art. 1467 cod. civ., solo prima che i frutti stessi vengano separati dalla cosa madre, anche se l’acquirente è stato già messo nella disponibilità del fondo.

Dopo aver chiarito la questione relativa all’ammissibilità della risoluzione per eccessiva onerosità nel caso di vendita di cosa futura commutativa, resta da stabilire se la stessa possa essere applicata anche alla vendita di cosa futura aleatoria di cui all’art. 1472 secondo comma cod. civ.

La risposta è suggerita dallo stesso legislatore all’art 1469 cod. civ., che esclude espressamente l’applicabilità di questo rimedio ai contratti aleatori. La ratio di questa esclusione risiede nel fatto che in questi contratti il rischio di una sproporzione tra le prestazioni è già insito nella causa negoziale.

Si ritiene dunque che lo strumento risolutorio sia ammissibile quando intervengono fatti di eccezionale gravità e di scarsa prevedibilità che superino i limiti dell’alea inerente alla natura stessa del contratto.