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La resilienza nella gestione delle emergenze

Nel documento Anno Accademico 2020/2021 (pagine 38-42)

2 Le peculiarità della gestione del rischio

2.5 La resilienza nella gestione delle emergenze

Il cambiamento climatico, lo spopolamento dei territori più marginali, il forte sviluppo edilizio, l’abusivismo dell’ultimo secolo, l’occupazione delle aree di espansione dei fiumi, l’impermeabilizzazione di vaste aree e l’aumento graduale del numero di eventi dannosi sono alcuni dei fattori che hanno progressivamente aumentato la vulnerabilità di un territorio già fragile (Di Lodovico, 2013;

Dipartimento nazionale di Protezione Civile, 2018). Per questo motivo, il tema della resilienza è diventato sempre più importante nel corso degli anni e sempre più diffuso per inquadrare il concetto di riduzione dei rischi. Dal latino resalio (che significa rimbalzare), il termine resilienza si riferisce alla capacità di un sistema, o di un individuo, di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici e sapersi riorganizzare positivamente. Questo concetto, in realtà, è nato in relazione all’ingegneria dei materiali, tradizionalmente un metallo con capacità di resistere alle forze che gli vengono applicate viene definito resiliente. L’ecologo Crawford Holling (1986), alla quale possiamo attribuire il successo del concetto di resilienza, ipotizzò la distinzione tra due diversi significati di resilienza, il primo in relazione alle materie ingegneristiche e quindi alla capacità di un sistema dopo essere sottoposto a sforzi temporanei di tornare al suo stato iniziale (Mela, et al., 2017);

il secondo significato si basa sull’ecologia in cui resilienza indica la pressione che un sistema può assimilare prima di mutare la sua originaria struttura (Ibid.), in questo caso oltre alla dimensione temporale (quanto tempo ci impiega un sistema a tornare a condizioni di equilibrio) è importante anche la magnitudo dell’evento che il sistema può assorbire (Russo, 2019). L’elemento chiave che si può trovare nel ragionamento di Holling è il confronto tra il concetto di resilienza e il concetto di equilibrio. Infatti, attraverso la resilienza il sistema può avere diverse condizioni di equilibrio, che si costituiscono rispondendo agli stress non tornando alle condizioni di partenza, bensì modificandosi progredendo in avanti (Mela, et al., 2017). Con queste considerazioni si può comprendere che la resilienza di un

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all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione

sistema non è fissa ma piuttosto è in continuo mutamento verso un sistema più efficiente.

Nel tempo la resilienza è diventa un importante obiettivo, non solo per le città ma anche per i territori più fragili e marginali, soprattutto di fronte alle nuove sfide portate dal cambiamento climatico (Gomes Ribeiro, et al., 2019). Attualmente sono diversi i significati e gli obiettivi che si attribuiscono alla resilienza, soprattutto perché è un concetto in grado di applicarsi a diversi campi scientifici (Meerow, et al., 2016). Susan Cutter (2008), definisce la resilienza come:

“[traduzione propria] la capacità di un sistema sociale di rispondere e riprendersi dai disastri ed include quelle condizioni intrinseche che consentono al sistema di assorbire gli impatti e far fronte ad un evento, così come i processi di adattamento post-evento che facilitano la capacità del sistema sociale di organizzare, cambiare e apprendere in risposta ad una minaccia” (Cutter, et al., 2008 p. 599).

Come detto, non esiste un unico significato di resilienza (Meerow et al, 2016): non c’è un ampio consenso sul suo uso, poiché il termine viene utilizzato in diverse discipline e contesti con comprensioni e riferimenti molto diversificati, perdendo il suo significa e la sua forza (Folke, 2016; Moser, et al., 2019).

Le sfide che gli insediamenti devono affrontare possono essere ricondotte a due principali filoni: da un lato le sfide implicate dal cambiamento climatico, con la quale si assiste, come già accennato nei paragrafi precedenti, ad un aumento di eventi naturali disastrosi, quali dissesti idrogeologici, alluvioni, desertificazione e costituzione di isole di calore; dall’altra parte troviamo sfide dovute ai cambiamenti sociali, come l’aumento della popolazione urbana a discapito di quella rurale, il divario crescente tra paesi ricchi e poveri, l’abbandono dei territori più marginali e una conseguente mancanza di manutenzione e presidio territoriale. Per fronteggiare tali sfide è sempre più necessario applicare politiche e pratiche per realizzare gli obiettivi della resilienza (Acierno, 2015). In generale oggi la resilienza non viene intesa solo come la capacità di far fronte ad un impatto, ma anche di sapersi adattare e organizzare nel lungo periodo (UNEP, 2017). In

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questo contesto di rilevanza è la resilienza sociale, che in riferimento alla gestione dell’emergenze, può essere definita come “un processo sociale interattivo e multidirezionale, consistente di un insieme di pratiche e di comportamenti di risposta preesistenti e appresi nel corso dell’evento stesso” (Mela, et al., 2017 p.

44). La resilienza sociale e la resilienza territoriale risultano essere collegate da una stretta relazione, in quanto le relazioni sociali si consumano nello spazio fisico.

Pertanto, è sottinteso che non si può parlare di resilienza territoriale senza citare la resilienza sociale, in cui l’obiettivo è il coinvolgimento degli stakeholders presenti sul territorio (Mela, et al., 2017 p. 47). Inoltre, parlare di resilienza sociale significa riconoscere le esperienze e le modalità con la quale le comunità che vivono sul territorio imparano ad affrontare le difficoltà riscontrate in seguito ad un evento catastrofico. Costruire comunità resilienti vuol dire adottare nuove strategie incentrate sulla popolazione, che mirano a ricostruire una collaborazione tra cittadini e pubblica amministrazione, che nel tempo è andata persa me che risulta essenziale, in quanto essi sono i due principali attori di ogni società civile (Mauri, 2019). In particolare, nel campo della gestione del rischio la resilienza è considerata come la capacità di anticipare, preparare, pianificare e riprendersi dagli impatti negativi di un pericolo e quindi mitigare, prevenire e ridurre al minimo le perdite, le sofferenze e il disagio sociale (Mileti, 1999; Bruneau, et al., 2003; IPCC, 2014; Pede, 2020).

In aggiunta, il concetto di resilienza di una comunità è strettamente legato alla condizione dell’ambiente e del trattamento delle sue risorse; pertanto il concetto di sostenibilità è centrale negli studi di resilienza. Gli ambienti sotto stress a causa di pratiche non sostenibili possono causare gravi rischi ambientali (Cutter, et al., 2008). Sebbene le catastrofi naturali o provocate dall’uomo siano sempre tragiche, il recupero e la ricostruzione post-catastrofe possono fornire un’opportunità unica per la società di risolvere gravi problemi strutturali e prevenire future catastrofi per le popolazioni colpite, occasioni che se sfruttate porterebbero ad una maggiore resilienza delle comunità locali (Schneider, et al., 2002; Tumini, et al., 2017). In particolare, la conoscenza e la diffusione dei princìpi della cultura della

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prevenzione e della sicurezza all’interno delle comunità consentirebbe la mitigazione degli impatti negativi dei disastri (Victoria, 2002; Xu, et al., 2018). Così facendo le comunità assumono un nuovo ruolo fondamentale nella concretizzazione della resilienza (Ibid.). Infatti, a causa dei danni derivanti dei disastri sono proprio le comunità a soffrire, indipendentemente dalla dimensione dell’evento; pertanto è importante che sappiano applicare strategie di autoprotezione al fine di essere in grado di rispondere ad un disastro prima dell’arrivo dei soccorsi (Victoria, 2002), specialmente nelle aree più isolate e marginali in cui spesso i soccorsi richiedono più tempo per arrivare. Kendra e Wachtendorf (2003) ritengono che la resilienza di comunità includa non solo ciò che accade dopo l’evento, ma anche la preparazione delle persone (Prati, et al., 2009). Tuttavia, sebbene sia assodato che la conoscenza gioca un ruolo chiave nello sviluppo di comunità resilienti, la maggior parte delle politiche sembra mirare a prepare gli insediamenti agli eventi, rendoli sicuri, piuttosto che occuparsi della conoscenza e della formazione della popolazione (Pede, 2020).

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