2 Le peculiarità della gestione del rischio
2.1 Il rischio e le sue componenti
Oggi, i territori in cui viviamo si presentano come fragili e vulnerabili, luoghi in cui si è sempre alla ricerca di uno stabile equilibrio tra ciò che è antropico e ciò che è naturale, tra ciò che potrebbe provocare un danno e ciò che il danno potrebbe subirlo. In ogni caso, l’uomo solo per il fatto di esistere accetta di convivere, in maniera più o meno consapevole, con un certo livello di rischio.
Diverse sono le definizioni di rischio ma, in generale, il rischio può essere definito come “la conseguenza indesiderata di una particolare attività in relazione alla probabilità di accadimento della stessa” (Piccinini, 1999 p. 38). In altre parole, è la probabilità che un evento si verifichi, capace di causare dei danni agli individui e ai beni. È quindi possibile individuare tre elementi che caratterizzano il rischio (Scinicariello, 2017):
1. Il verificarsi di un evento dannoso
2. L’incertezza del momento in cui esso si verificherà
3. La presenza di un effetto che origina dal suddetto evento
Quindi, il rischio viene definito come “la conseguenza indesiderata di una particolare attività in relazione alla probabilità di accadimento della stessa” (Piccinini, 1999 p. 38). In altre parole è la probabilità che un evento si verifichi, capace di causare dei danni agli individui e ai beni.
Secondo l’UNESCO (1972) il rischio è rappresentato dalla combinazione di tre componenti: pericolosità (P), vulnerabilità (V) e valore esposto (E), pertanto il rischio viene misurato con la formula:
RISCHIO TOTALE = PERICOLOSITA’ (P) x VULNERABILITA’ (V) x VALORE ESPOSTO (E)
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Il rischio totale rappresenta il numero atteso di perdite umane, feriti e danni a infrastrutture e immobili, interruzione di attività economiche e quindi l’impossibilità di proseguire una vita normale per i cittadini a seguito di un evento (Bignami, 2010).
Per pericolosità si intende la probabilità che un evento, con una certa intensità, si verifichi in una determinata area e in un dato intervallo di tempo. Ovviamente, tanto più frequenti saranno gli eventi di una certa intensità, tanto più elevata risulterà essere la pericolosità (Ibid.). La pericolosità non va confusa con il pericolo, che si descrive come un evento, un fenomeno o una attività umana potenzialmente dannosa, in grado di causare perdite in vite umane o danni, ma anche conseguenze sociali e economiche o danni ambientali (UNISDR, 2004). Può essere utile chiarire anche la distinzione tra rischio e pericolo: il decreto legislativo n.81/20081, all’articolo 2 lettera r), riporta che il pericolo è una “proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni”, in altri termini è una situazione che per sue caratteristiche ha la capacità di causare un danno. Lo stesso articolo alla lettera s) definisce il rischio come la “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione”, esso è quindi un puro concetto probabilistico, una relazione tra la probabilità e le conseguenze di verificarsi di uno specifico evento.
Infine, esistono diverse definizioni di vulnerabilità. Generalmente si intende la perdita che si verificherà a causa dello svolgersi di un evento, ma quando si parla di vulnerabilità dei sistemi si intende la “debolezza di sistemi fisici e sociali nei confronti di determinati pericoli” (Venco, 2016 p. 92). Mentre l’IPCC, l’Intergovernamental Panel on Climate Change, il principale organo intergovernativo, aperto a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite, che si occupa della valutazione dei cambiamenti climatici, ha definito la vulnerabilità come “la
1 D.lgs. 81/2008, Attuazione dell’articolo 1 della Legge 3 Agosto 2007, n. 125, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
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all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione
propensione o la predisposizione ad essere negativamente colpiti” (IPCC, 2014 p.
128) e sostiene che essa è composta da due elementi principali:
VULNERABILITÀ = SENSITIVITA’ – CAPACITÀ DI ADATTAMENTO In cui (IPCC, 2014a):
• Sensitività è il grado in cui un sistema è influenzato negativamente o vantaggiosamente dalla variabilità del clima o comunque dal cambiamento climatico.
• Capacità di adattamento è la capacità di un sistema di adattarsi ai cambiamenti climatici con l’obiettivo di contenere i danni potenziali o di sfruttare le opportunità oppure di far fronte alle conseguenze.
Infine il termine valore esposto indica il valore sociale, economico, ambientale, dei beni e delle infrastrutture che potrebbero subire danni in caso di evento. Nel valutare questa componente è necessario considerare due dimensioni, la dimensione strategica, economica e patrimoniale degli elementi esposti sull’area, e la dimensione quantitativa degli elementi esposti (Venco, 2016).
Dal punto di vista territoriale i danni attesi da un evento possono dipendere sia dalle caratteristiche dell’area coinvolta che dagli elementi esposti; quindi il danno atteso, ovvero il rischio, è dato dalla funzione di pericolosità, esposizione e vulnerabilità (Bignami, 2010).
Per quanto concerne il rischio è possibile fare diverse distinzioni: da una parte una distinzione in base alla natura stessa del rischio, in rischio naturale e rischio antropico. Dall’altra parte è invece possibile classificare i rischi in base agli aspetti che li caratterizzano.
I rischi naturali derivano dell’evoluzione catastrofica ed incontrollata di eventi naturali. Si tratta quindi di fenomeni naturali considerati rischiosi in quanto potrebbero causare diversi danni alla popolazione (ARPA Lombardia, 2007). I rischi naturali più frequenti sono le frane, le alluvioni, le esondazioni, i terremoti e le
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eruzioni vulcaniche. È bene chiarire che seppur i rischi sono considerati come naturali non significa che l’azione dell’uomo negli anni non abbia causato l’accentuarsi di questi fenomeni. Infatti, esistono rischi che seppur dovuti ai fenomeni naturali sono la conseguenza di una serie di attività umane. In particolare, tra le conseguenze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale vi è il sempre più evidente aumento di eventi estremi che generano gravi minacce, soprattutto per i territori più vulnerabili e fragili dell’intero pianeta.
Alcuni dei cambiamenti che si sono verificati a partire dal 1950 (IPCC, 2014a) sono stati correlati alle attività umane, come l’innalzamento delle temperature, sia agli estremi caldi che freddi, l’aumento del livello del mare e l’aumento numerico delle precipitazioni forti (Ibid.). Infine, i rischi antropici sono invece situazioni dannose dovute alle attività umane, come per esempio gli incidenti industriali, l’inquinamento o incendi boschivi.
Mentre, per quanto riguarda la distinzione dei rischi in base alle loro caratteristiche, Bignami (2010) propone una classificazione del rischio basata su alcune dimensioni concettuali. In particolare individua quattro dimensioni del rischio al fine di comprenderne gli aspetti caratterizzanti: la volontarietà, la collettività, la territorialità e la dinamica temporale (Bignami, 2010). La volontarietà si riferisce alla classificazione dei rischi in volontari e involontari. I primi si riferiscono ai rischi per la quale vi è un certo livello di accettabilità, ad esempio come capita con le fasce di esondazione del Piano di Assetto Idrogeologico. In particolare nella fascia C, ovvero area di inondazione per piena catastrofica, in cui è previsto un tempo di ritorno di 500 anni, Regioni e Enti locali attraverso gli strumenti di pianificazione urbanistica hanno la possibilità di regolamentare le attività consentite (Art. 31 , Norme di attuazione PAI, 2001), concedendo l’utilizzo del suolo accettando il rischio, consapevoli della bassa probabilità che un evento dannoso si possa verifica nel breve periodo. Mentre possiamo definire i rischi involontari come rischi naturali, come alluvioni o terremoti. La dimensione della collettività riguarda il numero di persone coinvolte durante il verificarsi di un evento (Bignami, 2010). Possono esserci eventi che
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all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione
colpiscono una o poche persone, come nel caso di un’abitazione colpita da una frana dovuta all’instabilità di un piccolo versante; i danni e le vittime riguarderanno la singola casa e la singola famiglia, vengono così chiamati eventi individuali in quanto non compromettono lo svolgersi delle attività quotidiane di un’intera comunità.
Esistono invece rischi in grado di provocare un ingente numero di danni materiali e morti in un determinato lasso di tempo in una determinata area, come per esempio terremoti o frane di grosse dimensioni che possono colpire un insediamento intero, in questo caso si parla di rischi collettivi (ibid.).
La terza dimensione, la territorialità, fa riferimento all’ambito di sviluppo del rischio. Esso può riferirsi ad un ambito ristretto, con effetti settoriali, come per esempio la crisi economica di un determinato settore produttivo, oppure può riguardare un ambito più vasto, con effetti territoriali, anche globali, come l’inquinamento atmosferico, considerato il più grave rischio ambientale per la salute dei cittadini, in particolare in Europa in quanto causa almeno quattromila morti all’anno (Battaglia, 2020). Il rischio riferito ad un determinato settore non mette in crisi lo svolgersi della vita ordinaria dei cittadini, al contrario l’inquinamento atmosferico può incidere sulla salute e sulla quotidianità di popolazione di interi Paesi o continenti (Bignami, 2010). Infine, la quarta dimensione si riferisce alla dinamica temporale, ovvero al tempo con la quale un rischio si manifesta e permane (Bignami, 2010). Ad esempio in caso di terremoto la scossa dura qualche secondo ma può comportare danni gravissimi sia per la popolazione che per le infrastrutture. È quindi un evento con una dimensione temporale molto breve ma i cui effetti possono essere di lungo periodo.
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