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Il tema del rischio e della prevenzione nelle aree interne

Nel documento Anno Accademico 2020/2021 (pagine 111-116)

4 Riconoscere le aree interne

4.4 Il tema del rischio e della prevenzione nelle aree interne

Parlare oggi di aree interne non significa solo dover affrontare i problemi sociali che le investono, tutt’altro. Significa porre l’attenzione sul sempre più importante tema del dissesto idrogeologico, che rappresenta un problema per tutte le aree interne. Si parla di esondazioni, dissesti morfologici torrentizi, frane, alluvioni, trasporto di materiale lungo i torrenti d’acqua. Far fronte a tali fenomeni significa dover mettere in campo ingenti risorse per fronteggiare le emergenze, a partire dalla messa in funzione della macchina dei soccorsi, l’assistenza alla popolazione e il ripristino delle attività (Colombo, et al., 2017).

L’UNISDR considera l’Italia uno dei Paesi più soggetti agli eventi catastrofici. Tra i motivi della predisposizione dell’Italia a subire tali eventi, come è già stato nei capitoli precedenti, vi è la sua naturale conformazione geologico, geomorfologica e idro-geografica che accentua i fenomeni di dissesto idrogeologico (ISPRA, 2015).

A ciò si aggiungono due fenomeni antropici che accentuano ancor di più questo rischio: il cambiamento climatico e lo spopolamento delle aree interne.

Il cambiamento climatico presenta impatti piuttosto rilevanti sul ciclo idrogeologico e sui fenomeni ad esso collegato, a partire dai dissesti idrogeologici (Margottini, 2015): diventati sempre più frequenti, intensi e imprevedibili. Sono diverse le conseguenze del cambiamento climatico sui fenomeni alluvionali e franosi, in particolare l’aumento delle precipitazioni ad elevata intensità può far incrementare sia il numero di fenomeni franosi, come colate rapide di fango o detriti, sia fenomeni di piena improvvisa, soprattutto nelle fasce montane e pedemontane (Margottini, 2015). Oltre ai fattori naturali, l’intervento dell’uomo e le continue modificazioni del terreno hanno aggravato i rischi idrogeologici, che da un lato aumentano la possibilità di un evento dannoso, dall’altro aumentano il numero di beni che possono potenzialmente essere travolti in caso di manifestazione di eventi (Colombo, et al., 2017).

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Dal 1961 al 2010 la superficie agricola utile dell’Italia è diminuita di più di 17 milioni di ettari, modificando l’equilibrio tra dinamiche ambientali. La diminuzione di attenzione diffusa sul territorio e della sicurezza degli insediamenti hanno generato impatti negativi: si sono verificate maggiori fragilità nel sistema suolo-superficie (Vindigni, et al., 2016). In Italia, il 91% dei Comuni, è collocato in aree a potenziale rischio frana e/o alluvioni (ISPRA, 2018). È evidente che la manutenzione del territorio, soprattutto delle aree attualmente meno popolate, è una condizione necessaria di sicurezza e di qualità ambientale, al fine di salvaguardare sia gli ecosistemi sia gli insediamenti umani. In altre parole, l’abbandono delle borgate, delle attività silvo-pastorali, l’abbandono dei boschi, il venir meno della manutenzione e delle attività che assicuravano la supervisione di intere porzioni di territorio sono dinamiche che hanno accentuato la probabilità di accadimenti di questi eventi, con conseguenze non solo per le comunità delle aree intere, ma anche di quelle situate a valle. Ad allarmare maggiormente sono proprio i dati presentati dall’ISPRA che evidenziano come quasi il 20% del territorio italiano sia situato in aree a pericolosità da frana, corrispondenti a 59.981 km2 (ISPRA, 2018)75.Come è possibile vedere nella carta sottostante (Figura 10), le Regioni con maggiore rischio sono l’Emilia Romagna, la Toscana, la Campania e la Valle d’Aosta.Mentre circa il 22% del territorio nazionale è a pericolosità idraulica, corrispondente a circa 70.762 km2 (ISPRA, 2018)76 . La Ragione a maggior rischio idraulico è l’Emilia Romagna (Figura 11) nella quale sono situate il 45% delle aree a pericolosità idraulica media, ovvero con un tempo di ritorno tra i 100 e i 200 anni.

75 Su dati riferiti alla Mosaicatura 2017

76 Su dati riferiti alla Mosaicatura 2017

Il ruolo del sistema della protezione civile 112

all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione

FIGURA 10-NUMERO DI ABITANTI RESIDENTI IN AREE A RISCHIO FRANA -2012

113 4 Riconoscere le aree interne

FIGURA 11-NUMERO DI ABITANTI RESIDENTI IN AREA A PERICOLOSITÀ IDRAULICA P1, P2, P3-2017

Il ruolo del sistema della protezione civile 114

all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione

In Italia un altro tema di rilievo è quello del rischio sismico, in particolare molte aree “[…] dell’Italia centro-meridionale, sono soggette ad una pericolosità sismica più elevata della media nazionale a causa dell’intensa attività sismotettonica della dorsale appenninica” (Silvestri, 2012 p. 1)77. Tra l’agosto 2016 e il gennaio 2017 alcune aree interne dell’Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria sono state ripetitivamente colpite da scosse sismiche, con violenze tra il 5,4 e 6,5 gradi della scala Richter. Le aree colpite erano luoghi già in declino, in cui storicamente i fenomeni di spopolamento, i processi di globalizzazione e l’affermarsi dell’economia terziaria ha compromesso la loro possibilità di riaffermarsi e attrarre popolazione (Silvestri, 2012). Pertanto, Il rischio sismico ha aumentato il rischio di depressione di queste aree, generando effetti negativi sia a livello economico che sociale. Tra i 140 comuni dell’area del cratere del terremoto del 2016-2017, il 60% di essi erano già classificati come aree interne, tra cui vi erano aree pilota che avevano già iniziato la sperimentazione della Strategia Nazionale per le Aree interne (Compagnucci, et al., 2020).

In conclusione, le aree interne oltre che ad affrontare una crisi economica e sociale, si trovano a convivere con un territorio fragile, in cui vi è un progressivo degrado del suolo e un aumento del rischio idrogeologico e sismico. In generale in Italia, ma in particolare nelle aree interne, quali aree più fragili dal punto di vista territoriali del Paese, è necessario mettere in campo azioni per far fronte ai rischi che si presentano. Una possibile risposta può essere trovata negli interventi di lungo periodo, con l’obiettivo di raggiungere la stabilità del suolo e l’assesto idrogeologico. Una via percorribile è quella di attuare una governance, basata sull’integrazione delle competenze tecniche e politiche, favorendo il passaggio da una cultura dell’emergenza a quella della prevenzione, basandosi su attività di prevenzione, che fino adesso sono state inesistenti o comunque insufficienti (Colombo, et al., 2017).

77 Documento consultabile al link: https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2020/07/Roma_15_dicembre_2012_Silvestri_Relazione_aree_interne_Il_rischi o_sismico_nelle_aree_interne_previsione.pdf

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La cultura della prevenzione richiede non solo la programmazione degli interventi di pianificazione del territorio, costruendo un territorio preparato a rispondere alle emergenze, con un organizzato sistema di risorse e competenze per la gestione dei soccorsi, ma anche una preparazione psicologica e formativa per le amministrazioni e le comunità. Infatti, è essenziale che le comunità attraverso un percorso formativo conoscano i codici e le misure di autoprotezione da attuare nel caso di emergenza al fine di prevenire o comunque limitare i danni derivanti dall’evento, in attesa della risposta da parte dei soccorsi, consapevoli del fatto che, soprattutto nelle aree interne, i soccorsi possono avere tempi di attesa più lunghi.

Per preparare le comunità a conoscere i comportamenti da mantenere in caso di evento catastrofico è essenziale il confronto con altre esperienze e con il sapere degli specialisti, dei responsabili della protezione civile e con i singoli amministratori (Silvestri, 2012).

Nel documento Anno Accademico 2020/2021 (pagine 111-116)