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3.2 Pianificazione territoriale e pianificazione d’emergenza: leggi, strumenti
La pianificazione territoriale gioca un ruolo fondamentale nella gestione delle emergenze, tra i suoi scopi vi è la riduzione della vulnerabilità del territorio di fronte agli eventi che possono produrre impatti negativi. In generale, la pianificazione spaziale dovrebbe essere riconosciuta come strumento per aumentare la possibilità di rispondere, positivamente, alle emergenze (March, et al., 2018).
Nel panorama internazionale esistono diversi strumenti che mirano a contribuire ad una migliore gestione del rischio attraverso la pianificazione del territorio e misure di prevenzione dei rischi. In particolare il Sandai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030, che ha sostituito il Hyogo Framework for Action 2005-2015, è uno strumento che porta al centro dell’attenzione questi due elementi. È stato adottato dalle Nazioni Unite in occasione della terza conferenza mondiale sulla riduzione del rischio di catastrofi a Sandai, in Giappone, nel 2015. Nello specifico, il Sandai Framework offre un quadro d’azioni per aiutare a ridurre le conseguenze dei disastri, rafforzare la resilienza delle nazioni e gestire la riduzione del rischio di catastrofi fino al 2030 (United Nations, 2015). Rappresenta una guida per la gestione del rischio di disastri e promuove la cooperazione a tutti i livelli:
regionale, nazionale e internazionale. I suoi principali obiettivi sono: l’incremento del numero di Paesi con strategie volte a ridurre i rischi entro il 2020, la riduzione del numero di vittime e feriti da disastri, delle perdite economiche e dei danni alle infrastrutture entro il 2030 e supportare i Paesi in via di sviluppo nelle loro azioni
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all’interno delle aree interne italiane. Verso una maggiore integrazione
a livello nazionale volte alla riduzione del rischio (United Nations, 2015). In definitiva, mira ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza della popolazione sul rischio disastri. In particolare, il Sendai Framework dà priorità alla pianificazione e alla ricostruzione post-evento. Tuttavia, è bene far emergere che la pianificazione post-disastro corrisponde alla fase di prevenzione delle emergenze future (Pede, 2014), pertanto è opportuno prevedere una corretta pianificazione territoriale e programmazione degli interventi per ridurre complessivamente i rischi territoriali ed a salvaguardare le vite umane. Una corretta gestione del territorio può modificare l’impatto dei disastri naturali sull’ambiente costruito e aiutare a potenziare il processo di costruzione di resilienza.
In generale, a livello internazionale, vi è un consenso diffuso sulla necessità di rafforzare l’integrazione tra pianificazione e mitigazione dei rischi naturali (March, et al., 2018). La pianificazione territoriale può essere utilizzata per sintetizzare i vari processi decisionali relativi agli insediamenti urbani (uso del suolo, infrastrutture, fattori sociali, economici e ambientali), integrando così la disciplina del governo del territorio con la gestione del rischio (Ibid.).
Gli strumenti che la pianificazione del territorio può mettere in campo per la gestione delle emergenze si dividono in due grandi categorie (Silva, et al., 2015;
Carter, 2016): i piani di sviluppo e gli strumenti di valutazione ambientale. Da una parte vi sono i piani territoriali, a livello nazionale, regionale e locale, che hanno l’obiettivo di fornire obiettivi e princìpi di resilienza, come incoraggiare a non costruire nelle aree a rischio o imporre vincoli per la tutela dell’ambiente (Carter, 2016). Mentre gli strumenti di valutazione ambientale possono essere la valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS): due strumenti che hanno l’obiettivo di valutare gli impatti nel tempo di piani, programmi e progetti.
Pertanto, la pianificazione territoriale può essere applicata con lo scopo di ridurre la frequenza e l’intensità dei rischi attraverso la prevenzione e la protezione degli
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elementi a rischio. Per esempio può essere di aiuto, per la riduzione della gravità degli eventi alluvionali la previsione di aree permeabili, che hanno la funzione di assorbire l’acqua e quindi ridurre la velocità e i volumi di deflusso (United Nations, 2015).
In Italia, a livello nazionale, non mancano i riferimenti legislativi volti alla difesa del suolo e alla tutela dell’ambiente. Dagli anni ’90 sono state introdotte leggi con i princìpi fondamentali di prevenzione dei rischi e protezione del suolo (Viviani, 2011; Pede, 2014). La prima legge quadro in materia di difesa del suolo risale al 1989, la L. 183/1989 Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo. È stata una vera e propria rivoluzione in ottica di pianificazione e governance del territorio in regime ordinario, infatti prima di allora gli interventi erano fatti solo in seguito ad emergenze ed in maniera puntuale: per la prima volta è stato introdotto un approccio integrato tra suolo, acqua e pianificazione (Testella, 2011). L’obiettivo della legge era la difesa dal rischio idrogeologico, il risanamento delle acque e la tutela degli aspetti ambientali (art. 1, L.183/1989).
Inoltre, la legge istituisce l’Autorità di Bacino che ha il compito di provvedere alla disposizione dei Piani Stralcio per l’assetto idrogeologico (PAI). Solo nel 1998, dopo l’esondazione del fiume Sarno, verrà imposto l’obbligo di adottare i PAI entro un anno dal Decreto Legge 180/98, convertito in legge dalla cosiddetta Legge Sarno (L.267/98) (Gaz, 2015). Quest’ultima legge ha posto la sua attenzione in particolare sulla definizione del PAI, che ha il compito di perimetrare le aree a rischio idrogeologico, di valutare i livelli di rischio e di definire la programmazione delle misure di salvaguardia.
Sempre dopo un’emergenza, in questo caso dopo l’alluvione di Soverato, nel 2000, venne introdotta la conferenza programmatica tra Regioni, Province, Comuni e autorità di bacino con il fine di assicurare coerenza tra pianificazione di bacino e pianificazione territoriale. In questo modo inizia un processo di integrazione della pianificazione del dissesto idrogeologico nella pianificazione territoriale, seppur manchi ancora un approccio sistemico che consideri unitariamente le tre fasi di prevenzione, pianificazione e gestione del rischio (Testella, 2011). Oltretutto, la
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normativa in materia continua ad avere un carattere prevalentemente emergenziale e non preventivo: le leggi vengono emanate subito dopo un disastro e non programmate in funzione della prevenzione dello stesso (Testella, 2011). Nel 2007, viene introdotta la Direttiva Alluvioni, che recepisce a livello europeo quanto era già stato anticipato nel contesto nazionale dalla L.183/89. In realtà si concentra sullo strumento delle mappe del rischio, senza introdurre novità sostanziali o rafforzare la normativa esistente (Ibid.).
Anche per quanto riguarda il rischio sismico, strumenti di progettazione e prevenzione sono stati introdotti solo a seguito di eventi emergenziali (Pede, 2020). Ad esempio, dopo il sisma di San Giuliano di Puglia nel 2002, sono stati introdotti nuovi metodi e linee guida per la progettazione di costruzioni nelle zone sismiche e sono stati introdotti strumenti di previsione dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 (Di Salvo, et al., 2012; Capriglione, et al., 2016; Pede, 2020).
Nello specifico, già nel 2005, la Regione Umbria ha introdotto il concetto di Struttura Urbana Minima, da realizzare tramite il PRG. La SUM è stata definita come il:
“sistema di percorsi, spazi, funzioni urbane ed edifici strategici per la risposta urbana al sisma in fase di emergenza, e per il mantenimento e la ripresa delle attività urbane ordinarie, economico-sociali e di relazione in fase successiva all’evento sismico” (Regione Umbria, 2010).
La SUM è da considerarsi come parte integrate del PRG, poiché l’individuazione delle componenti che la costituiscono è diretta a definire un insieme di azioni e interventi strategici e integrati che devono far parte dell’ossatura delle previsioni del piano, pertanto le scelte urbanistiche devono essere finalizzate anche a migliorare la SUM (Oliveri, 2013). Inoltre, nel 2012, viene introdotta l’analisi della Condizione Limite per l’Emergenza (CLE) che ha lo scopo di verificare i principali elementi fisici del sistema di gestione delle emergenze definiti nel piano comunale di protezione civile, quali luoghi del coordinamento, aree di emergenza e
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infrastrutture strategiche, al fine di assicurare l’operatività del sistema stesso dopo il terremoto (Commissione tecnica per la microzonazione sismica, 2014).