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La situazione e la disciplina nazionale e comunitaria

La gestione dei rifiuti in Italia continua a rimanere in una fase critica e contraddittoria: da un lato fondata su obbiettivi ambientali e di qualità sempre più ambiziosi, spinti dalle nuove direttive europee e con un quadro normativo e regolatorio complicato e incerto nella sua applicazione e interpretazione, dall’altro costituito da un settore industriale sottodimensionato e reso fragile dall’assenza di condizioni essenziali per attuare investimenti necessari, dato un generalizzato clima ostile dell’opinione pubblica verso qualsiasi tipo di intervento. In aggiunta, l’impegno per una qualificazione del settore è da tempo penalizzato da un mercato alterato da fenomeni di illegalità, favoriti dagli ideologismi e dall’inerzia delle amministrazioni competenti nell’attuazione dei compiti delegati (autorizzativi e pianificatori) che hanno determinato la carenza di impianti di trattamento, a partire da quelli di riciclo.127 Un Paese responsabile e moderno deve poter disporre di un sistema di gestione dei rifiuti adeguato ed evoluto sul piano industriale, e

126 S. Garzella, Il sistema d’azienda, Giappichelli, Torino, 2005.

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quindi della necessaria impiantistica per rispondere alle esigenze che emergono da una pianificazione del settore. Un sistema moderno è indispensabile per una adeguata gestione ambientale, per una corretta competitività del sistema Italia, per l’attrazione di investimenti e quindi anche per un corretto funzionamento del mercato del settore. L’Italia, storicamente carente di materie prime, ha da sempre sviluppato una propensione al recupero dei materiali. Dal dopoguerra è cresciuta nel nostro Paese una cultura industriale del recupero, in tutti i settori (metalli, carta, vetro, plastiche, tessile), siamo insieme alla Germania il più importante “distretto del riciclaggio” d’Europa, uno dei primi nel mondo. Il 65% dei rifiuti speciali e il 49% dei rifiuti urbani oggi viene già avviato a recupero di materia. Il 15/20% a recupero di energia. Nel Paese sono attive eccellenti industrie del riciclo che formano in alcune aree, i distretti locali più evoluti al mondo con capacità tali da richiedere importazioni di rottami.128 Le criticità e le dimensioni non marginali dei flussi di

rifiuti prodotti vanno affrontate rapidamente anche perché riguardano volumi importanti considerato che, ultimi dati ISPRA129, la produzione totale di rifiuti in Italia è di circa 165

milioni di tonnellate tra urbani, speciali e pericolosi senza aver interrotto il binomio crescita produttiva/generazione di rifiuti (c.d. decoupling), continuando a registrare un incremento della produzione di rifiuti all’aumentare del PIL (in Germania, nei Paesi Bassi e in Svezia questo risultato è acquisito da oltre un decennio). Gli investimenti stimati necessari per soddisfare le esigenze sono di almeno 10 miliardi. Tale contesto evidenzia anzitutto la carenza se non l’assenza di impianti, in particolare

128 http://www.assoambiente.org/files/Report%20Assoambiente%202019.pdf 129 http://www.isprambiente.gov.it/it

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nel centro-sud. Fare economia circolare significa poter disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e tipologie di dimensioni corrispondenti alla domanda. Servono quindi impianti di recupero (di materia e di energia) capaci non solo di sostenere il flusso crescente, in particolare delle raccolte differenziate di rifiuti, ma anche di sopportare fasi di crisi dei mercati esteri (vedasi il blocco delle importazioni di alcuni rifiuti da parte della Cina e India). Servono anche impianti di smaltimento finale (discariche), capaci di gestire i rifiuti residuali quali gli scarti generati dal processo di riciclo e quelli che non possono essere avviati a recupero o a trattamenti. Alcuni flussi di rifiuti sono in condizioni emergenziali già da tempo: fanghi di depurazione, amianto, rifiuti pericolosi. Esportiamo circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui 1 milione di rifiuti pericolosi, e circa 0,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani: un fenomeno in crescita, una assurdità etica ed economica, contraria ai principi comunitari. Condizione che penalizza economicamente il nostro sistema Paese data la non marginale lievitazione dei prezzi di conferimento all’estero, per carenza e o per assenza di impianti in Italia e con stoccaggi allo stremo. Attualmente si esporta per necessità e non più per convenienza. Esportare rifiuti si traduce anche in una perdita economica per l’Italia a favore dei Paesi esteri, sia in termini di mancato gettito fiscale, sia di perdita di potenziale forza lavoro nonché in una riduzione della competitività delle nostre aziende che si confrontano sul mercato estero con concorrenti soggetti a sensibili minori costi nella gestione dei propri rifiuti.130 Oggi in Italia per un impianto di

gestione dei rifiuti sono necessari dai tre ai cinque anni (tali valori

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raddoppiano se si contano i tempi necessari per affrontare annosi e inutili contenziosi al TAR spesso posti in essere dai comitati locali): le procedure ed i tempi variano da Regione a Regione, non esiste certezza ed uniformità, neanche per quanto riguarda i controlli. Tutto ciò genera aumenti dei costi, distorsioni della concorrenza nel mercato e contraddizioni nella regolamentazione di analoghe tipologie di trattamento in taluni casi considerato smaltimento in altri casi recupero. La complessità e la difformità interpretativa nel comparto affiorano anche dal recente Report di Istat sui reati ambientali dal quale emerge che oltre la metà dei procedimenti attivati dagli inquirenti vengono archiviati senza considerare i danni economici e di immagine per imprese e soggetti coinvolti.

La continua evoluzione della normativa in merito alla corretta gestione dei rifiuti impone oggi di seguire precise procedure amministrative, che risultano molto impegnative e complesse per le aziende ma al tempo stesso permettono agli organi preposti di controllare tutte le diverse fasi della gestione dei rifiuti dalla produzione allo smaltimento e/o il recupero.131 La materia vanta

una storia lunga e articolata, caratterizzata sempre dalla ricerca di un equilibrio tra le esigenze della produzione e quelle di tutela dell’ambiente e della salute, ed è legata alle normative comunitarie dato che l’articolo 117 C. stabilisce che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. L’Ue, consapevole degli elevati impatti che una pessima gestione dei rifiuti ha sull’ambiente e sulla salute umana ha, sin dalle prime direttive,

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previsto l’abbandono di pratiche di smaltimento dei rifiuti inaccettabili. Ma le varie opzioni per il trattamento dei rifiuti (conferimento in discarica, incenerimento e riciclaggio) erano poste dalle prime direttive sullo stesso piano, senza valutare l’impatto ambientale delle diverse alternative. Il passo decisivo è stato compiuto nel 1996(COM (96) n. 399 del 30.7.96) con l’individuazione di una gerarchia dei rifiuti, che mette al primo posto la prevenzione della produzione dei rifiuti; ed in successione: riutilizzo, riciclaggio, recupero di energia, fino allo smaltimento dei prodotti in discarica, che deve restare la soluzione residuale.132

Fonte: commissione Europea

In Italia queste direttive sono state recepite il D.lgs. 22/1997 detto “Decreto Ronchi”. La nuova norma segna sicuramente un cambio di passo rispetto alla situazione preesistente anche dal punto di vista normativo, ponendo fine ad un caotico e confuso interventismo normativo con grave pregiudizio al principio della certezza del diritto. Tra i meriti di questo Decreto c’è sicuramente quello di aver creato un sistema di raccolta e riciclo dei rifiuti,

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regolato dal consorzio unico CONAI133 e dai vari consorzi di

filiera. Fin da subito, l’obbiettivo di questo nuovo sistema di consorzi, è quello di collaborare con i comuni per ottimizzare il conferimento e lo smaltimento degli scarti. Più di vent’anni fa il Decreto Ronchi apre una nuova strada, con misure essenziali e necessarie, per la moderna gestione dei rifiuti e a detta del padre di quella norma: “Con quella riforma scegliemmo di anticipare, non senza difficoltà, gli indirizzi europei sulla gestione dei rifiuti, assegnando una netta priorità al riciclo rispetto al largamente prevalente smaltimento in discarica e all’incenerimento di massa. Quella riforma ha consentito di far decollare l’industria verde del riciclo dei rifiuti”.134 L’Ue, in esecuzione di quanto approvato al

Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile (Johannesburg, settembre 2002)135 ha intrapreso una serie di iniziative mirate a

ridurre significativamente la quantità degli scarti e dei residui generati dalle attività produttive e dalla vita quotidiana dei cittadini, prima ancora che siano messi in essere. In concreto è stata prevista e migliorata la disciplina di specifiche tipologie di rifiuto e, soprattutto, è stata promossa la “Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti” con la Comunicazione della Commissione europea del 21 dicembre 2005 (COM 2005;666).136 La “Strategia” costituisce, ancora oggi,

l’orientamento strategico di fondo dell’Ue in materia di rifiuti in

133CONAI (COnsorzio NAzionale Imballaggi) è un Consorzio privato senza fini di lucro che costituisce in Italia lo strumento attraverso il quale i produttori e gli utilizzatori di imballaggi garantiscono il raggiungimento degli obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio previsti dalla legge.

134https://www.fondazionesvilupposostenibile.org

135 “prevenire e ridurre al minimo la produzione di rifiuti e rafforzare quanto più possibile il riutilizzo,

il riciclo e l'uso di materiali alternativi innocui per l'ambiente, con la partecipazione delle

amministrazioni statali e di tutte le parti interessate, in modo da ridurre al minimo gli effetti negativi sull'ambiente ed accrescere l'efficienza delle risorse”. http://www.johannesburgsummit.org

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quanto, sin dalla sua origine, ha fissato obbiettivi di lungo termine, in primis quello di trasformare l’Ue in una società fondata sul riciclaggio, una società, cioè, che eviti gli sprechi ed utilizzi gli inevitabili rifiuti prodotti come una risorsa. C’è stata, dunque, un’evoluzione nel concetto di rifiuto: da essere etichettato come un problema ambientale ad essere considerato una risorsa da valorizzare. Nell’ottica di ridurre al massimo gli impatti ambientali diviene fondamentale tracciare i rifiuti lungo l’intero corso della loro esistenza, dalla produzione allo smaltimento, passando anche per il riciclaggio. viene introdotto così il concetto dell’”analisi del ciclo di vita” nelle politiche collegate ai rifiuti. La strategia, riaffermando il concetto di gerarchia dei prodotti, intende, pertanto, definire nuove possibilità di gestione dei rifiuti nell’ottica di diminuire le quantità smaltite in discarica, di recuperare una maggiore quantità di compost ed energia dai rifiuti e di migliorare quanti- qualitativamente il riciclaggio. Affinché ciò avvenga l’Ue ha stabilito con la Direttiva 2008/98/CE obbiettivi vincolanti che devono essere raggiunti da ogni Stato membro entro il 2020. Cioè:137

• aumentare almeno al 50%, in termini di peso, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti provenienti dai nuclei domestici (almeno carta, plastica, metalli e vetro) e possibilmente di rifiuti di altra origine, purché simili a quelli domestici;

• aumentare almeno al 70%, in termini di peso, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di

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recupero di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione;

• ridurre al 35%, entro il 16 luglio 2016, i rifiuti biodegradabili da conferire in discarica.

A tale scopo è necessario che gli Stati membri applichino correttamente e sostanzialmente la normativa comunitaria e i princìpi cardine in materia di ambiente e gestione dei rifiuti, quali: • il principio “chi inquina paga” (pay as you throw): è un principio guida della politica europea ambientale, previsto dall’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ed espressamente richiamato dalla direttiva quadro sui rifiuti, in base al quale i costi dell’inquinamento ambientale spettano al soggetto responsabile. Ne consegue che produttore e detentore di rifiuti sosterranno tali costi, in misura, però, proporzionale a quanto inquinato. Il principio “chi inquina paga” è divenuto la base dei nuovi sistemi di tariffazione: si allocano i costi in virtù della quantità di rifiuti (soprattutto urbani) effettivamente prodotta; si responsabilizza il privato nei confronti dell’ambiente;

• Il principio della gerarchia dei rifiuti. Il rispetto della gerarchia dei rifiuti richiede l’adozione nazionale di atti, regolamenti, strumenti, misure e iniziative concrete, sia a livello centrale che locale. Precisamente, ogni Stato membro è tenuto ad adottare programmi di prevenzione e piani di gestione che garantiscano la migliore opzione ambientale, tenendo presente gli impatti sanitari, sociali ed economici. Il rispetto del principio della gerarchia nel trattamento dei rifiuti è infine divenuto fondamentale con il

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piano finanziario pluriennale 2014-2020: solo chi adotta piani di gestione rispettosi della direttiva quadro e della gerarchia dei rifiuti potrà beneficiare dei fondi europei; • Il principio della responsabilità estesa del produttore,

secondo cui qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi beni è responsabile dei rifiuti prodotti. Si vuole controbilanciare il minor vantaggio economico del riciclo rispetto al recupero di energia e allo smaltimento in discarica. Il fine è rafforzare il riutilizzo, la prevenzione, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti; in ordine a ciò ogni Stato membro può adottare misure sia legislative che non;

• I principi di prossimità e autosufficienza: entrambi sono indirizzati a rendere la Comunità nel suo complesso ed ogni Paese membro autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti e nel recupero dei rifiuti urbani differenziati provenienti dalla raccolta domestica. Diviene, dunque, necessaria la realizzazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento e di recupero nel rispetto del contesto geografico e delle esigenze specifiche di alcuni tipi di rifiuto;

• Il principio di movimentazione minima dei rifiuti, infine, stabilisce che i movimenti oltre frontiera dei rifiuti pericolosi e degli altri rifiuti devono essere ridotti al minimo compatibile con una gestione efficace ed ecologicamente razionale. Fissato nella Convenzione di Basilea e richiamato dalle disposizioni europee di settore è una concretizzazione dei precedenti principi, volta a

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proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti nocivi che potrebbero derivare.

I suddetti principi e gli obbiettivi vincolanti fissati dall’Ue in materia di rifiuti sono stati recepiti nel nostro ordinamento dal D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Testo Unico Ambientale o Codice dell’ambiente, parte quarta). La parte quarta del codice dell’ambiente disciplina quindi la gestione dei rifiuti conformemente ai principi di precauzione, prevenzione, proporzionalità, responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga” ed è strutturato così:138

• al titolo I (art. 177-216 bis) fissa gli aspetti fondamentali della gestione dei rifiuti: i principi e gli obbiettivi, le definizioni e la classificazione dei rifiuti, la disciplina del SISTRI (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti), le competenze, il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e le autorizzazioni ed iscrizioni;

• al titolo II (art. 217-226) disciplina la gestione degli imballaggi;

• al titolo III (art. 227-237) disciplina la gestione di particolari categorie di rifiuti (rifiuti elettrici ed elettronici, rifiuti sanitari, veicoli fuori uso, prodotti contenenti amianto, pneumatici fuori uso, rifiuti derivanti da attività

138 Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Norme in materia ambientale (G.U. n. 88 del 14 aprile

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di manutenzione delle infrastrutture, rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico ed alcuni tipi di oli);

• al titolo IV (art. 238) definisce la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani;

• al titolo V (art. 239-253) tratta della bonifica di siti contaminati;

• al titolo VI (art. 254-266) sistema sanzionatorio e disposizioni transitorie e finali.

In questi anni il T.U.A. ha subito diverse modifiche, tra le quali la Legge 125/2015139 che ha modificato le definizioni di deposito

temporaneo e di produttore del rifiuto portando importanti variazioni anche alla classificazione dei rifiuti eco-tossici, la Legge 123/2017 in merito alla classificazione dei rifiuti pericolosi e la Legge 11 febbraio 2019, n.12140 di conversione del Decreto

“Semplificazioni” con il quale è definitivamente calato il sipario sul sistema SISTRI che ha presentato nel tempo notevoli criticità applicative. Anche il legislatore europeo ha contribuito alle successive modifiche tramite l’emanazione del decreto UE 1357/2014 sulla classificazione rifiuti pericolosi, il nuovo EER - Elenco Europeo dei Rifiuti (List of wastes) pubblicato con la Decisione 2014/955/Ue141 entrata in vigore il 1º giugno 2015 e la

Direttiva 997/2017 sui criteri di classificazione dei rifiuti eco- tossici. Un futuro oramai non tanto lontano ci fa intravedere invece un nuovo modo di concepire e gestire i rifiuti. La

139Legge 6 agosto 2015, n. 125 – “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n.

78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali” (G.U. n. 188 del 14 agosto 2015).

140

Legge 11 febbraio 2019, n. 12 – “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione” (G.U. n. 36 del 12 febbraio 2019).

141

Decisione della Commissione, del 18 dicembre 2014, che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco

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cosiddetta “circular economy”142 che muove i suoi primi passi con

le nuove Direttive emanate in sede UE il 30 maggio 2018 e in vigore dal 4 luglio 2018 e in particolare:

• Direttiva 2018/849/UE che modifica le Direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchia- ture elettriche ed elettroniche (RAEE);

• Direttiva 2018/850/UE che modifica la Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti;

• Direttiva 2018/851/UE che modifica la Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti;

• Direttiva 2018/852/UE che modifica la Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Ogni stato membro dovrà recepire questo nuovo pacchetto di norme entro e il 5 luglio 2020. Tra gli obbiettivi dichiarati vi è il riciclaggio entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035), mentre si frena lo smaltimento in discarica (fino a un massimo del 10% entro il 2035). Il 65% degli imballaggi dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. I rifiuti tessili e i rifiuti pericolosi delle famiglie dovranno essere raccolti separatamente dal 2025, mentre entro il 2024 i rifiuti biodegradabili dovranno anche essere raccolti separatamente o riciclati a casa attraverso il compostaggio.

142 “Un'economia circolare mira a mantenere per un tempo ottimale il valore dei materiali e

dell'energia utilizzati nei prodotti nella catena del valore, riducendo così al minimo i rifiuti e l'uso delle risorse. Impedendo che si verifichino perdite di valore nei flussi delle materie, questo tipo di economia crea opportunità economiche e vantaggi competitivi su base sostenibile.” Commissione Europea.

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