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4. LUOGHI DELLA RICERCA

4.4 LE ATTIVITA' ECONOMICHE BANGALI

La prima visita al luogo di ricerca segue all'incontro con l'insegnante della scuola dell'Istituto Comprensivo di Pieve nel mese di maggio 2008.

Dopo un lungo percorso in auto da Padova, non essendoci agevoli mezzi di trasporto pubblico che raggiungono la città, arrivo a Pieve di Soligo, attraversando il ponte sul fiume Piave. Incontro numerosi autocarri con la scritta luminosa “Razza Piave!”. La stessa scritta è dipinta sui muri della strada che mi porta al comune.

Le parole della Lega, fondate su principi che mutano sotto spinta di interessi e aspirazioni diverse, sono un altro caso di costruzione di identità, come Borgo Stolfi. Ciò che colpisce nell'operazione “Padania”, spiega Amselle (1999: 17), non è tanto il desiderio di gestire una ricchezza propria, comprensibile nelle negoziazioni sociali, ma “la manipolazione e la strumentalizzazione del fattore cultura, e quindi l'adozione di quella prospettiva culturalistica, finalizzata a legittimare la realtà sociale nascente”. Quando il “progetto di fare l'etnia” è abbastanza forte, aggiunge Mercier può rappresentare quella forzatura etnica, attivata da molte élites e movimenti attuali che può condurre alla “supertribalizzazione” (1962: 64).

Il paese oggi è poco frequentato: italiani anziani e bambini del Bangladesh che tornano da scuola. Io mi pongo di fronte alla chiesa in un luogo alto, che domina la piazza, dal quale vedo tutto il centro aspettando una maestra della scuola elementare, che mi accompagnerà per un'uscita pomeridiana in paese. La piazza centrale è ampia e deserta, ma trovo un caffè, almeno per capire che “aria tira”. È un luogo comune che i montanari siano un po' chiusi. Al bar non c'è nessuno, la signora mi dice che qui a Pieve 40 Per la localizzazione del Distretto produttivo vedere figura 2 in Appendici.

non c'è nulla da vedere, è un piccolo quartiere noioso, non è un luogo da turisti.

Un passante, al quale chiedo un'indicazione stradale, mi risponde di non essere del posto. Osservo il passaggio a piedi di giovani e donne dal Bangladesh velate che mi notano mentre fotografo i dintorni e leggo un quotidiano. In questi giorni un loro connazionale ha vinto le primarie per il Partito Democratico ed è stato eletto per il coordinamento provinciale del Partito democratico. Forse mi credono una giornalista, come avverrà in altre occasioni, forse posso suscitare in loro alcuni timori, infatti i cittadini del Bangladesh sono stati accusati nei quotidiani locali tra cui La tribuna di Treviso dalla parte politica avversaria (la Lega Nord) di non avere scelto liberamente chi votare, di avere subito pressioni da Rahman Presidente dell'Associazione Bati, in cambio di favori economici e politici.

Nello stesso giorno visito i negozi del Bangladesh. A Pieve di Soligo c'è una zona in cui si concentra una forte presenza abitativa e commerciale dei bangali. Altri stabili sono stati acquistati in centro.

Altri ancora sono in aree più periferiche rispetto al centro che visiterò in seguito, che contano una ventina di case singole a poca distanza tra di loro perché, mi dice la maestra, sono più ricchi, cioè hanno più iscritti.

Secondo il parere della mia accompagnatrice, parrebbe che il comune abbia “concentrato” i migranti bangla nella stessa zona, per evitare distribuzioni abitative qua e là, difficili da gestire con i vicini italiani. Nel centro città abitano gli associati Basco, nelle campagne attorno i membri della Bati.

L'abitato, caratterizzato dalla presenza di case, locali e attività connotate “etnicamente” rispetto ad altre provenienze, non è lontano dal centro della città, ed è composto da: un condominio di venti appartamenti, occupato quasi interamente dai bangali, Video club e phone center, due Internet point, tre agenzie Money

transfer international, due Asian supermarket, un Desh kebab, un Patron Indian bar, l'Ital Bangla

alimentari asiatici e africani41.

Nella grande piazza risorgimentale, piazza Vittorio Emanuele, la maestra mi fa notare la presenza giornaliera di giovani del Bangladesh che si scambiano informazioni tra di loro, vanno e vengono da posti di lavoro a chiamata partendo in gruppo o singolarmente.

Entro in uno dei negozi di conduzione bangla dove incontro due giovani donne, delle quali una parla bene l'italiano ed è in cassa, mentre l'altra più silenziosa, sistema la merce negli scaffali. Non portano il velo e vestono all'italiana. I rispettivi mariti sono fuori dal negozio con un carico di merce e i figli a lato. Il negozio, mi dice la maestra, non è frequentato dagli italiani, perché non si fidano delle condizioni igieniche della merce oltreché non conoscerla. Acquisto un pacco di riso dal Bangladesh che su loro consiglio, è più costoso ma più profumato. La donna mi fa vedere altre qualità di riso del loro negozio più economiche, ma più care del riso che alcuni cittadini del Bangladesh comprano nel vicino discount Lidl. Ogni pomeriggio numerose famiglie bangla, mi racconta, fanno la spesa lì, perché i prezzi sono più bassi, non è più conveniente importare la merce dal Bangladesh, se non in quantità enormi, o magari se si va in viaggio con i parenti. Le chiedo se arrivano spesso prodotti alimentari dal Bangladesh e se ha contatti frequenti col suo paese. Mi risponde affermativamente; aggiunge che conosce molti del suo paese qui a Pieve e abita vicina ad altre famiglie nel condominio di fronte, le quali spesso ospitano per alcuni mesi degli amici per aiutarli.

Lei abita con suo marito e i figli, il cognato e sua moglie con i figli. Le case in Italia costano troppo, come in Bangladesh. Lì pochi si possono permettere un appartamento singolo perché gli stipendi sono bassi e le banche non concedono prestiti. Le chiedo se conosce degli italiani, ma quasi nessuno entra nel negozio e lei ha poche occasioni di relazioni col vicinato.

Secondo la sociologa Phizacklea (1990: 85) un alto tasso di imprenditorialità in particolari associazioni etniche è dovuto ad una combinazione di razzismo e di pratiche di esclusione che confinano certi gruppi etnici in settori limitati del mercato del lavoro: i modelli migratori a catena possono dare a questi gruppi particolari, la possibilità di ricongiungersi con la famiglia ed i membri della sua collettività.

Mi reco poi nell'abitato pievigino dove risiedono molte famiglie provenienti dal Bangladesh e italiane zona che la maestra e la signora del bar chiamano rispettivamente “quartiere bangla” e “quartiere” (fig. 3).

La designazione di “quartiere”, scrive Antonio Tosi o neighbourhood, permette di

identificare le varie pluralità

sulla base di due diversi tipi di contenuti: in termini spaziali, sulla base cioè delle caratteristiche fisiche dell'area o delle caratteristiche dei suoi abitanti (la composizione socio-demografica ecc...); oppure in termini di relazioni sociali tra gli abitanti e dei processi di identificazione, anche storica, che gli abitanti sviluppano nei confronti del quartiere (2004: 198).

Questa definizione può riflettere la creazione di linee di divisione simboliche all'interno della città e la continua proliferazione di confini su base “etnica”42.

L'interno del condominio è impregnato di un forte odore di cipolla, motivo per il quale, dice la maestra, il comune è già intervenuto per limitare le fritture dei cibi durante il giorno per motivi igienici. I vicini italiani mal sopportano questi odori. Molti hanno venduto o affittato i vecchi appartamenti nel centro per trasferirsi in nuovi quartieri.

Come sostiene l'antropologa Mary Douglas lo sporco è incompatibile con l'ordine e questo non per ragioni igieniche, come in genere si tende a pensare, ma perché la sua presenza è un contaminante. Questo discredito di cui gode il corpo non è solo dell'Occidente, ma in ogni società è diversa la soglia di tolleranza delle sue espansioni, basti pensare per fare un solo esempio dell'India, ai paria, gli Intoccabili (1970).

In realtà, scrive l'antropologa Carla Pasquinelli più che di pulizia, “si tratta di un linguaggio, nel senso che lo spazio è un codice di comunicazione che si esprime secondo determinate convenzioni culturali in questo caso l'odore in senso dispregiativo (2004: 44). Il luogo comune che i “montanari” siano un po' chiusi ha perciò anche altri significati.

A farci da guida in questa lettura semiologica dello spazio è Edward Hall, autore di quella Dimensione nascosta (1988) cui ha dato il nome di “prossemica”. Secondo l'autore la spazialità è un circuito di comunicazione perché è attraversato da flussi e dispositivi simbolici che funzionano da regolatori della distanza tra le persone e servono a proteggere quella risorsa fondamentale che per ognuno sono le proprie riserve territoriali. Infatti, continua, i nostri confini non coincidono con il nostro corpo, ma sono di gran lunga più estesi e si espandono e si contraggono a seconda dell'area di pertinenza, portandoci a rivendicare come nostra qualunque cosa si trovi al suo interno. Ogni casa dunque, continua la Pasquinelli, può essere considerato un territorio dai

42 In Italia esistono per esempio i “quartieri spagnoli” a Napoli, la Bangla Town a Roma, tutti luoghi confinati all'interno delle nostre città.

confini definiti in maniera piuttosto rigida all'esterno e aperti al suo interno, può fare indifferentemente da tramite o da ostacolo, per cui diventa un sensore della reciproca tolleranza (2004: 44-45).

Entro nell'appartamento della maestra. In entrata c'è un asse da stiro con dei panni piegati sulla sedia. Vicino alla porta c'è una scopa. Sul lavandino dei piatti lasciati a mollo. Dalla finestra della cucina vedo numerosi bambini e donne bangla affacciati, giocano tra le tende, mi guardano e osservano la strada di sotto dove c'è il negozio bangla. I locali di fronte sono sovraffollati di persone.

Alcuni studi (Nardese, 2003; Ericchiello, 2007) sottolineano la “socialità” dei migranti dal Bangladesh cioè che amano stare assieme, in grandi famiglie allargate (households). In realtà, parlando con la commessa del negozio di sotto, capisco che le ragioni non sono solo culturali o tradizionali, ma pratiche: in Bangladesh, come in questo contesto, le famiglie vivono assieme, ma spesso l'affollamento dipende dalla povertà e non dalla preferenza. Infatti nelle periferie alcune famiglie vivono in insediamenti sparsi43.

La maestra mi dice che le pulizie nel bi-locale in cui vive sono a carico di due donne del Bangladesh (Tangail) le quali sbrigano le faccende di casa, lavano, stirano, puliscono e sono colf per altri condomini italiani.

Le descrive molto puntuali e solerti, lavorano quando non sono a casa i loro datori di lavoro, sono infatti, discrete. Talvolta le donne, in coincidenza delle feste religiose del Bangladesh, come il Ramadan, lasciano del cibo “indiano” in dono sul tavolo o davanti alla porta, ma non ha mai mangiato o ricambiato.

Gli scambi, afferma la sociologa Ciszewski (1897), possiedono un'efficacia diretta, per così dire coercitiva: accettare un dono da qualcuno significa legarsi a lui, una sorta di “affratellamento” sociale che è più forte della consanguineità naturale. Queste aperture delle donne del Bangladesh verso le italiane, sembrano rimanere perciò frustrate da un comportamento di incomprensione delle donne italiane.