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SECONDO INCONTRO CON RAHMAN: I PROBLEMI DEGLI ASSOCIATI BANGALI

5. RAPPRESENTAZIONI QUOTIDIANE E INCONTRI SUL CAMPO

5.4 SECONDO INCONTRO CON RAHMAN: I PROBLEMI DEGLI ASSOCIATI BANGALI

“comunità bengalese” è moderata e la sua integrazione lavorativa è positiva. Anche lo spiegare la loro posizione sul mercato del lavoro solo in termini di identità culturale (moderati, puliti, ordinati, tranquilli, autonomi)e di preferenze sarebbe sbagliato, perché ci impedirebbe di tener conto delle implicazioni che hanno le avverse condizioni sociali nelle quali si trovano ad operare.

Ma al momento della cena, io e le autorità del Comune siamo stati accomodati in una sala separata. Perché Rahman ci ha disposti in un altra sala? Probabilmente come forma di deferenza verso i amministratori comunali presenti. Oppure perché nei piatti offerti negli stand non erano incluse le forchette o il vino. Questo esprime l'apertura degli organizzatori bangla verso la nostra pratica alimentare che rimane nondimeno isolata perché in quel momento risulta minoritaria.

La commensalità, scrive l'antropologo Arnold Van Gennep (2009: 21), o rito di mangiare e bere insieme, è chiaramente un rito di aggregazione, di unione propriamente materiale, di apertura tra il mondo familiare e il mondo esterno. Viceversa, il cibo e gli eventi durante queste feste sono elargiti come “dono” dai membri dell'esecutivo dell'associazione, quasi fosse per averne il consenso (Mantovani, 2009: 299).

5.4 SECONDO INCONTRO CON RAHMAN: I PROBLEMI DEGLI ASSOCIATI BANGALI

L'appuntamento con il signor Rahman è per il giorno 19 luglio 2008, nella sua casa che è sede dell'associazione, a Farra di Soligo.

Dopo brevi saluti in bangla “Kemon acho? (come stai?), Ami valo (Io bene)56, ci accomodiamo in salotto. 56 Traduzioni operate sul campo con gli attori della mia ricerca.

È presente un ospite e la sua famiglia.

Rahman si rivolge inizialmente solo a mio marito parlando dei problemi legati alla ricerca di lavoro. Cerco di gestire la situazione. Mentre attendo che mi dia ascolto, mi porge un articolo della “Tribuna Veneta” e mi avvisa che l'inserto locale parla della sua elezione come rappresentante per il coordinamento provinciale del Pd. Rahman è stato eletto con la maggioranza dei suoi compaesani e il voto, aggiunge, dei trevigiani.

Gli chiedo perché nel giornale si parla di “cooptazione forzata”. Egli mi risponde che non c'è nulla di vero; nessuno ha avuto pressioni, i cittadini del Bangladesh votano liberamente per chi aiuta il loro paese, mentre lui vuole aiutare chi si stabilisce qui. Egli ha sempre scelto il centro-sinistra, perché è un partito aperto agli “stranieri”.

Mi spiega che molti migranti vengono in Italia dal Bangladesh perché la situazione economica e la corruzione politica rendono la vita difficile nel loro paese. Mi anticipa che quando si parla di loro, non vuole sentire la parola “comunità bengalese”, perché molti vivono qui da molto tempo e si sentono italiani. Mi dice che i migranti dal Bangladesh presenti nella zona del Quartier del Piave e Comuni limitrofi, sono circa mille e almeno la metà è composta di uomini che lavorano. Se si aggiunge Conegliano essi, mi precisa, arrivano a duemilaquattrocento presenze.

Domando a Rahman se ha dei parenti qui in Italia. Mi risponde che oltre al suocero, che abita a Farra e raggruppa nell'associazione TANGAIL i migranti provenienti dall'omonimo distretto, ha tre parenti, cugini e fratelli, che risiedono nelle case del suo vicinato con le rispettive famiglie.

Gli chiedo se le donne dell'associazione lavorano e mi risponde quasi nessuna perché non parlano l'italiano. Ma scivola su un altro discorso cioè che la zona dà lavoro a molti immigranti.

Mi parla di sé. Dice di aver conseguito una laurea a Chittagong, titolo riconosciuto nel Regno Unito e USA, ma non qui in Italia. Ora lavora come operaio in un mobilificio di Farra dove è iscritto al sindacato CISL.

Rahman mi racconta del suo viaggio verso l'Italia. Egli partì nei primi anni Settanta da Chittagong una delle città più importanti del Bangladesh altre sono la capitale Dhaka e le città di Khulna, Rajshahi, Sylhet e Barisal. Rahman proprietario di un'attività commerciale preferisce venderla per partire.

La sua prima fermata è Singapore, dove in quegli anni molte delle lavorazioni tessili sono dislocate dal Regno Unito ai paesi asiatici (Malaysia, Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong, Singapore) qui vi svolge attività di operaio tessile non qualificato57.

Allora si trasferisce in Europa prima in Francia, poi in Germania, ma il suo obiettivo è l'Italia. Grazie ad un reticolo amicale, viene a conoscenza della realtà del Veneto, realtà industriale, dove è più semplice trovare un lavoro continuativo e ben remunerato, condizione necessaria per ottenere il ricongiungimento familiare che avviene dopo due anni. Nel 1987 giunge a Roma dove al tempo, dice, fu uno dei primi trecento ad arrivare dal Bangladesh con visto regolare. Qui riceve il permesso di soggiorno dall'ambasciata. Si trasferisce in seguito a Venezia, Padova, Verona, Udine, Pordenone, Treviso, Pieve di Soligo, infine a Farra di Soligo dove risiede da più di vent'anni.

L'antropologo Asher Colombo (1998: 64) a proposito della mobilità migratoria, nel suo studio etnografico di un gruppo di maghrebini che gravitano nella zona di Porta Venezia a Milano, vivendo in condizioni di marginalità, rileva che “i percorsi dei giovani algerini sono spesso erratici: non solo la scelta delle tappe viene lasciata al caso o a decisioni e desideri contingenti, ma la stessa meta finale resta sempre incerta e provvisoria e la disponibilità di amici su cui poter fare affidamento è una risorsa utilizzabile in qualsiasi momento”.

Gli studiosi offrono risposte diverse e discordanti della mobilità migrante. Essa può seguire rotte precise o includere margini più o meno ampi di casualità. Come è successo per Rahman, sembra che l'idea di migrazione casuale appartenga al livello della narrazione autobiografica, mentre nei fatti è la presenza di un reticolo amicale che lo ha

57 I lavoratori bangla sono concentrati nei settori più informali di questa industria, ma negli anni Ottanta molti di quei lavori sono tagliati (Kabeer, 1985).

spinto verso un luogo piuttosto che un altro (Brighenti, 2009: 72-73).

Questo tipo di forma migratoria, che Colombo invece riscontra nel suo caso di studio, implica che i bangali di Pieve non vivono in condizioni di marginalità e non si sostengono attraverso un'economia clandestina, come avviene invece per la stessa provenienza presente nella capitale, dove risulta più semplice mimetizzarsi (Mutton, 2008).

Da allora Rahman ha cercato di ottenere la cittadinanza italiana e si è documentato sul paese e la politica italiana anche per ottenere benefici per l'associazione.

Gli spiego brevemente che tipo di aiuto vorrei dagli associati dal Bangladesh dalla Bati cioè poter svolgere un'indagine sui numerosi migranti di questa origine presenti nel Quartier del Piave e descrivere i possibili processi di adattamento o trasformazione, nelle pratiche culturali, che si sono verificati dopo il contatto diretto e prolungato con la società italiana.

Il termine acculturazione, scrive la pedagogista Francesca Lazzari, “è stato inizialmente usato dagli antropologi (Lévi-Strauss, 1966, Liebkind, 2001) per descrivere il processo di cambiamento bi-direzionale che si verifica quando due gruppi etno-culturali entrano vicendevolmente in contatto”. Nel momento in cui uno dei due gruppi vuole relazionarsi all'altro, continua Lazzari, fa una scelta fra diverse strategie di acculturazione derivanti dalla combinazione di due dimensioni: la volontà di mantenimento della propria cultura e il desiderio di entrare in contatto con i membri della società ricevente” (2008: 10).

Gli spiego che per svolgere questo lavoro dovrò fare delle interviste ai membri della sua associazione e che concorderò con lui gli argomenti da trattare. All'inizio Rahman non mi sembra avere delle remore e mi avvisa che quando avrà parlato con i suoi compaesani potrò cominciare le mie ricerche anche con delle donne. Gli racconto della mia conversazione telefonica con il Dottor Mazzero, vicesindaco di Pieve di Soligo e mi conferma che i rapporti con il Comune sono buoni, l'Associazione gode dell'appoggio ma che servirebbero maggiori contributi.

Passa quindi a espormi quelli che ritiene i problemi degli appartenenti alla sua associazione.

Il primo problema è il lavoro maschile. Quasi la totalità degli uomini è impiegata a tempo indeterminato, ma l'altra metà è precaria, ma disposta a spostarsi e trasferirsi.

Gli chiedo se le donne abbiano desiderio di lavorare e mi risponde che non hanno le esperienze e le abilità lavorative sufficienti. Mi dice che molti mariti desiderano che le loro mogli trovino dei lavori, magari come operaie o facendo pulizie dei locali ma non badanti. Le donne non hanno la patente di guida, sarebbe difficile comprare un auto. Gli uomini si recano a lavoro assieme, con un'unica auto per risparmiare. Gli accenno alla possibilità, offerta dal comune, di organizzare dei corsi di lingua italiana per l'inserimento sociale delle donne. Ma non mi sembra entusiasta dell'iniziativa.

Il secondo problema è quello della costituzione di una moschea, noi siamo musulmani, abbiamo bisogno di un edificio per pregare. Mi spiega che la gran parte dei musulmani bangali segue la scuola giuridica islamica Hanafita58, la più liberale e laica. Questa corrente religiosa tende a sottolineare il comportamento 58 Le quattro scuole giuridiche islamiche sono: Hanafita, Malikita, Shafiita e Hanbalita. La scuola Hanafita è diffusa in Turchia, Egitto, India, Pakistan, Bangladesh e nei paesi dell'ex-Urss. Tende a sottolineare il comportamento formale del fedele, ma una volta rispettata la forma, ammette delle particolari strutture giuridiche chiamate finzioni, che possono ammorbidire certe proibizioni del

formale del fedele, ma ammette particolari interpretazioni del Corano che ne ammorbidiscono certi obblighi o proibizioni. Gli chiedo dove pregano le donne e che, mi dice, poiché non c'è una moschea, pregano in casa.

Il terzo problema è la mediazione culturale. I bangali hanno dei problemi di linguaggio e traduzione negli uffici pubblici, soprattutto le donne. Lo informo della possibilità di formare delle mediatrici linguistiche nel corso di lingua italiana di Pieve di Soligo, al quale partecipo anch'io, come insegnante. Ma la sua espressione sembra in disaccordo.

Un ultimo problema sembra legato all'approvvigionamento di cibo dal Bangladesh ovviato in realtà dall'apertura delle numerose “imprese di tipo etnico” che vendono alimenti provenienti dal Bangladesh (alcuni tipi di pesci, spezie, preparati alimentari). Rahman mi dice che queste merci sono troppo costose queste merci, soprattutto il riso basmati, e la sua famiglia consuma anche cibo italiano: pasta, pizza, riso acquistati nell'ipermercato Bennet. Specialmente in occasioni speciali si consumano piatti per i quali è difficile reperire tutti gli ingredienti.

Gli incontri fatti finora sono stati estremamente importanti per almeno due ragioni: primo perché Rahman si è dimostrato disponibile ad accettare la mia presenza nella sua associazione e farmi incontrare i suoi compaesani, poi perché i problemi che mi ha illustrato confermano l'ipotesi iniziale, che nel processo di gruppi culturali a contatto, il tipo di inserimento sociale dei soggetti sia eterogeneo, ci si adatta secondo alcune dimensioni e alcuni tratti, ma non secondo altri. Ovvero più semplicemente nelle società umane agiscono simultaneamente forze orientate in direzioni opposte: le une tendenti al mantenimento o persino all'accentuazione dei particolarismo; le altre agenti nel senso della convergenza e dell'affinità. Questo avviene entro una relazione continuativa, anche temporale, che esiste tra due o più luoghi (Lévi-Strauss, 1952: 369).

La religione e la dieta alimentare bangla sono tematiche che possiamo considerare più legate al mantenimento della propria appartenenza culturale anche per la minore convergenza delle donne nell'ambiente culturale italiano.

Le altre due invece, la condizione lavorativa maschile e la mediazione culturale sembrano essere correlate ad istanze di accoglimento degli stimoli provenienti dalla cultura pievigina sebbene queste ultime attività sia svolta soprattutto da figure maschili della Bati.

Diventerà centrale per me, per l'associazione Bati e il coinvolgimento istituzionale, il progetto del corso di lingua italiana per donne migranti, del quale ho messo a conoscenza Rahman e la moglie consegnando degli opuscoli informativi e invitandoli a diffondere la proposta.

Le parole e l'attenzione di Rahman sembrano trascurare le problematiche femminili - come ha ignorato la mia presenza sul campo rispetto a quella di mio marito - piuttosto enfatizzate dall'assistente sociale, dalla mediatrice, dagli incontri con le donne. La

Corano. La legislazione islamica accetta il punto di vista della maggioranza e di conseguenza recepisce il dettato giuridico Hanafita.

questione del ruolo culturale della donna bangla risulta interessante perché sembra trasversale, cioè aiuta a comprendere gli elementi di resistenza della cultura bangla rispetto a quella italiana e viceversa spiega la sensibilità della cultura italiana verso certe problematiche femminili riscontrate con le bangali.

La difficoltà di trasporre le modalità di comportamento femminile nella nostra pratica sociale, senza creare delle differenze dovute all'isolamento, non riguarda più solo la donna, ma in generale tutti i bangali, che desiderano distinguersi ed essere se stessi rispetto alle relazioni che li uniscono.

Questo tema si riallaccia all’attuale dibattito che avviene in ambito internazionale, ed in particolare in ambito europeo, sul livello di compatibilità tra modelli culturali di origine islamica e modelli di cultura occidentale, dove il corpo femminile ed il suo transito nell’ambiente sociale più esteso59, diventano il punto di attrito tra due modalità evidentemente diverse di intendere i rapporti tra i generi e di conseguenza anche l’organizzazione intera della società (Salih, 2008).