5. RAPPRESENTAZIONI QUOTIDIANE E INCONTRI SUL CAMPO
6.9 MUSULMANE VELATE A PIEVE DI SOLIGO
Le donne musulmane con cui ho relazionato nella mia ricerca sono per la maggior parte bangali e di origine marocchina. Il caso delle musulmane velate in Italia ha suscitato uno scarso interesse e ancor meno una seria riflessione giuridica, rispetto al clamore
97 Il Bangladesh è una delle tante nazioni che ha sottoscritto la Dichiarazione Universale dei diritti umani. Inoltre l’articolo 27 della sua Costituzione assicura a tutti i cittadini il diritto di essere protetti dallo Stato. L’articolo 28 poi dichiara solennemente che lo Stato non farà nessuna discriminazione contro nessun cittadino per questioni di razza, casta, sesso, luogo di nascita o religione.
mediatico che ha sollevato.
Secondo l'antropologa Michela Fusaschi “sempre più l'azione umanitaria deve essere veicolata attraverso i media” perché la rappresentazione sociale consiste nel segnalare la presenza di colui che la produce. Solo così, continua, “il loro grado di incidenza/visibilità viene reputato direttamente proporzionale alla performance portata in scena” (2001: 29).
È il caso emblematico di una musulmana di origine bangla a Pieve di Soligo. La fonte utilizzata è il quotidiano locale Oggi Treviso che ha discusso per quasi un mese l'argomento assieme ai Forum cittadini on line. Il giornale, scriveva il sociologo Robert Park (1925), come oggi i blog sul web, sono lo strumento di comunicazione più importante nelle città, ed è sulle informazioni da esso fornite che poggia l'opinione pubblica; nelle città il giornale svolge la funzione che un tempo era svolta dal pettegolezzo di villaggio. Attualmente la stampa o il web possono competere con il controllo esercitato dal pettegolezzo sui lettori, in quanto sono molte di più le informazioni che diffondono ma senza controllo. È attraverso questi canali che si divulgano luoghi comuni e stereotipi. Riguardo all'accaduto alcuni titoli di prima pagina scrivono: Caso burqa; Spesa col burqa, cacciatela; Riecco il burqa; Burqa, il dialogo
con gli islamici.
Nel settembre e successivamente nell'ottobre 2009, delle donne italiane scatenando disordine e panico tra i passanti, chiesero alle forze dell'ordine di allontanare dal centro commerciale Bennet e dal mercato cittadino di Pieve di Soligo un'altra cliente, che in compagnia del marito, stava facendo la spesa indossando un velo. Questo a loro dire le copriva in parte anche il viso, pur non essendo stato un burkha. I motivi della loro richiesta sembravano legati alla sicurezza e alla tranquillità violata dall'inconsueta e inquietante apparizione della donna velata. In nessuno dei due casi quest'ultima è stata cacciata dallo spazio pubblico.
Dopo l'accaduto ho intervistato in un caffè nei pressi della scuola di lingua delle donne italiane di Pieve che discutevano su questo.
Io: Che cosa ne pensi dell'uso del velo delle donne musulmane bangla a Pieve di Soligo?
R: La reazione per me è più di stupore e rifiuto per tale usanza che sa tanto di medioevo culturale. Quel tipo di abbigliamento è un oltraggio alle donne non ha nessun senso. Portare il burkha è solo una questione di moda o è invece solo una forma di repressione magari nemmeno avvertita da parte di chi lo fa?...bisogna risolvere il problema dell'arretratezza della società islamica che vede il burkha come simbolo di sottomissione delle donne; parlo dei valori che vengono dall'Illuminismo, dalla religione cattolica...non parliamo di tradizioni ma di leggi...bisogna meritarseli i diritti (2009).
Ho scelto la risposta di questa giovane per evidenziare alcuni costrutti linguistici utilizzati anche da altre intervistate italiane sul tema: “usanza”, “medioevo culturale”,
forma di repressione”, “arretratezza della società islamica”, “simbolo di sottomissione delle donne”, “tradizioni”.
Tutte queste espressioni si riducono in realtà ad un'unica ricetta: un falso evoluzionismo (Lévi-Strauss, 1952: 174). Con questo termine si intende la tentazione da parte dell'uomo “moderno” di condannare esperienze che urtano sul piano affettivo, di negare delle differenze che non si comprendono sul piano intellettuale, di sopprimere tale diversità scandalosa e urtante pur fingendo di riconoscerla appieno. Se si parte dall'erronea considerazione che le società umane si trovano in stadi di un unico svolgimento storico che muove dallo stesso punto e procede verso la stessa meta, è chiarissimo che la diversità diventa ormai solo una remota apparenza.
Da qui l'attribuzione di arretratezza alle donne musulmane in generale, l'essere vittime di una cultura ristagnante e questo in una società come quella italiana la quale presenta una grave insufficienza nelle sue istituzioni ossia, come afferma l'antropologo Jean- Loup Amselle (a proposito della Francia), “il carattere cattolico inconfessato che rende insolubile la questione dei giorni festivi, così come quelle dell'educazione e dell'abbigliamento nei luoghi pubblici” (1993: 38). Le donne italiane intervistate contrappongono i valori che vengono dall'Illuminismo, dalla religione cattolica, dalla legge e affermano che i diritti bisogna meritarseli.
L'antropologa Okin (2007) afferma che le femministe occidentali rischiano di diventare patriarcali, intendendo con questo termine un sistema gerarchico in cui il controllo viene dall'alto, perché si dimostrano intolleranti verso importanti valori religiosi (2007: 48). Obbligare le musulmane ad abbandonarli, non solo sarebbe un'imposizione dall'alto, ma fondamentalmente un comportamento anti-liberale, oppressivo e violento.
Procedendo nella mia indagine conoscitiva sul tema ho intervistato, subito dopo l'accaduto, delle “vere mussulmane” (madre e figlia, velate, provenienti dalle zone più interne del Marocco, allieve della scuola di lingua) le quali hanno manifestato anch'esse un velato razzismo tra le diverse provenienze di migranti, confermando innanzitutto, con la recita di un versetto del Corano, la loro idea di uso “corretto” del velo:
Io: Che cosa ne pensi dell'uso del velo delle donne musulmane bangla a Pieve di Soligo?
R (madre): Io sono marocchina, nel Corano è scritto: Le donne si coprano con i veli del capo entrambe i seni, non facciano mostra degli ornamenti femminili se non ai mariti e a una cerchia di familiari. Le donne in menopausa, non hanno nessuna colpa se non usano i loro veli, senza però mettersi in mostra...è un dovere per la donna musulmana indossare il velo. Possiamo mostrare le mani e il viso. Il Corano è un libro chiaro, immutabile...purtroppo in alcune comunità credo che l'islam venga percepito più come tradizione che come religione...quelle si seguono perlopiù per sentito dire, vengono tramandate oralmente, per cui uno ci aggiunge o ci togli a seconda dei gusti...ciò che possiamo fare per queste donne è insegnare
loro il vero islam...un imam mi ha detto saggiamente che la mussulmana non deve mettersi contro le persone del paese in cui vive se è un paese non islamico. Il jihad più grande è quello delle parole, cioè cercare di far convivere l'islam con la società in cui si vive...mettere il velo che è obbligatorio ma spiegare perché lo mettiamo...poi il niqab. L'ostilità della legge oggi è contro il niqab, in quanto la legge italiana vieta a qualsiasi individuo di andare in giro con il viso coperto, irriconoscibile98.
Questa risposta mette in evidenza che la costruzione di appartenenze in ambiti plurali avviene attraverso complessi processi che coinvolgono vari gruppi nella reciproca configurazione. L'identità etnica, come spiega l'antropologa Vanessa Maher, “appare come il prodotto di una serie di scelte e non come il dato di partenza” (2008: 27). Quindi, continua, quando “si parla dell'“Islam” come se non avesse avuto una miriade di realizzazioni diverse”, cioè le manifestazioni locali e specifiche, esso non può essere compreso in un termine stereotipante come “arabo” o “musulmane”.
Successivamente la figlia mi fornisce la sua considerazione a proposito dei “costumi religiosi bangla”:
R: (figlia):...le donne bangla si sentono in inferiorità rispetto alle donne arabe...sono pochissime le donne bangla che portano l'hijab che copre, lo portano più per bellezza, come uso estetico...una donna bangla non è una buona mussulmana perché mostra i suoi capelli...i pareri sono sempre diversi, ma in realtà sono considerate non buone mussulmane...c'è una grande differenza tra una donna bangla e una marocchina che porta il velo con stile impeccabile...una è più musulmana dell'altra...l'importante è non usare il fatto che la fede è nel cuore come scusa per smettere di perfezionarsi...il velo è una pratica musulmana come la preghiera, un'insieme di tante cose, se alcune lo portano per moda, come il velo trasparente, è sbagliato. Sinceramente non conosco tanto la cultura e i pensieri delle donne asiatiche ma tutte le donne musulmane di qualsiasi paese del mondo sanno benissimo che i capelli devono essere coperti completamente.
L'antropologo Jean-Loup Amselle afferma che
questi movimenti di ritorno alle fonti, di ricerca dell'“autenticità”, dell'ortodossia, si radicano nella realtà urbana, e in questo senso rappresentano una proiezione cittadina su una realtà rurale passata, puramente immaginaria. È proprio l'allontanamento sociale e geografico che, tanto in Europa quanto in Africa, consente di dare purezza e omogeneità a un ambiente eterogeneo e gerarchizzato (2008: 70).
La donna velata dal Bangladesh sembra qui essere vittima di una doppia discriminazione culturale e religiosa per l'uso del velo, stereotipato nel termine mediatico burkha e “costume” da parte di altre donne musulmane e dalle italiane, le quali “nell'onda del crescente anti-islamismo e dell'etnocentrismo culturale come atteggiamento di superiorità femminile occidentale, pensano che le musulmane siano comunque vittime della loro cultura e “che abbiano bisogno di essere liberate da estranei in buona fede” (Okin, 1999: 79).
98 Il versetto citato fa riferimento all'Hijab, XXIV, 31, 60. Vedi Il Corano, di Piccardo R., Newton & Compton, Roma, 2004: 307.
Per quanto riguarda la posizione delle donne bangla99 che ho infine intervistato, una ha ammesso solamente di essere in torto rispetto alle norme di condotta islamica, l'altra si è arrabbiata perché a parere suo a fare una buona musulmana è prima di tutto la coscienza. Appare evidente la doppia componente dell'Islam, l'uno come dovrebbe essere e l'altro così come è vissuto e percepito, pertanto senza confini rigidi e immutabili.
Io: Voi, in base a ciò che è stato detto sulle musulmane bangla, pensate che non siano “vere musulmane” perché non si coprono i capelli?
R (1): ...non dovreste permettervi di dire e scrivere nei giornali certe cose...di generalizzare...chi generalizza è solo un gran razzista...ormai burkha è diventato sinonimo di musulmana...guarda le donne occidentali “quasi vestite”...saranno forse l'occidentalizzazione o magari la vanità delle ragazze di seconda generazione che cercano il velo più bello, trasparente. Per noi il velo è una forma diversa di bellezza, per noi è un valore. Il velo è Iftah (Modestia), Tahara (Purezza), Taqwah (Timore), Iman (Fede) e Haya (Timidezza). È Sacrificio e piacere: Piacere di piacere a Dio e Sacrificio di non piacere agli uomini. Sono tutte virtù che magari una donna deve dimostrare, soprattutto se è sposata, a Dio, a suo marito e a ogni persona che incontra. Serve a dare valore a me stessa nel modo in cui l'islam lo insegna. È così che valiamo per i nostri mariti. Dovremmo spiegare che noi donne musulmane la nostra bellezza la riserviamo per i nostri mariti e così fuori ci copriamo per non essere attraenti per altri uomini, a casa invece ci facciamo belle, ci trucchiamo, mettiamo il profumo e aspettiamo che il nostro uomo venga dal lavoro. Le donne non musulmane invece a casa col marito stanno in tuta, calzettoni, bigodini e magari pure la maschera di argilla in faccia, però quando escono guarda un po' che strano si vestono molto attraenti, si truccano per ore e lasciano la scia di profumo...Saranno le nostre figlie a iniziare a metterlo senza avvertire un senso di umiliazione e inadeguatezza...in tutte e due i sensi ci si sente sempre osservate e giudicate...è questa la modernità?
L'antropologa Ruba Salih nel suo libro Musulmane rivelate scrive che
le donne non praticanti avviano un processo di rinegoziazione dell'islam e contribuiscono ad una personale concezione dell'autenticità culturale o religiosa attraverso la riformulazione e l'adattamento di pratiche religiose e culturali al contesto in cui vivono. Pur considerando se stesse come musulmane e aderendo ai principi generali della religione islamica, le donne non osservanti si mostrano però flessibili nella pratica e ammettono come legittimi comportamenti che deviano da uno stile di vita strettamente religioso. Le donne musulmane non osservanti vivono quindi la modernità come frattura, come un processo di scontro incessante tra le certezze (o le abitudini) del passato e le sfide attuali, tra il rifiuto dell'assimilazione e il desiderio di riconoscimento e autodeterminazione, tensione che viene espressa in costanti negoziazioni e riflessioni sui diversi modelli culturali (2008: 135).
Le donne bangali non appaiono dunque vittime della loro cultura ma consapevoli delle varie scelte che esse possono praticare nel presente e come vedremo nel successivo
99 Le due allieve della scuola di lingua L2, sono ventenni. Provengono da Dhaka. Sono sposate e hanno raggiunto il marito, a distanza di tre anni l'una dall'altra, dopo un anno dalla sua partenza. Una di loro, la più osservante, non ha figli. Frequentano il corso rispettivamente per trovare lavoro e per imparare l'italiano. Indossano entrambe il dupatta. A lezione lo appoggiano una sulle spalle, l'altra lo porta. Quest'ultima riceve frequentemente la visita della suocera dal Bangladesh che si ferma in Italia presso il figlio per circa tre mesi. Essa non ha molta fiducia di trovare lavoro in Italia.
capitolo nel rapporto dialettico con loro figlie.
I costrutti linguistici degli intervistati italiani sull'accaduto rivelano una certa regressione culturale quando parlano dei migranti, fatto dovuto probabilmente alla scarsa prossimità. In particolare una risposta che mi è stata data, è molto significativa, perché sembra rievocare ataviche paure legate alla stregoneria a riconferma del fatto che anche in Italia, meta di recente immigrazione, come nella società avanzata e spesso identificata come “multiculturale” del nord europeo, il sentimento di “estraneità” corrisponde alla genesi di alterità sociali, meccanismi che rafforzano le linee di confine tra i gruppi dell'intero sociale (Brighenti, 2009: 79).
Io: Lei che cosa pensa dell'uso del velo in Italia?
R:...sicuramente il burkha può rappresentare un minaccia...è una maschera sotto la quale si può celare anche un uomo, non solo una donna...il burkha è una credenza arretrata e anche nociva che avviene nelle zone più povere del mondo...e se i musulmani vogliono dare sfogo alle loro pratiche hanno tutto il deserto in cui farlo...non possiamo permettere che alcune categorie di cittadine siano sottoposte a dei riti il cui fondamento non riconosciamo...io voglio vivere in Italia con gli italiani dove nessuno pretenda di togliere il crocifisso...se non sanno adattarsi ritornino a casa loro!
L'amministrazione locale di Pieve, a differenza dei comuni veneti di Azzano Decimo e Montegrotto che hanno vietato l'uso del velo nei luoghi pubblici, ha chiesto la negoziazione con i bangali di Soligo. Rahman e altri rappresentanti musulmani hanno risposto che cercheranno di spiegare agli immigranti arrivati da poco e “che ancora non si sono orientati” che la legge italiana prevede di mostrare il volto in luogo pubblico. Questo atteggiamento remissivo dei rappresentanti dell'associazione, che accade in molte situazioni del cosiddetto terzo settore, è interpretabile con le parole dell'antropologa Michela Fusaschi la quale sostiene che la pressione che i cosiddetti leader delle associazioni subiscono dal contesto, in particolare coloro che siedono per lo più con ruoli di immagine a tavoli istituzionali, spesso impedisce loro di esplicitare le loro perplessità, così da non perdere la possibilità di ottenere un qualche spazio anche per la propria (in genere piccola) associazione (2011: 26-27).
Ma non tutti i musulmani bangali si riconoscono in una scelta assoluta. Infatti la circostanza si ripete a breve distanza di tempo.