4. LUOGHI DELLA RICERCA
4.3 TERRITORIO E LUOGHI SOCIALI: INSEDIAMENTI PRODUTTIVI DEL
Il Quartier del Piave è un’area di recente industrializzazione. Fino a pochi decenni fa l’attività principale era l'agricoltura dove per ovviare alla forte disoccupazione risultante dal progressivo spopolamento delle campagne dovuto all’introduzione della meccanizzazione nelle operazioni agricole non raro era il ricorrere all’emigrazione (sia all’estero, che in altre zone dell’Italia, quali la Lombardia ed il Piemonte). Fino agli inizi degli anni Novanta la zona non era mai stata toccata da fenomeni migratori.
37 Per la crescita della popolazione bangla maschile e femminile a Pieve di Soligo nel periodo della ricerca vedi grafico 1 in Appendici.
La popolazione di Pieve vive nel centro cittadino e nelle aree circostanti, divisa in borghi medievali, contrade, calli, a testimonianza della dominazione veneziana e in nuovi quartieri periferici.
Nel 2009 si costituisce una nuova associazione cittadina “Noi siamo quelli del Borgo Stolfi, Pieve è lì” (Martorel e Santin, 2006), che vanta l'antichità del suo nucleo originario rispetto alla città di Pieve. Situato lungo il fiume Soligo, Borgo Stolfi è uno dei borghi storici di Pieve. Occupa la sponda destra del fiume, all'altezza della chiesa parrocchiale, dove il Soligo fa un'ansa, in prossimità del ponte. Le strutture abitative che lo costituiscono, sono palazzine di due o tre piani adiacenti l'una all'altra, secondo lo stile dei borghi del Veneto orientale. Qui si trova inoltre la vecchia roggia colla ruota da mulino alimentata dal Soligo, che ricorda le origini rurali del posto. I lavori di riqualificazione urbana di Pieve di Soligo iniziano da qui (Martorel e Santin, 2006). Cal Santa è una delle vie più antiche del centro storico: inizia poco ad est della chiesa parrocchiale, dove sorge un vecchio borgo e prosegue fino all'area del cimitero segnata da una via Crucis.
Questa calle è luogo topico nel corpus letterario del poeta locale Andrea Zanzotto che spesso la trasfigura attraverso il nome di “Contrada Zauberkraft” andando a idealizzarne e ricostruirne il “sostrato antropologico” (1999: 165). La designazione della qualità di “contrada” avviene per mezzo di una categoria assoluta del pensiero europeo moderno, la Zauberkraft, ovvero la hegeliana “forza magica”. La raffigurazione della sostanza paesaggistica e umana a cui la scrittura del poeta si appella, ne rileva insieme il valore morale e pedagogico, tanto il significato psicologico rassicurante, quanto la drammatica e inquietante fragilità quotidiana (Motta, 1996: 82-83).
Il paesaggio, è rielaborato e rifuso nel senso del degrado paesaggistico, Zanzotto scrive: “La contrada, già Zauberkraft / povera, sul nulla si equilibrava, volava: / ora con qualche soldo in più / piomba giù”. È bastato rinominare nelle sue poesie le strade (“via
Alzheimer”, “via Catarro”, “via Borderline”) per accentuarne il carattere di vecchiaia,
tristezza, nevrosi, depressione. Nel paese degradato vive il poeta e ne osserva “la multietnica decadenza”, non senza alludere alla sua stessa decadenza e rovina. Il paesaggio veneto è visto nel suo degrado odierno ma anche attraverso la memoria del passato, in particolare dell’esperienza partigiana.
L'antropologo Jean-Loup Amselle nota che i problemi del meticciato cioè dell'“integrazione e dell'assorbimento di popolazioni straniere” compaiono solo nel Ventesimo secolo con l'arrivo in Europa di una “immigrazione di quantità”, il che tende
a ipotizzare una purezza originaria. La permanenza della bipartizione tra “popolazione pura e popolazione straniera” presuppone che all'origine esistessero gruppi radicalmente diversi e quindi delle essenze. Ciò conduce direttamente ad uno sviluppo separato analogo al “fondamentalismo etnico e culturale” il quale a sua volta deriva in parte dall'applicazione deviata della nozione di cultura(1999: 39-62).
Quando si parla della poesia di Zanzotto è giocoforza soffermarsi sull’uso della lingua popolare, rilevandone i caratteri di plurilinguismo (con inserzioni dal tedesco e dal latino), e l'uso del dialetto (veneto e friulano) (De Lisa, 2010).
Il background culturale popolare trevigiano è il mondo agricolo con la sua enfasi sulla necessità del sacrificio e del continuo impegno personale per vincere le avversità. L'autorappresentazione “seriosa e laboriosa” dei suoi abitanti – secondo uno stereotipo abbastanza ricorrente – dà in realtà l'immagine della trevigianitas che è luogo tradizionale inventato molto labile e databile nel tempo. Le sue differenti identità e i suoi contenuti sono mutevoli in base a scelte di convenienza oggettiva e opzioni culturali e politiche legate ad interessi sociali ed economici. La ricostruzione della piazza Vittorio Emanuele, evento del quale sono stati fatti partecipi anche i cittadini del Bangladesh a Pieve di Soligo, come vedremo, è un esempio di questa costruzione ideologica votata alla creazione di una mitica unità veneta chiamata “Razza Piave”. Lo storico trevigiano Ernesto Brunettafa risalire al fascismo il mito della “razza Piave” e lo fonda sulla vittoriosa resistenza italiana sull’argine del fiume Piave nella Grande guerra, mito che viene artificialmente strutturato in coincidenza con le guerre coloniali già negli anni Trenta.
Per quanto concerne il Piave, lo storico ha precisato che
per Razza Piave dovrebbero intendersi quei soldati di tutte le regioni d’Italia arruolati nella fanteria che si avvicendarono alla difesa della linea, non adottando allora il nostro esercito, sistemi territoriali di reclutamento. Anzi, il sistema di reclutamento territoriale era in uso soltanto per le truppe alpine che per altro, mai vennero schierate sul Piave, essendo esse destinate a farsi massacrare sul Grappa e sugli Altopiani.
Naturalmente, poiché non si sa la storia dei senza storia, è difficile determinare la percentuale piuttosto di siciliani che di lombardi che combatterono sul Piave, però, se ci rifacciamo ai gradi più elevati, alla riconquista di Nervesa nel Giugno 1918 - Battaglia del Solstizio - ebbero parte determinante Messe, pugliese, Bottai, romano e il ligure Caviglia.
Per quanto concerne le popolazioni rivierasche del Piave, esse furono evacuate di forza sia dalla destra che dalla sinistra del fiume e, da parte degli Austriaci, internate nella pianura friulana, da parte degli Italiani, sparse nelle varie città del paese come capitò al Comune di Treviso profugo a Pitoia. (Il Mattino,
8.09.2002)
Questa modalità di appropriazione del territorio è altrimenti definita territorializzazione ovvero un grande processo in virtù del quale lo spazio incorpora valore antropologico; quest'ultimo non si aggiunge alle proprietà fisiche, ma le assorbe, le rimodella e le rimette in circolo in forme e funzioni variamente culturalizzate irriconoscibili ad un'analisi puramente naturalistica dell'ambiente geografico (Turco, 1988: 75).
Ma altri sono gli stereotipi sui trevigiani che attraversano il tempo e sono talvolta contrari alla rappresentazione di sé che essi vogliono attribuirsi: “gli abitanti sarebbero inclini alla rilassatezza orientaleggiante, al pettegolezzo inconcludente ed ozioso, a un'ironia ambigua e sinuosa” (Vanzetto e Brunetta, 1988: 11).
Dall'immaginario coloniale e razzista viene anche il termine di “ascaro” con cui i pievigini chiamano sovente i migranti dal Bangladesh a Treviso. Il termine, importato dai portoghesi e poi ripreso dagli inglesi nel 1769, con qualche pensiero xenofobo, designa oggi anche l' “identità maschile” di origine bangla: lascar.
Il termine può essere tradotto con i termini “sradicato, un povero marinaio indiano o faccendiere, un soldato mercenario o un buono a nulla, un giovanotto disinvolto, furbo, anche un gagliardo ardito ed insolente” (Treps, 2005: 216).
Questo stereotipo, che coincide con la figura dell“ascaro”, rivela un atteggiamento di scherno e dispregio che può coincidere, come afferma l'antropologa Annamaria Rivera, con un goffo tentativo di dare un nome o di “appropriarsi simbolicamente della nuova figura sociale dell'immigrante” (2005: 206).
Da parte loro, i bangali definiscono gli italiani come “estranei” o bideshi letteralmente “diverso”38. Esistono altre definizioni della diversità: poscima cioè occidentale,
shetango ovvero di razza bianca, che a loro volta si suddividono per gradi in base alla
carnagione, all'altezza, al costume.
“Bideshi”, letteralmente “estranei”, è riferito a tutti coloro che fanno parte dei paesi di emigrazione, come l'Europa, immaginati attraverso le conversazioni con chi è tornato o i attraverso media, come luoghi di benessere, pulizia, spazio, ricchezza. L'immaginazione ha qui la funzione di “socializzazione anticipatoria” per chi deve ancora partire è spesso contribuisce a creare aspettative non facilmente realizzabili (Quattrocchi, 2003: 60). Le “moderne” dinamiche di Pieve di Soligo, ora fortemente cementificato e inquinato, sono efficacemente descritte dal poeta locale Zanzotto, che lo contrappone ad un
38 Informazioni frutto di intervista sul campo. La traduzione dei termini è da parte di uno dei miei allievi frequentante la quinta liceo scientifico e giunto in Italia da Dhaka a nove anni.
nostalgico passato, ma non quello della mitica “Razza Piave”, né quello della federalista “Repubblica Serenissima”39.
Zanzotto scrive “che oggi la gente ha paura degli immigrati ... ieri era diverso. Nel 1935 arrivò ad Asiago un ascaro a vendere le sue cose in piazza. La gente lo guardò con curiosità, mai con disprezzo. Oggi non c'è nemmeno la curiosità.” (La Repubblica, 28 agosto, 2002).
A tale riguardo Jean-Loup Amselle scrive che
è nel rapporto interno ed esterno a una regione che si definiscono in permanenza le identità collettive e individuali (nome, cognome, soprannome). La capacità di dare un nome, un cognome o un soprannome è, ben inteso, essenziale e rivelatrice delle divisioni e dei rapporti di forze che agiscono in seno a un campo sociale determinato. È nella facoltà di assegnare nomi e nella possibilità di rifiutare di essere nominati che si manifestano continuamente le poste in gioco tra le categorie sociali o i gruppi che occupano posizioni vicine o lontane nello spazio (1999: 94).
Pieve di Soligo dopo l'industrializzazione appare piuttosto, secondo il poeta, “...un eroinizzato, slombato paesaggio...” descritto anche così:
Sporgiti sulla pianura dalla cima del Montello, appoggia un immaginario stetoscopio su Montebelluna, capitale del distretto dello scarpone, fruga in quel paesaggio stravolto da ipermercati, intasato di capannoni, e tendi l'orecchio su quello sgobbare da pazzi, da sballo, da vita arricchita. Oltre il rumore di fondo, oltre il friggere dei cellulari, il bip dei computer, lo sferragliare delle macchine e l'ansare stridulo dei magazzini, sentirai come il basso continuo di una litania. Sono i veneti che ripetono a sé stessi la paura della miseria, la paura dello straniero in una zona che lotta per le risorse economiche: “No gavevo,
no gavevo, go paura de no gaver” (Oggi Treviso, 12/11/2009).
La zona del Quartier del Piave è parte tuttora integrante del Distretto produttivo del mobile, che oggi viene chiamato “Distretto trevigiano del legno arredo”. Questo è dislocato in due aree principali: l’area storica al confine orientale della Provincia di Treviso con quella di Pordenone, nel Friuli-Venezia Giulia, che ha come area centrale il comune di Gaiarine (l’area continua poi nella Provincia di Pordenone, dove gli
39 Al momento della ricerca, nel Quartier del Piave la Questura di Treviso ha indagato un movimento paramilitare esteso tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, con diversi aderenti, il cui scopo era la ricostituzione della Nazione della Repubblica Serenissima di Venezia secondo i confini antecedenti al Referendum di annessione allo Stato Italiano del 1866. Il Presidente dell'associazione Life (Liberi Imprenditori Federalisti) a Conegliano risultava essere il “Capo del Governo del Popolo Veneto - Movimento di Liberazione Nazionale delle Venezie”. L'ideologia dell'associazione è quella della difesa dell'identità veneta. A tal proposito riporto in allegato la scheda di iscrizione all'associazione.
insediamenti sono centrati sul Comune di Brugnera); l’area di successivo insediamento del Quartier del Piave, con il suo epicentro a Pieve di Soligo. Il settore produttivo è quello dell’“Industria del legno e dei prodotti in legno”40.
L’area è interessata anche da altre attività manifatturiere, caratteristica nel Veneto di molte aree pedemontane, mentre ad esempio nella vicina area di Conegliano, fino a pochi decenni fa principale area industriale della Provincia di Treviso, preminente è il settore occupazionale legato ai servizi.
Il Quartier dei Piave è un noto Distretto produttivo agroalimentare, quello del vino Prosecco. Sembra che questo settore non abbia attratto l’immigrazione stabile, se non flussi stagionali di lavoratori provenienti dall’Europa orientale, principalmente dalle vicine Albania, Romania che vi si recano per le operazioni minori di potatura delle viti e per la vendemmia.