5. RAPPRESENTAZIONI QUOTIDIANE E INCONTRI SUL CAMPO
5.2 PRIMO INCONTRO CON RAHMAN: LA FESTA DEI POPOLI
Nel tentativo di entrare in comunicazione con il rappresentante dell'associazione Bati, che rappresenta i migranti dal Bangladesh, mi reco alla Festa dei Popoli a Giavera del Montello tra il 14-16 giugno 2008.
La festa “Ritmi e danze dal mondo” è organizzata dal Comune e dalle varie associazioni del territorio: Associazione Benkadj-Donne Costa d'Avorio, Associazione Igbo Nigeria, Associazione Jamoral Senegal, Amici del Mali, Associazione Donne Senegal, Associazione Filippina, Associazione Ayumi Okazaki (Giappone), Associazione Bati Bangladesh.
La rappresentazione è quella di un grande villaggio50. Lo spazio è organizzato in forma circolare con altoparlanti centrali e varie tende attorno. Oltre alla tenda dei volontari, al bar Pace e Sviluppo, al Turismo solidale e alla chiesetta ci sono i posti riservati ad ogni provenienza con il relativo “corredo etnico”: Angolo del Marocco, del Senegal, ecc... L'antropologo James Clyde Mitchell (1994: 107) in uno studio della danza della Kalela in una città della Rhodesia del nord, introduce la definizione di “tribalismo urbano”, riferito ad una suddivisione degli individui secondo la loro appartenenza a certe categorie, definite secondo criteri etnici. Infatti lo “straniero” viene visto dai trevigiani come membro di un gruppo, determinato da alcune qualità che tendono a sembrare poco definitive, quando si arriva a conoscere meglio le persone.
La festa presenta diversi eventi: mostre fotografiche (Mostra fotografica donne d'Africa), esposizioni d'artigianato (India, Tibet), Terapia 'Ndepp (donne Senegal),
Atelier Plasticamente (donne bangla), spettacoli circensi, “danza e musica etniche”: rito
della maschera di paglia (Senegal), Zastava Orkestar (musiche balcaniche), Quartetto del Barrio (Argentina), danze Sri Lanka, Pautalia (Bulgaria), Gruppo ukraino Smerenchina, danze afgane, Sayari (America Latina), Aourindè (musica e danze nomadi del deserto del Niger).
La giornata prevede anche delle sfilate con “costumi tradizionali”. Ogni associazione è inoltre rappresentata dal suo ristorante “etnico”.
I confini che si vengono a creare tra i vari “spazi etnici” definiscono i diversi gruppi di attribuzione rendendo manifeste quelle differenze, quei segni che ogni gruppo è incoraggiato a esibire per contraddistinguere la propria identità da quella di un altro (Barth, 2008: 41). L'etnicità si costruisce attraverso le relazioni sociali come risultante di una prassi sociale. I migranti non costituiscono quindi una minoranza etnica di per sé o per natura ma diventano tali nella società di accoglienza in modo conflittuale.
Le insegne dello stand gastronomico bangla sono varie: la scritta dell'associazione Bati, la bandiera verde con un cerchio rosso centrale, che significano natura/speranza e sole/sangue dei martiri per la Libertà51, degli striscioni con disegni che richiamano la vita in Bangladesh: madri e figli nel cortile di casa, i pescatori in mare. Ci sono anche degli sponsor che mi ricordano i nomi dei negozi bangla che avevo visto a Pieve.
Alla cassa c'è O., che mi dice essere la figlia di Rahman. O., fa da cassiera allo stand gastronomico. Ha 17 anni, parla molto bene l'italiano e il bangali, frequenta il liceo scientifico. È vestita con lo shari, e proprio perché parla ben l'italiano, non ha molto tempo per parlare con me ora, deve stare tutto il giorno in cassa per spiegare e tradurre agli ospiti i piatti dello stand gastronomico bangla: puri (lenticchie), somucha (carne, patate, piselli), biryani (riso con carne di manzo), tandori (pollo allo yogurt e spezie), vaggi (verdure miste), e il lasshi (bevanda di yogurt e acqua di rosa).
50 Per la pianta della festa vedere fig. 5 in Appendice. 51 Informazioni frutto di lavoro sul campo.
Riesco a parlare con Rahman. Mi presento come una studente che sta preparando una ricerca sul Bangladesh. Lui mi dà frettolosamente il suo indirizzo e recapito telefonico con la promessa di ritrovarci dopo con più calma.
Le prime considerazioni sulla festa ci riportano alle nostre considerazioni iniziali sull'utilizzo facile dell'espressione “etnico” quando ci si riferisce agli immigranti in Italia.
Naturalmente le problematiche poste dal lessico etnico sono complesse; ma soprattutto colpisce l'associazione del termine con un referente nazionale. Ovvero si parla di gruppi “etnico-nazionali” e questo può essere fonte di confusione poiché al presente tutti gli stati esistenti sono di fatto “multietnici” (Kymlicka, 1995).
La categoria “etnico-nazionale” mescola due principi di organizzazione profondamente diversi e non è sostenibile.
Nella festa dei popoli (2009) un appuntamento speciale è dedicato alle musiche e danze dall'India, presentato da gruppi di danza panjabi e bangla: Bhangra Group Punjab e Bangladesh Shishu Kishir Accademy. Altrettanto singolare appare questa fusione di Punjab e Bangladesh come rappresentanti dell'India.
Mentre i danzatori panjabi, che si esibiscono per primi, si esibiscono in una danza di cinque uomini accompagnati dall'armonium, alcuni dipingono il viso di Gandhi in un quadro molto grande posto al centro del palco al quale alla fine tutti fanno omaggio. Le danze dal Bangladesh sono invece rappresentate dalla “sposa bambina” che vestita di bianco recita assieme al suo fidanzato la loro promessa di matrimonio. In quest'occasione le donne delle due associazioni si siedono accanto assieme, mentre gli uomini costituiscono un gruppo a parte, accanto alle panchine.
Qui i Panjabi indicano la loro disponibilità nei confronti dei Bangali, dei quali gli antenati erano loro connazionali nell'India coloniale. L'etnicità e la mobilizzazione di un gruppo su linee etniche si pone qui come una prassi sociale che si calibra nei vantaggi che si ottengono nell'invocarla. Per esempio la visibilità dell'associazione che veicola, tramite le relazioni sociali, degli interessi economici o politici e delle solidarietà.
Ciò che sembra accadere in questa circostanza tra le due associazioni etniche può essere ciò che Barth definisce “si gioca lo stesso gioco” (1969: 15), ovvero i confini sono anche il luogo dove si può provare a strutturare l'incontro tra i diversi gruppi, creando uno spazio comune malgrado le rispettive particolarità. Il legame che l'etnicità rivendica e sente verso un luogo mitico si manifesta frequentemente attraverso la ripresa di memoria, ricordo, miti, tratti culturali distintivi e condivisi che giustificano e glorificano l'idioma e le identità. Gli idiomi, come Gandhi, simbolo di pace, sono sia mezzi per mobilitare un sostegno, sia sostegni nella strategia del confronto con altri gruppi (2008:
67).
Nella giornata pan-indiana assisto ad altri spettacoli. Due giovani sposi del Bangladesh, vestiti di bianco, ricoperti di gioielli d'oro e gemme sono portati in parata su un divano dorato, pieno di veli e fiocchi e si fermano nel prato, inscenano un rito matrimoniale all'occidentale e si fanno fotografare, scherzano, festeggiano. Mi avvicino per sapere di cosa si tratta; non parlano italiano, attorno c'è troppa esultanza per capire.
Parlo anche con i venditori ambulanti bangla. Mi dicono che c'è una crisi tra i negozianti. Alcuni sono lì per svendere i loro abiti i shari, gli orna o stuole, parure di gioielli dorati e vari tessuti: i negozi chiudono, nessun bengalese si può permettere un abito di vera qualità se non quello ricamato dalle donne stesse per sé, qui o in Bangladesh. Gli abiti in vendita non sono pregiati, ma destinati solo ai visitatori. A tal proposito una danzatrice del ventre italiana, che ho incontrato alla festa e vestita all'indiana, mi dice che sta cercando degli abiti pregiati per le sue esibizioni e specifica “veri”, poiché non riesce a trovarli se non quelli di bassa qualità.
Alcune donne indossano abiti shari, ma di scarsa qualità, e ciò può essere pensato come quella che, scrive Eric Hobsbawn, rappresenta l'“identità collettiva di maglietta” (1996: 36-419)52.
L'antropologo Jean-Loup Amselle, a proposito della paura di essere uguali agli altri e della scelta di indossare gli abiti più vistosi per proclamare la nostra diversità, si chiede se “nel nostro agire quotidiano, siamo davvero coscienti di quale sia la nostra pelle e quale invece l'abito indossato. Il problema infatti si pone quando i nostri cassetti sono pieni di queste magliette: quella dell'identità di classe, della nazionalità, della fede politica, della passione calcistica e siamo costretti a decidere quale di queste magliette diventerà la nostra pelle. Di questo attributo, continua Amselle, che si vuole segno di un'identità forte, occorre comunque valutarne la reale portata, poiché “non esiste una sola identità, e pertanto si può tranquillamente convivere con diverse magliette. La maggior parte delle identità collettive sono magliette più che pelle, cioè sono opzionali, non ineludibili e cambiabili senza tante difficoltà” (1999: 20).
In considerazione a questo ho pensato al modo di relazionarsi degli occidentali con le culture di altri paesi che è veicolato anche dall'uso di mode lontane, oltre che dai cibi, classificate come “esotiche” delle quali l'“orientalismo” costituisce una costellazione vasta di stili di vita, fantasie e luogo immaginari dove si confondono realtà diverse e la cultura occidentale proietta i propri desideri (Said, 1978).
L'Asia che emerge da questi fenomeni di moda a partire dagli anni Settanta come Asian
style o hippy fornisce da secoli motivi, tessuti, forme, decori, ed è un prodotto come gli
altri da comprare, come direbbe il socioantropologo Ted Polhemus (1995: 109-122)al supermercato degli stili.
52 Sulla considerazione di questo fatto da parte dei bangali, vedi il Manifesto pubblicato on line dall'associazione Non Resident Bangladeshis in Italy, p. 172.
L'Asia che va di moda è evidentemente, nel senso di Roland Barthes, un mito d'oggi, quella che si presta ad appagare bisogni antitetici, la pretesa di opulenza, di lusso nel senso più comune del termine, da una parte, ma anche l'esigenza di spiritualità, come paradosso tutto occidentale, dall'altra (1957).
Noto la presenza sgargiante della moglie del Presidente Bati Rahman, vestita con uno splendido shari rosso assieme alle figlie più piccole e un'amica mentre osservano distratte le mercanzie.
Durante la festa giro tra le bancarelle mi siedo ad un tavolino occupato da una giovane dal Bangladesh vestita più modestamente in beige la quale mi invita a decorare le mani con l'henné. Il suo servizio è a offerta libera. Altre donne del Bangladesh sono impegnate a intrecciare fili di plastica colorati ricavati da borse di nylon per tessere tappeti, oggetti ornamentali per le camere dei bambini e abiti di scena per i danzatori africani dei quali vedo in seguito l'esibizione.
Lo shari segnala lo status sociale della donna che lo indossa quale donna sposata ed il tipo specifico di colore indica la sua classe sociale di appartenenza, il suo livello di ricchezza, la sua raffinatezza e la sua regione di provenienza. Umma veste uno shari più ricco di colore scuro, in tessuto filigranato di rayon o seta, mentre altre bangali più modestamente indossano shari più poveri di colore chiaro e di cotone (Mutton, 2008: 117).
Il ruolo di mediatrice linguistica di Ontara, la partecipazione delle donne agli atelier artigianali e degli uomini nel servizio gastronomico all'interno dell'associazione Bati esemplificano, come afferma Barth (2008: 41), che appartenere al gruppo, comporta il rispetto e la condivisione di un insieme di norme e valori. Secondo l'antropologo Abner Cohen “un individuo deve pagare il prezzo all'appartenenza partecipando alle attività simboliche del gruppo e con un certo grado di adesione ai suoi scopi” (2008: 140). In quest'occasione ho cercato di aderire all'iniziativa “Indovina chi viene a pranzo...”, proposta dall'Associazione organizzatrice Amici dei Popoli. Mi spiegano che si tratta di invitare e essere ospitati una domenica nella propria casa al fine di scambiare conoscenza in maniera conviviale tra famiglie italiane e migranti. Mi iscrivo per conoscere una famiglia bangla, ma il tentativo con il tempo fallisce. Rahman stesso a cui ho diretto l'invito mi dice che preferisce gestire il nostro incontro diversamente, cioè ci troviamo quando e come sceglie lui. Crede che sia molto meglio incontrarsi in un'altra occasione. In più occasioni ho notato la tendenza di Rahman a gestire abbastanza autonomamente i nostri incontri. Ma ciò può rappresentare anche una chiusura verso la società italiana. Quindi mi invita alla festa di Capodanno bangla che festeggia l'inizio del calendario mussulmano.