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Le ipotesi teoriche sul pol cy making process i comunitario

Conclusioni della Presidenza [SN 300/02, 2002] (decisioni sulla dotazione finanziaria al 2013)

3.2. Le ipotesi teoriche sul pol cy making process i comunitario

Obiettivo di questo paragrafo è di identificare quelli che potremmo definire gli “elementi stilizzati” del policy making process comunitario che costituiscono il quadro istituzionale e i vincoli di contesto all’interno dei quali è stata effettuata l’analisi di cui ai capitoli successivi. Il primo degli elementi stilizzati individuati risiede nella rilevanza di un’analisi che proceda parallelamente, guardando ai singoli contesti nazionali ed alla scena comunitaria. La centralità di un approccio siffatto riposa su di un filone analitico, cosiddetto intergovernalista, sviluppatosi essenzialmente nelle accademie inglesi ed

americane nella seconda metà degli anni ’80. Tale indirizzo ricade nell’ambito di studi di scienze politiche che lavorano a spiegare i processi di integrazione regionale e le relazioni internazionali. E’ all’interno questa direttrice di ricerca che saranno ricavati alcuni spunti di riflessione sviluppati di seguito36.

Nel saggio intitolato Diplomacy and Domestics Politics: The logic of Two Level Games, Putnam rileva l’importanza per lo studio delle negoziazioni internazionali, di modellizzazioni a due livelli, uno che tenga conto dell’arena internazionale ed un secondo che consideri gli effetti interni ai singoli contesti nazionali. La metafora che l’autore propone è quella di due tavoli di gioco, il primo rappresenta l’arena interna e l’altro il contesto internazionale. La diplomazia e le strategie politiche sono vincolate simultaneamente da un meccanismo di interazione tra i due livelli, ovverosia - cosa gli altri paesi sono disposti ad accettare - e - cosa gli interessi nazionali sono favorevoli a ratificare -. Per concludere con successo una negoziazione, i governi devono contrattare sui due tavoli, al fine di raggiungere gli accordi nelle arene internazionali e al contempo assicurarsi l’approvazione interna. (Putnam, 1988). Le stesse ipotesi sono state riprese dall’autore in un contributo del 1993, pubblicato con altri scienziati sociali, in un’analisi della cosiddetta Double Edged Diplomacy condotta su alcune intese negoziali della storia europea ed americana (Putnam et al., 1993).

Putnam analizza i risultati di alcuni accordi comunitari e propone un modello in cui a livello nazionale i gruppi di interesse agiscono nel tentativo di ottenere dai governi politiche loro favorevoli. Nelle sedi internazionali, accade che tali governi lavorino al fine di massimizzare la propria abilità nel soddisfare le pressioni interne, ed al tempo stesso, di minimizzare le conseguenze negative delle politiche internazionali sulla scena interna. La struttura di base del modello vede i policy makers nazionali agire come attori sia al primo livello (quello nazionale) che al secondo (quello internazionale). Gli effetti di entrambi i livelli di contrattazione si trasmettono in entrambe le direzioni, in un meccanismo di interrelazione costante tra i due piani. Il contributo, ai nostri fini, più rilevante del modello di Putnam (1988) è nell’identificazione del cosiddetto win set:

“Win-set is all the possible agreements a leader is able to ratify at home. In order to conclude an international agreement an overlap of the domestic win-sets of the states participating in the

36 Per una rassegna esaustiva di questo filone di studi si rimanda a Putnam 1988, Moracvisk, 1991, Patterson, 1997.

negotiation is required. If there is no overlap, defections and/or failure of the negotiations is to be expected (…) First, larger win sets make Level 1 agreements more likely, ceteris paribus. By definition, any successful agreement must fall within the Level 2 win sets of each of the parties to the accord. Thus agreement is possible only if those win sets overlap, and the larger the win set, the more likely they are to overlap”.

In altre parole, esso rappresenta l’insieme dei potenziali accordi internazionali (raggiunti al livello II) che possono essere ratificati (o informalmente approvati) nelle sedi nazionali (livello I). La logica fondante il win set è schematizzata in figura.

Fig. 3.1. Una schematizzazione del modello di Putnam

a0 b1 a1 b0

Stato A Stato B

Set possibile

Essa illustra il caso di una contrattazione che vede coinvolti due Stati, i quali si confrontano su di una singola questione politica. Il win set del paese A è definito dall’insieme dei potenziali accordi compresi nell’intervallo (a0 – a1); ed a0 rappresenta il

bliss point per il paese A, quello che consente al suo governo di raccogliere il massimo

consenso interno. Muovendosi verso a1, tale approvazione tenderà a decrescere, ma è ancora sufficiente a garantire il sostegno degli interessi nazionali. Allo stesso modo, il paese B ha un win set compreso tra b0 e b1. L’intervallo in cui i win sets dei due Stati si

sovrappongono rappresenterà il complesso di scelte politiche accettabili da entrambi i contesti nazionali, o in altre parole, l’accordo raggiungibile. Fuori dall’intervallo individuato l’accordo non ha luogo.

La dimensione del win set proposto dai diversi governi nazionali riveste un ruolo determinante per l’esito delle negoziazioni. Ipotizziamo che, a causa di vincoli nazionali stringenti, un paese giunga alle negoziazioni con un ristretto ventaglio di proposte accettabili, accadrà che l’accordo internazionale sarà possibile all’interno di un margine assai ristretto. Non solo, ma le dimensioni dei win sets condizioneranno anche la posizione negoziale del paese in seno al negoziato. Più ampio infatti, sarà il win set

accettabile da un paese e tanto più elevato sarà il suo potere contrattuale all’interno del tavolo negoziale. Putnam, conclude individuando i tre fattori che condizionano la dimensione del win set : la forza politica degli stakeholders nazionali, il ruolo giocato dalle istituzioni, la posizione dei negoziatori (governanti) tanto nella scena interna che nell’arena internazionale.

In una direzione vicina a quella proposta da Putnam, all’interno di un filone cosiddetto di intergovernalismo liberale37, si muovono i contributi di Moravcisk (1994, 1997,

2002), Patterson (1997) e Puchala (1999). Moravcsik rileva come le principali decisioni della storia dell’Unione Europea abbiano avuto luogo secondo un processo a due stadi. Lo studioso sottolinea come frequentemente le preferenze nazionali siano state determinate dai vincoli e dalle opportunità imposte dalle relazioni economiche interne all’UE. La riflessione di Moravcsick diventa rilevante ai fini della nostra analisi, quando l’autore, ampliando le ipotesi sviluppate da Putnam (1993), sottolinea come gli esiti delle negoziazioni sovranazionali riproducano i rapporti di forza che vengono a determinarsi tra i singoli paesi. L’autore, inoltre, evidenzia l’importanza della posizione relativa assunta dalle istituzioni comunitarie in seno al negoziato.

Le stesse considerazioni emergono dal lavoro di Garrett e Tsebelis (1996), i quali però aggiungono come gli accordi negoziali riflettano le preferenze dei paesi in grado di esercitare una maggiore influenza all’interno del processo negoziale ma soprattutto sulle istituzioni stesse. E’ utile rilevare come l’insieme di questi contributi abbiano sviluppato un approccio qualitativo ai problemi, non proponendo alcuna formalizzazione verificabile sotto il profilo quantitativo.

Patterson (1997), riprende le tesi di Putnam, ed evidenzia come non sia sufficiente considerare le sedi comunitarie e quelle nazionali ma vada aggiunto un terzo livello, che tenga conto di quanto accade in sede di negoziati multilaterali. Il contributo di Patterson esamina il caso dell’approvazione del pacchetto di riforma degli stabilizzatori di bilancio del 1988 e la stessa Riforma Mac Sharry e mostra i collegamenti e le dinamiche che si sono susseguite ai tre livelli negoziali. La tesi di Patterson è che il potere e l’eterogeneità degli interessi coinvolti nelle tre fasi abbiano avuto un ruolo fondamentale nel determinare il differente esito dei due processi negoziali. Le

37 Giova ricordare che l’indirizzo di studi intergovernalista, all’interno dell’analisi politica delle relazioni internazionali, è andato sviluppandosi in tre correnti a quella dell’intergovernalismo liberale, è seguito il cosiddetto intergovernalismo istituzionalista e successivamente un ampio filone di analisi della cooperazione internazionale (Moravcsik, 1994).

conclusioni cui l’autrice giunge possono rivelarsi utili ai fini di quest’indagine e meritano pertanto un approfondimento. La soluzione degli stabilizzatori di bilancio fu adottata nel febbraio del 1988. La misura di contenimento, forse la più importante tra quelle adottate per contenere l’espansione delle spese della sezione Garanzia del FEOGA negli anni ’80, aveva esteso a quasi tutti i prodotti agricoli, pur se con modalità applicative diverse da prodotto a prodotto, una riduzione automatica e progressiva del prezzo di intervento, nel caso in cui la produzione annua avesse superato la quantità massima garantita fissata a livello comunitario.

Gli stabilizzatori, tuttavia, così come furono proposti, misero in evidenza la volontà di mantenere in piedi una politica dei prezzi e dei mercati simile a quella condotta per i primi trent’anni di PAC; mostrandosi come uno strumento utile a perpetuare quello che era lo status quo del paradigma di intervento comunitario nei mercati agricoli, e soprattutto evidenziando politiche rinunciatarie rispetto alla necessità che andava configurandosi di definire nuove strategie. Con la riforma Mac Sharry, invece, si avviò una radicale revisione delle politiche di intervento nell’agricoltura comunitaria, che condusse all’introduzione di alcune importante misure politiche. L’autrice affronta l’analisi del processo politico che portò all’adozione dei due pacchetti di riforma e si interroga sul differente esito delle negoziazioni.

Nello studio condotto a tre livelli (il Livello I è quello multilaterale, il Livello II è comunitario, infine il Livello III è quello interno ai singoli contesti nazionali), Patterson riprende la tesi di Moravcsik secondo cui il potere contrattuale di alcuni paesi prevalga all’interno dei processi negoziali, ed analizza il ruolo giocato dalla Germania e dalla Francia nello svolgimento dei due percorsi di riforma. Secondo l’autrice il processo agricolo vide un suo netto riorientamento nel 1992 e invece l’affermazione di un sostanziale status quo nel 1988, sostanzialmente a causa di tre ordini di fattori. In primo luogo, per la dimensione del win set degli attori coinvolti, secondariamente a causa del costo differente del mancato accordo, ed infine per il ruolo chiave svolto dal grado di autonomia e dalle strategie istituzionali di alcuni policy makers.

Patterson enfatizza il ruolo giocato dalle singole scene nazionali, l’autrice rileva come nel 1988, Kohl e Mitterand si confrontarono con le fortissime pressioni che giungevano dalla lobby agricola e in un contesto politico fortemente condizionato dalle vicine tornate elettorali. Nel 1988, infatti, le elezioni regionali tedesche vedevano Kohl, e

il suo partito, i Cristiano Democratici della CDU, in una posizione particolarmente difficile. Nel caso tedesco si rivelò cruciale la posizione della DBV, il principale sindacato agricolo tedesco, di orientamento vicino agli stessi Cristiano Democratici, che giocò un ruolo di primaria importanza nell’orientare gli interessi agricoli, sfruttando la difficile posizione della CDU nei due land più grandi il Baden Württemberg e lo Shleswig Holstein, in cui l’80% del voto agricolo andava tradizionalmente ai Cristiano Democratici (Patterson, 1997).

Patterson, a conferma di questa tesi, ricorda come nelle elezioni tedesche per le rappresentanze al parlamento europeo del 1984, la CDU perse una percentuale di voti elevatissima, soprattutto nelle aree rurali, conseguente all’introduzione del sistema di quote nel comparto lattiero. Questo ed altri esempi riportano all’importanza dell’elettorato agricolo nel contesto tedesco, e dei riflessi che scelte politiche in questa direzione avrebbero in termini di voti (Patterson, 1997). In una posizione non dissimile da quella tedesca, si trovava la Francia, al cui interno premevano gli interessi agricoli del paese, soprattutto nell’ambito del comparto cerealicolo38, oltre che la vicina tornata

elettorale.

I win sets dei due governi, riprendendo le ipotesi sviluppate da Putnam (1988),

erano secondo Patterson particolarmente limitati dai vincoli nazionali, al contrario di quanto accadde nel 1992; quando, appena uscita dalla riunificazione, la Germania aveva visto allargarsi tanto gli interessi quanto le pressioni interne. Divenute più eterogenei i gruppi nazionali e rafforzatesi le critiche per la posizione tedesca rispetto al bilancio comunitario, Kohl potè allinearsi alla posizione inglese, da sempre favorevole all’avvio di una radicale revisione delle politiche di intervento in agricoltura, e avviare il processo di riforma che condusse al pacchetto Mac Sharry.

In seconda istanza, quello che, a parere di Patterson, condizionò l’esito dei due negoziati fu il diverso peso che il costo del mancato accordo avrebbe avuto nei due periodi. Nel 1988, infatti, l’incremento della contribuzione al budget europeo mitigò gli effetti dei costi connessi alla mancata revisione della spesa. Nel 1992, invece, le pressioni che giungevano in sede GATT, dall’Uruguay Round, e quelle interne, sull’accordo monetario avevano riportato alla scena internazionale l’urgenza di un forte riorientamento della spesa agricola (Patterson, 1997).

38 vedi nota precedente.

Il terzo aspetto considerato da Patterson concerne il differente grado di autonomia nell’attuazione delle strategie impiegate di cui godevano i policy makers coinvolti nelle due fasi. L’autrice si riferisce infatti, non solo alla posizione tedesca ma anche a quella dello stesso commissario agricolo Mac Sharry. Kohl nel 1988 era, in qualche misura, “ostaggio” del sostegno elettorale della lobby agricola. Mentre nel 1992, la posizione tedesca era rafforzata dal successo della riunificazione, e differenti erano le pressioni interne per un riorientamento della spesa. Mac Sharry sfruttò il suo ruolo sia a livello comunitario che internazionale. Nel primo caso infatti, il commissario accolse le pressioni che giungevano da alcuni SM e la crisi dell’accordo sul budget europeo al fine di spingere per una profonda revisione della PAC. In sede GATT, sfruttò lo stallo del negoziato e i risultati conseguiti a livello europeo, per far ripartire l’accordo sull’agricoltura. In questa direzione anche se le pressioni che giungevano in sede multilaterale richiesero interventi successivi sulla politica agricola, questi furono ben lontani dalle iniziali richieste statunitensi (Patterson, 1997).

In una direzione parzialmente vicina a quella degli scienziati sociali e della stessa Patterson, si erano precedentemente mossi, anche alcuni contributi degli economisti agrari. Nel saggio più volte citato (Petit et. al., 1987), Petit introduce degli elementi utili alla comprensione del processo politico e negoziale agricolo comunitario attraverso l’esame del contesto che ha condotto nel 1984 all’introduzione di un sistema di quote nel comparto lattiero caseario. Una delle caratteristiche più originali del lavoro è lo sviluppo di un’analisi condotta, in una prima fase a livello dei singoli SM, attraverso l’individuazione del ruolo degli attori coinvolti, e dell’inserimento di ciascuno di tali contesti all’interno dell’arena comune. Nella seconda fase, gli autori si concentrano sulla disamina del ruolo giocato dagli organismi istituzionali nella scena comunitaria e sulle interrelazioni con gli interessi degli SM (Petit et al., 1987).

Quello che segue è un passo in cui l’autore illustra efficacemente le peculiarità del contesto agricolo, ma soprattutto pone l’accento sulla rilevanza di analisi che tengano conto delle interdipendenze che esistono tra la scena comunitaria e i singoli ambiti nazionali.

The agricultural policy formation process in the EC has specific features and complications, because of interactions between two levels: the basic policy discussions take place at the national level in the different EC member countries. Here the politicians are confronted with their electorate and have to

justify their political positions and actions. In the national political debate the positions are elaborated, they are then held and defended by the national representatives, mainly the Ministers of Agriculture, during the bargaining process in the Council of Ministers. The political decision finding process at the EC level is largely influenced by the existing institutional setting, especially the distribution of competences between the Council of Ministers, the EC Commission and by the procedures of decision making within the Council (Petit, et al. 1987).

Rilevare la centralità di un approccio che guardi parallelamente alla scena comunitaria ed ai singoli contesti nazionali, rappresenta una condizione senza dubbio necessaria ma non sufficiente per l’avvio di un’analisi del processo decisionale agricolo comunitario. Petit, infatti, evidenzia la necessità di concentrarsi sulle caratteristiche stesse del contesto istituzionale comunitario e sul ruolo giocato dal Consiglio e dalla Commissione all’interno del processo decisionale. Più volte nel corso di questo paragrafo, come del capitolo di rassegna teorica che lo ha preceduto, si è fatto riferimento all’importanza di esaminare il processo politico come un processo di interazione tra gli attori coinvolti. Questo implica il considerare gli esiti del processo decisionale, come il risultato di un processo di negoziazione tra le parti. Lo stesso Petit (1985, 1989), seguendo la tesi di Allison39 sottolineava come le politiche si configurino

come il risultato di un processo dinamico guidato dai conflitti di interesse degli attori coinvolti, ed il ruolo ricoperto da ciascuno è definito dalla sua posizione all’interno della scena negoziale (Petit, 1985). L’autore, in estrema sintesi, considera le decisioni politiche prese durante un dato periodo come l’output del policy barganining, che egli indica come la “scatola nera” all’interno del quale sono coinvolte le organizzazioni di pressione condizionate da forti interessi economici, e le istituzioni. La notazione rilevante, sviluppata da Petit, è che l’insieme di tali assunzioni sul processo politico, valgono solo nel breve periodo. Secondo l’autore, infatti, nel lungo periodo le politiche pubbliche non sono tanto il risultato dei conflitti tra gli interessi coinvolti, ma emerge il ruolo prioritario giocato dalle forze economiche (Petit, 1987). La tesi dello studioso è che gli attori coinvolti abbiano pesi differenti in seno al processo decisionale; egli propone la suggestiva immagine dei recitanti nella tragedia greca, con i protagonisti e il coro, così che le diverse posizioni devono essere individuate nella loro impostazione in via preliminare (Petit, 1985).

39 Allison (1971) sostiene che le politiche sono il risultato di “conflitti, compromessi e confusioni” tra i giocatori che prendono parte al processo negoziale, vedi cap. 3.

In questo senso, si rende necessario un passo ulteriore in direzione della contestualizzazione delle ipotesi teoriche fin qui discusse, all’interno della scena europea. Il riferimento è alle peculiarità del processo politico comunitario, ed alle specificità dei meccanismi che regolano il contesto decisionale agricolo. In questa direzione, si sviluppa di seguito un quadro descrittivo del framework istituzionale dell’UE e delle principali procedure di funzionamento che vi presiedono.

Tab. 3.1. Un quadro preliminare delle ipotesi analitiche. L’importanza di un’analisi condotta a due livelli

Il processo politico come un processo di contrattazione tra Stati (bargaining process) Centralità del ruolo/potere contrattuale dei singoli paesi all’interno del processo negoziale Natura sequenziale del processo negoziale

Identificazione del cosiddetto win set Influenza del quadro istituzionale

Individuazione degli attori coinvolti nei due livelli