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Conclusioni della Presidenza [SN 300/02, 2002] (decisioni sulla dotazione finanziaria al 2013)

3.5. L’influenza degli interessi dominanti all’interno del policy making

3.5.1. La lobby agricola

La rilevanza del ruolo svolto e la forza organizzativa e di pressione dei sindacati agricoli in seno al processo decisionale rappresenta un fattore costante della storia della

politica agricola. Considerazioni simili, valgono nel caso delle singole esperienze nazionali dei paesi comunitari, come per gli stessi Stati Uniti (Gardner, 1995). Anche per le organizzazioni agricole come per altri gruppi di pressione, è difficile determinare le relazioni causali tra sviluppo e parabola evolutiva della PAC, e il rafforzarsi della

membership agricola. Ed è evidente come tale forza persista anche in tempi recenti,

nonostante il mondo agricolo si presenti oggi, come un arcipelago di interessi, diviso sulla base dei tipi aziendali, delle specializzazioni colturali e delle localizzazioni territoriali. Alcuni autori (Keeler, 1996, Lizzi, 2002) rilevano come ciò si spieghi proprio con l’ampio e progressivo coinvolgimento di tali attori nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche agricole. Come si vedrà in seguito, al là delle peculiarità nazionali, numero di sindacati, ampiezza della rappresentanza, filiazione partitica; ciò che accomuna le organizzazioni agricole riguarda il ruolo rilevante ad esse attribuito in seno ai processi decisionali nazionali, e conseguentemente l’accesso privilegiato che tali gruppi hanno avuto nei rapporti con le istituzioni pubbliche. Non è casuale che tale meccanismo si sia riproposto in maniera speculare nella scena europea, come mostrato all’interno del quadro precedentemente esposto del processo istituzionale comunitario.

Giova rilevare che il COPA (Comitato delle organizzazioni professionali agricole) che rappresenta un’organizzazione ombrello intorno alla quale si raccolgono i principali sindacati nazionali, creato già nel 1958, raccoglie attualmente oltre 150 sindacati agricoli nazionali.

Nel tentativo di provare a comprendere le motivazioni dietro cui risiederebbe la forza di questo gruppo di interesse, riprendendo alcuni contributi teorici, si procede di seguito ad un’analisi della capacità di lobbyng espressa dalle organizzazioni agricole all’interno del policy making process comunitario.

L’efficacia dell’azione di un gruppo di interesse è determinata sostanzialmente da tre fattori (Elliott, Heath, 2000): la sua dimensione relativa, il cosiddetto tasso di mobilità la sua pivotability, intesa come capacità dominante sul processo politico. Per quanto concerne il primo aspetto, la dimensione del gruppo d’interesse è indubbiamente un fattore di prioritaria importanza nel condizionare la capacità di lobbyng di un gruppo. In termini assoluti, essa sarà tanto maggiore quanto più grande è il gruppo, poiché maggiore sarà l’influenza “politica” del gruppo in esame. In quest’ottica, il gruppo dominante nella composizione di interessi nel processo decisionale agricolo è quello

costituito dai consumatori/contribuenti. Tuttavia, la questione va analizzata in termini relativi: il peso “relativo” dei produttori agricoli, pur rappresentando una minoranza di interessi, potrebbe essere maggiore di quello dell’opinione pubblica. Accade, infatti, che non necessariamente un gruppo di ridotte dimensioni ricopra uno scarso peso elettorale, questo è particolarmente vero nel caso dell’agricoltura (Lizzi, 2002). Ad esempio, guardando al caso francese, è possibile verificare come gli agricoltori rappresentino solo il 4% dell’elettorato d’oltralpe, tuttavia, i voti con un forte attributo agricolo arrivano a rappresentare una quota pari al 17% dell’elettorato attivo. Cosa accade? Alcuni studi hanno dimostrato come voti che esprimono preferenze simili a quelle degli agricoltori attivi arrivino da un bacino di interessi a questi vicino, rappresentato per esempio da agricoltori in pensione, dai componenti della famiglia dei produttori, persone che in passato si sono occupate di agricoltura e così via (Hervieu, 1992).

Altro fattore determinante del peso politico di un gruppo di interesse è rappresentato da quello che nella letteratura anglosassone viene definito tasso di mobilizzazione. Esso va interpretato come la capacità di un gruppo di raccogliere preferenze. All’interno del comparto agricolo è maggiore il peso della rappresentanza sindacale, cioè della capacità delle organizzazioni di raccogliere adesioni che in altri settori dell’economia (Keeler, 1996). Secondo diversi studiosi (Keeler, 1996, Lizzi, 2002), la concentrazione degli interessi all’interno della rappresentanza agricola è tra i principali fattori che determinano il maggiore peso relativo della farm lobby. A titolo di esempio la tabella che segue illustra la percentuale di occupati nel settore iscritti alle rappresentanze sindacali confrontando quelle attive nel comparto primario con le altre organizzazioni di lavoratori.

Tab. 3.5. Concentrazione degli interessi agricoli e degli altri settori economici

Paesi Sindacati agricoli Unioni confederali dei lavoratori in tutti i settori

Francia 54.5 23.0

Germania 90.0 40.0

Gran Bretagna 78.0 50.0

Italia 80.0 36.5

Il terzo fattore che misura l’influenza relativa di un gruppo è rappresentato dall’intensità di preferenza, che rappresenta l’importanza che il raggiungimento di un determinato obiettivo ha per un gruppo. Esso è rivelato dai metodi che il gruppo sceglierà al fine di raggiungere quell’obiettivo, evidentemente esisteranno azioni, volte al raggiungimento di uno scopo caratterizzate da costi maggiori (Olson, 1983). Ebbene, valutando il costo che i singoli membri del gruppo sono disposti a sostenere per partecipare all’azione di lobbyng è possibile quantificare la forza di convergenza d’interessi che si registra all’interno del gruppo stesso, cioè l’intensità di preferenza. Ad esempio, un’azione che comporti alti costi potrebbe essere rappresentata da partecipazioni a dimostrazioni pubbliche, dall’adesione agli scioperi, oppure da azioni di disobbedienza civile, mentre azioni caratterizzate da basso costo possono essere il firmare una petizione o esprimere un’opinione in un’indagine. Ovviamente tanto maggiore sarà l’intensità di preferenza tanto maggiore sarà l’influenza che il gruppo è in grado di esprimere. Anche in questo caso a titolo di esempio può essere utile fare riferimento alla rappresentanza di interessi in seno alla PAC.

A testimonianza di quanto finora esposto, può essere utile il paragone tra la rappresentanza europea degli interessi agricoli e di quelli dei consumatori, il dato raccolto sui siti delle rispettive organizzazioni, è interessante. Gli interessi agricoli sono rappresentati a Bruxelles dal Comitato delle Organizzazioni Professionali Agricole della Comunità Europea, noto come COPA, la sede belga dell’organizzazione comprende numerosi uffici e servizi di segretariato, in cui si contano, con competenze differenti, oltre 150 impiegati. Il più grande gruppo di rappresentanza delle associazioni consumeriste europee è il Bureau of Consumer Association (BCA), al cui interno lavorano sette impiegati, impegnati su tutte le campagne promosse dal gruppo.

Il terzo dei fattori individuati in precedenza è rappresentato dalla cosiddetta pivotal

position, non è altro che la capacità di un gruppo di condizionare una fase determinante

del processo politico. Secondo Keeler (1996) e Patterson (1997) una delle spiegazioni della debolezza del pacchetto di riforma del 1988 risiede nel ruolo svolto dalla principale organizzazione agricola tedesca la DBV (Deutscher Bauernverband), la quale storicamente vicina all’unione di centro destra cristiano democratica (CDU), all’epoca al governo, scambiò il voto “agricolo” di due land particolarmente importanti il Baden Wurttemburg e lo Schleswig – Holstein.

Un elemento di grande interesse ai fini della nostra indagine, è la netta affiliazione partitica che accomuna la gran parte delle rappresentanze agricole europee e non. Per quanto concerne la rappresentanza partitica in senso stretto, tradizionalmente l’elettorato agricolo e rurale ha rappresentato il bacino di utenza dei partiti conservatori o cattolico moderati (Lizzi, 2002). Tali considerazioni si rivelano estremamente rilevanti, come mostrato da Keeler (1996) e Patterson (1997), e rappresenteranno un elemento chiave per l’interpretazione del strategie perseguite da alcuni paesi, e dal loro effetto sull’esito delle negoziazioni.

Tab. 3.6. Preferenze politiche degli agricoltori e della popolazione europea

Orientamento politico Agricoltori (in %) Opinione pubblica in generale (in %)

Estrema sinistra 5 7 Sinistra 11 21 Centro 36 35 Destra 20 17 Estrema destra 9 5 Nessuna risposta 19 15

Fonte: Van der Zee, 1993.

E’ stato già visto nel corso della rassegna teorica come nel suo storico contributo (Olson, 1983) sulla logica dell’azione collettiva, Olson assume che pur avendo una considerevole influenza, un gruppo potrebbe agire in realtà allontanandosi dalle possibilità di raggiungimento di quegli stessi scopi condivisi. L’impedimento nascerebbe dal configurarsi del problema di free riding. Un individuo partecipa e supporta l’azione collettiva solo nel caso in cui il suo guadagno netto da tale partecipazione è maggiore del costo opportunità che deriva dal prenderne parte, in altri termini, quantificando i benefici moltiplicati per le chance di successo meno i costi. Olson (1983) offriva due possibili spiegazioni all’elevata mobilizzazione degli interessi agricoli: gli incentivi selettivi e i gruppi privilegiati.

Gli “incentivi selettivi” cui fa riferimento Olson, sono alcuni obiettivi secondari dei gruppi di pressione, che rappresentano però incentivi particolarmente rilavanti per i potenziali aderenti al gruppo, anche qualora questi non abbiano interesse generale nell’adesione al gruppo stesso. L’autore suggerisce che le attività di pressione di

un’organizzazione sindacale di grandi dimensioni non costituiscono un incentivo tale da condurre individui razionali ad associarsi all’organizzazione, anche qualora essi fossero completamente d’accordo con le sue politiche. Gruppi di grandi dimensioni, pertanto devono necessariamente trarre la loro forza in quanto sottoprodotto di certe politiche. Ad esempio, i sindacati agricoli offrono polizze di assicurazione o piani pensionistici, ma in realtà gli iscritti mostrano “interessi selettivi” verso la gestione, anch’essa operata dalle rappresentanze sindacali, di pratiche burocratiche necessarie per avviare la richiesta di contributi specifici. Un’ipotesi di questo genere, configurerebbe anche un interesse intrinseco delle organizzazioni dei produttori a premere per una PAC più burocratizzata, al fine di rafforzare la propria rappresentanza49.

Alcuni studiosi (Elliott e Heath, 2000) ed appunto lo stesso Olson, indicano una delle ragioni dell’exceptionalism agricolo cui si faceva riferimento in precedenza50, nella

presenza tra gli agricoltori di gruppi privilegiati. L’ipotesi muove dalla considerazione che il 20% dei “produttori agricoli” europei riceve l’80% dei sussidi. Ciò che ne deriverebbe è che la sproporzione nell’allocazione dei benefici potrebbe funzionare come un incentivo per un gruppo, per così dire elitario di agricoltori, per promuovere attività di lobbyng in difesa della PAC, in difesa della maggioranza. Nedegaard (1995) a tal proposito evidenziava come molti rappresentanti del COPA risultavano proprietari di aziende di notevoli dimensioni e che vi era una correlazione positiva tra dimensione delle imprese e posizione ricoperta dai membri all’interno del movimento.

Tuttavia, la farming elites non rappresenta che una frazione, peraltro minoritaria

dell’intera lobby agricola, la probabilità che il contributo marginale di un singolo agricoltore all’azione possa accrescere le possibilità di successo in misura sufficiente da garantire l’investimento di risorse nella partecipazione risulta scarsa. Un’altra considerazione di una qualche rilevanza, è relativa al fatto che si assume che le piccole aziende sfrutteranno le grandi, perché l’incentivo al free riding incoraggerebbe a sostenere lo svantaggio legato alla minore quantità di incentivo (il 20%) pur di evitare di perdere un ammontare maggiore, nel caso in cui l’azione collettiva non venga intrapresa. Ponendo l’esempio in termini di teoria dei giochi, sarebbe come dire che la priorità di tutti i giocatori (gli agricoltori) potrebbero essere le seguenti: la situazione preferibile è

49

Cfr. paragrafo 3.5.4. 50 Vedi paragrafo 3.4.3.

che “gli altri contribuiscano e io no”, oppure che “tutti partecipiamo all’azione”, oppure che “io partecipi e gli altri no”, infine, che “nessuno partecipi all’azione collettiva”. In un gioco ripetuto, l’esperienza suggerirebbe che la situazione di equilibrio è quella in cui i “percettori del 20%” hanno un incentivo a partecipare all’azione, anche se “qualcun altro prenderà l’80%” (Olson, 1986).

Un’altra questione di primissimo piano nel considerare le peculiarità dell’azione lobbistica, risiede nella distribuzione dei benefici legati all’azione di lobbyng stessa (Olson, 1983). La PAC rappresenta un contesto nel quale i costi sono fortemente dispersi, il sostegno via mercato accordato per oltre trent’anni è stato in larga misura pagato dai consumatori; e i benefici altamente concentrati. In questo senso, diviene molto elevato l’incentivo alla partecipazione all’azione collettiva. Becker (1983) nota come il successo politico di un gruppo nasca dal rapporto dimensionale tra il gruppo che paga i sussidi e quello che dei sussidi beneficerà, in un contesto come quello agricolo una grande maggioranza paga un piccolo gruppo, nella storia della PAC evidentemente permaneva una capacità di rappresentanza nettamente sbilanciata in favore della lobby agricola.

I benefici della PAC conseguiti da una piccola minoranza e la contribuzione di una vasta maggioranza, peraltro inconsapevole51, davano ai produttori notevoli incentivi alla

difesa dei propri benefici che ai consumatori la forza per chiederne l’abolizione. Pur essendo forse un po’ datata la tabella 4.7 mostra come l’incentivo a partecipare all’azione collettiva fosse quasi dieci volte maggiore per la lobby agricola che per l’insieme dei contribuenti/consumatori.

Tab. 3.7. L’impatto previsto della liberalizzazione della PAC

Guadagno per consumatori/contribuenti

(calcolato in ECU per occupato) + 0,655

Guadagno per settore primario

(calcolato in ECU per occupato agricolo) - 6,248

Rapporto 9,5:1

Fonte: Tarditi S. (1986).

51

Una delle ragioni del successo del tradizionale paradigma di intervento della PAC, risiede proprio nella non trasparenza del sostegno via mercato.