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Alla ricerca di una possibile chiave di lettura delle scelte degli SM

Conclusioni della Presidenza [SN 300/02, 2002] (decisioni sulla dotazione finanziaria al 2013)

1.6. Alla ricerca di una possibile chiave di lettura delle scelte degli SM

Il quadro, probabilmente un po’ caotico, fin qui descritto consente di fare alcune prime riflessioni sull’implementazione della Riforma Fischler in Europa. Diversi studiosi (Frascarelli 2005, Henke 2004) hanno evidenziato come l’ampia discrezionalità lasciata

agli SM dalla recente Riforma abbia condotto alla formulazione di una “Pac à la carte”. Ciascun paese ha disegnato un proprio modello di sostegno, per cui ogni stato avrebbe la sua PAC. Con riferimento alle singole scelte attuative questo è sicuramente vero, ma il tentativo che in questa sede si vorrebbe fare è di procedere ad una prima classificazione delle posizioni degli SM rispetto alla Riforma stessa, in una visione d’insieme che pur sacrificando parzialmente l’eterogeneità delle singole opzioni applicative, consenta una lettura “macro” di quelli che diventano “i” modelli di sostegno applicati in Europa.

Ad un primo sguardo, quella che si evidenzia è una certa dicotomia tra i paesi mediterranei, generalmente allineati su posizioni più conservatrici e quelli continentali che sperimentano modelli di sostegno disaccoppiati dalla produzione e regionalizzati, pur se all’interno di un ventaglio abbastanza composito di scelte. Ricapitolando, i paesi storicamente difensori della “vecchia” PAC sembrano aver applicato un modello di implementazione della riforma che va nella direzione del mantenimento del sostegno più tradizionale. Tra questi hanno posizioni più o meno omogenee tra loro Francia, Spagna, Portogallo e Grecia che scelgono oltre al sistema storico, il disaccoppiamento parziale in quasi tutte le forme possibili, sia per le produzioni animali che vegetali. Nella stessa direzione, si muovono anche Olanda e Austria che attuano il modello su base storica e usufruiscono di gran parte delle opzioni di disaccoppiamento parziale previste per il comparto zootecnico.

Dall’altra parte, si situano alcuni paesi dell’Europa Centro Settentrionale, Danimarca, Germania e Finlandia che attuano un modello di regionalizzazione ibrido dinamico, ma scelgono gradi disaccoppiamento differenti, la Germania opta per il disaccoppiamento totale, Danimarca e Finlandia invece mantengono accoppiati alcuni pagamenti per le produzioni animali. Sempre nell’ambito di scelte per così dire “radicali” di superamento dei tradizionali strumenti di sostegno del I pilastro, si muovo il Lussemburgo e la Svezia, entrambi optano per un modello ibrido statico e per pagamenti integralmente disaccoppiati26.

Per così dire “nel mezzo”, si collocano Italia e Irlanda che bocciano la regionalizzazione, attuano il modello storico e disaccoppiano integralmente. Oltre al Belgio che attua il modello storico e si avvale di alcune opzioni di disaccoppiamento parziale per la zootecnia, pur applicando la regionalizzazione.

Il Regno Unito potremmo dire diviene un caso “isolato”, con una scelta che si differenzia nettamente dal contesto europeo, avendo attuato il disaccoppiamento totale e applicato un modello di regionalizzazione, nel cui ambito le 4 regioni attuano scelte segnatamente differenti: il modello storico in Scozia e Galles, il sistema ibrido dinamico in Inghilterra (a sua volta divisa in tre aree) e quello ibrido dinamico in Irlanda del Nord.

Già in questa fase preliminare risulta evidente come le scelte di implementazione nazionale effettuate dagli SM si collochino entro un ventaglio relativamente ristretto. Nella misura in cui, nessun paese ha attuato la “regionalizzazione pura”, e la gran parte degli Stati abbiano optato per modelli su base storica, con l’eccezione del Regno Unito, della Germania, e dei paesi dell’Europa Centro Settentrionale che hanno attuato modelli ibridi. Per quanto concerne il disaccoppiamento parziale, pochi Stati (Italia, Lussemburgo, Germania, Regno Unito, Irlanda) hanno attuato il disaccoppiamento totale, spesso smentendo gli orientamenti mostrati nel corso del processo negoziale. La stessa opzione offerta dall’art. 69, che si configurava come uno strumento particolarmente interessante per procedere ad una redistribuzione “selettiva” del sostegno è stato sfruttato da pochi Stati e con un disegno di formulazione assai limitato.

A questo punto, l’interrogativo che forse vale la pena porsi è se sia possibile individuare una chiave di lettura delle scelte di implementazione della Riforma Fischler nell’UE – 15. Ebbene, il tentativo che in questa prima fase dello studio si vuole fare è di guardare ai modelli di sostegno introdotti dai Quindici con la recente Riforma sotto una duplice prospettiva. Nell’ambito della “rinazionalizzazione” della PAC cui si assiste, ciascun paese ha individuato propri modelli di formulazione e gestione delle politiche agricole, effettuando scelte dettate dalle specificità strutturali del proprio assetto produttivo, ma che sono state condizionate, e in qualche misura orientate, dalle spinte nazionali rispetto alle questioni finanziarie e ai numerosi temi negoziali interni alla cornice comunitaria. E’ in questa duplice prospettiva che di seguito si proverà a “leggere” le scelte di implementazione della Riforma Fischler nell’UE – 15.

Il contesto agricolo europeo presenta caratteristiche profondamente eterogenee tra paesi. Tali disparità dipendono da numerosi fattori, che vanno dall’importanza economica e occupazionale dell’agricoltura dei singoli SM, all’utilizzo delle risorse e del suolo; dalle peculiarità delle strutture aziendali all’interno del settore primario, ai suoi rapporti con i settori a monte e a valle. In questo quadro, si modifica il ruolo stesso

assegnato al comparto agricolo. Si va dalla funzione eminentemente produttivistica dell’agricoltura francese e spagnola, e probabilmente mediterranea in generale, a quello invece più strettamente ambientale e di mantenimento delle aree rurali in alcuni paesi continentali. In entrambi i casi varia anche la funzione sociale che il settore primario sarebbe chiamato a svolgere, legata più strettamente alla stabilizzazione dei redditi e dell’occupazione nel primo caso, di salvaguardia delle popolazioni delle aree interne nel secondo.

Guardando alle caratteristiche del settore primario la tab. 3 riassume alcuni indicatori. Oltre alla contribuzione del comparto agricolo al PIL e alla quota di occupati agricoli sul totale, è rapidamente presa in esame la struttura delle aziende agricole per classi di dimensione. E’ evidente la dicotomia cui si è fatto riferimento in precedenza tra paesi mediterranei e continentali. In questa sede, potrebbe essere utile il quadro di sintesi offerto da Thurston (2002), che individua sostanzialmente tre tipologie di agricoltura all’interno dell’UE – 15. In quella che viene definita “commerciale” ricadono paesi come la Danimarca e l’Olanda e più parzialmente Belgio e Regno Unito, caratterizzata da strutture agricole di ampie dimensioni, fortemente capitalizzate e condotte con metodi di produzione intensivi, con aziende fortemente orientate al mercato.

Un’agricoltura invece vicina all’ambiente e attenta allo sviluppo delle aree rurali, sarebbe peculiare di paesi nordici come Svezia e Finlandia, dove l’attenzione alla protezione ambientale, accompagnata da elevati livelli di regolamentazione, mirano a sostenere un’agricoltura con una funzione scarsamente produttivistica, ma orientata alla protezione del paesaggio agrario ed alla conservazione della biodiversità. L’agricoltura dei paesi mediterranei sarebbe invece caratterizzata da strutture agricole di piccole dimensioni, non sempre in grado di competere sul mercato, condotte con tecniche tradizionali, frequentemente estensive. In questi paesi l’agricoltura sostanzialmente multifunzionale, avrebbe un ruolo chiave per la tutela delle aree rurali. In posizioni intermedie si collocherebbero paesi come Germania, a metà fra la connotazione ambientale ed un’agricoltura più tradizionale, e Francia divisa invece tra l’agricoltura multifunzionale delle aree interne e quella invece a matrice fortemente produttivistica di alcuni settori.

Tab. 1.5. Alcuni indicatori agricoli nell’UE - 15 (2003). 0 - 5 ha 5 - 10 ha 10 - 20 ha 20 - 50 ha > 50 ha Totale (%) (%) (%) (%) (%) (valore assoluto x 1000) Belgio 1,0 4,3 28,0 13,2 16,1 27,8 14,9 54,9 Danimarca 2,1 3,7 3,7 16,5 18,2 26,3 35,5 48,6 Germania 0,8 2,5 23,6 14,6 18,7 22,8 20,3 412,3 Grecia 6,5 15,8 76,8 13,3 6,4 2,9 0,5 817,1 Spagna 3,4 5,9 57,5 14,9 11,0 8,9 7,8 1.287,4 Francia 2,1 4,1 27,6 9,3 10,4 19,8 32,9 614,0 Irlanda 3,6 7,9 7,7 11,9 24,2 38,2 18,0 135,3 Italia 2,3 4,9 78,3 10,1 6,0 3,8 1,7 2.153,7 Lussemburgo 0,6 2,3 19,6 8,9 7,8 17,8 45,8 2,5 Olanda 2,0 2,9 29,6 14,2 15,9 28,1 12,2 85,5 Austria 1,2 5,7 36,4 19,1 22,4 17,6 4,5 199,5 Portogallo 2,8 12,5 78,8 10,1 5,5 3,1 2,4 416,0 Finlandia 1,2 5,5 9,9 12,9 23,5 37,2 16,5 75,0 Svezia 0,6 2,5 10,4 15,1 20,1 26,0 28,4 67,9 Regno Unito 0,7 1,4 36,9 9,6 10,6 16,0 26,9 280,6 UE 15 1,6 3,1 57,6 12,3 10,2 10,9 8,9 6.770,7 Paesi Contribuzione agricola al PIL (2003) Quota dell'impiego agricolo sull'occupazione totale (2003)

Aziende per classe di dimensione economica (2003)

Fonte: Inea e Commissione Europea. I dati di Italia, Spagna Austria e Portogallo per le strutture agricole

sono del 2000.

Le scelte attuative di implementazione della recente riforma della PAC si inseriscono nel quadro degli orientamenti dei paesi rispetto alle politiche agricole di ciascun Stato, che a loro volta nascerebbero dalle peculiarità dei singoli contesti nazionali, ma anche dalla posizione dei singoli SM rispetto alla scena istituzionale europea. Il riferimento è in primo luogo alle implicazioni rispetto al bilancio comunitario. Nella tabella che segue sono considerati alcuni dati relativi alla produzione agricola dei paesi membri unitamente alla loro posizione contributiva rispetto all’intero bilancio europeo e alla quota di ripartizione dei fondi del Feoga Garanzia tra paesi. I beneficiari netti della PAC sono la Spagna, la Francia, la Grecia e l’Irlanda, in misura nettamente inferiore il Belgio, il Portogallo, l’Austria e la Finlandia. I contributori netti al bilancio europeo sono in primo luogo la Germania e a seguire con quote segnatamente inferiori l’Italia, l’Olanda, il Regno Unito, la Danimarca, il Lussemburgo e la Svezia.

Ciò che si evince, almeno in prima analisi, è che l’implementazione della Riforma segue sostanzialmente due direzioni. I modelli di sostegno e le caratteristiche stessa degli strumenti adottati sembrano seguire linee segnatamente difensive nel caso dei paesi mediterranei Francia e Spagna in testa. Questi stessi Stati sono peraltro storicamente difensori della PAC tradizionale.

Fig. 1.5. Tipologie di agricoltura in Europa.

Fonte: Thurston, 2002.

Dall’altra parte si allineano i paesi dell’Europa Centro settentrionale con modelli tendenzialmente orientati al mercato, paesi generalmente favorevoli ad una riforma più radicale della PAC. Nel mezzo si situano alcuni stati che hanno attuato modelli di sostegno per così dire intermedi tra le posizioni cui si faceva riferimento. Questa prima analisi, pur nei limiti di cui soffre, pone alcune basi per una riflessione più approfondita sull’evoluzione futura del sostegno all’agricoltura comunitaria. Storicamente l’evoluzione della PAC è stata condizionata dagli interessi delle “agricolture forti” e dai paesi

continentali, questi ultimi, tra i maggiori contribuenti al bilancio hanno avuto nella politica agricola uno strumento che ha consentito loro di far rientrare, almeno in parte, le risorse finanziare destinate all’Unione. Ad oggi, sembra che gli strumenti di sostegno attuati in questi stessi paesi vadano nella direzione, di un lento, graduale, riorientamento degli obiettivi, ma anche verso una riformulazione degli strumenti. In direzione opposta, la carica inerziale del processo di riforma della PAC, si afferma attraverso i modelli di sostegno attuati nei paesi mediterranei, che sembrano avere una connotazione più conservatrice del sostegno tradizionale via I pilastro.