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Le modifiche apportate alla fattispecie: mediante la Legge

La fattispecie di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di

utilità” è stata, innanzitutto, novellata ad opera della Legge 28 dicembre

2005, n. 262. Per il tramite di tale intervento legislativo, sono stati, da un lato, ricompresi, all’interno della platea dei soggetti attivi, i “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili” e, dall’altro lato, è stata introdotta, al terzo comma, una circostanza aggravante ad effetto speciale.

L’inclusione tra i possibili soggetti attivi dei “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili”285 è stata giudicata “coerente con le sfere di attribuzione conferite a tale nuova categoria di soggetti dalla Legge per la tutela del risparmio, che li espone a possibili indebite collusioni con soggetti esterni alla compagine societaria”. Non sono, però, mancate prese di posizioni di segno opposto, fondate sul timore che l’estensione della punibilità al “dirigente contabile” si potesse tradurre nell’istituzione di un comodo “capro espiatorio”286.

Anche in questo caso, la dottrina prevalente riteneva potesse trovare applicazione l’art. 2639 C.c.. Per “dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili” si doveva, pertanto, intendere non solo chi ricopra tale qualifica, all’interno delle società quotate in mercati regolamentati, in forza dell’art. 154 bis T.u.f., bensì, anche chi, in via di fatto o con un diverso nomen iuris, sia investito delle stesse funzioni e degli stessi obblighi che gravano sui “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili287.

Per il tramite dell’art. 39, comma 2, lettera B della Legge n. 262/2005, è stato aggiunto un terzo comma all’art. 2635 C.c., il quale prevedeva un’aggravante ad effetto speciale (raddoppio della sanzione

285 Avvenuta in virtù dell’art. 15, comma 1, lettera B della Legge n. 262/2005 286 E.LA ROSA, Op.cit., pag. 229, la citazione è tratta da L.FOFFANI, Società, in AA.VV., Commentario breve alle leggi penali complementari, cit. pag. 2534

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ordinariamente prevista) nel caso in cui il corrotto ricoprisse le qualifiche menzionate al primo comma all’interno di una “società con

titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni”. L’introduzione di tale aggravante ad effetto

speciale, doveva essere collegata alla specifica rilevanza, nel mercato finanziario, degli emittenti quotati e di quelli a loro assimilabili: essa appariva idonea a conferire maggiore gravità ai reati commessi al loro interno dai soggetti qualificati288.

8. … e il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39

Come anticipato289, la previsione, nel novero dei possibili soggetti attivi, dei “responsabili della revisione”, aveva dato luogo ad alcune perplessità. Mediante il D.Lgs. 39/2010290, il legislatore è, quindi, intervenuto, provvedendo ad espungere, dall’art. 2635 C.c., il riferimento ai “responsabili della revisione”, quali possibili soggetti attivi del reato. Al contempo, il legislatore ha provveduto a creare una norma ad hoc per i revisori.

L’art. 28 del D.Lgs. 39/2010, specificamente dedicato alla “Corruzione dei revisori”, dispone, infatti, che: “I responsabili della

revisione legale, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione agli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l’utilità. // Il responsabile della revisione legale e i componenti

288 S.SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, fasc. 1, 2013, pag. 67

289 Supra, capitolo IV, paragrafo 6.2

290 Il D.Lgs. 39/2010 è stato adottato ai sensi della delega legislativa contenuta nella Legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008): il fine perseguito si sostanziava nel dare attuazione alla Direttiva 2006/43/CE, relativa alla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati.

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dell’organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti della società di revisione legale, i quali, nell’esercizio della revisione legale dei conti degli enti di interesse pubblico e delle società da queste controllate, fuori dei casi previsti dall’articolo 30, per denaro o altra utilità data o promessa, compiono od omettono atti in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette l’utilità. // Si procede d’ufficio.”.

Tale norma è stata, sostanzialmente, strutturata sulla falsariga dell’art. 2635 C.c., così come formulato dal legislatore del 2002. Rispetto ad esso si differenziava, in generale, per la procedibilità d’ufficio. Nel caso in cui la revisione riguardasse enti di interesse pubblico, erano ravvisabili due ulteriori differenze: la mancanza del riferimento di tipo patrimonialistico nonché l’inasprimento del trattamento sanzionatorio291.

9. La limitatissima applicazione giurisprudenziale della fattispecie di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”

La giurisprudenza in tema di “Infedeltà a seguito di dazione o

promessa di utilità” appare decisamente scarna. Si registrano, infatti

poche pronunce292 afferenti, peraltro, alla medesima vicenda fattuale. La vicenda in questione risale agli inizi del 2003. M., dirigente con delega alla gestione ordinaria di tesoreria di una nota società multinazionale (la D. S.p.A), quotata in Borsa valori di Milano, ottiene, in virtù della fiducia che i vertici aziendali nutrivano nelle sue competenze in ambito finanziario, una nuova procura, estesa al compimento di atti di straordinaria amministrazione. Nell’ambito di tali ultimi atti rientrava, in particolare, la stipulazione di contratti derivati

291 G.MAZZOTTA, Op.cit., pag. 8-9

292 Cfr. Trib. Udine, 6 giugno 2013; Cass. pen.,sez V, 13 novembre 2012, n. 5848 di annullamento parziale con rinvio della sentenza del Trib. lib. Milano, 25 luglio 2012; Cass. pen., sez.V, 13 novembre 2012, nn. 14765 e 14766

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della tipologia I.R.S. (Interest Rate Swaps)293. Benché formalmente affiancato da altri dirigenti, mediante l’obbligo di firma congiunta, la prassi, ormai consolidatasi, e le alte competenze specialistiche dallo stesso dimostrate, rendevano M., di fatto, l’unico vero titolare del potere gestorio nei rapporti con gli istituti di credito. È in questo scenario che devono essere inquadrate le vicende illecite contestate ad M., avvenute nel triennio 2003-2006. Il dirigente in questione, per conto di D. S.p.A., venne coinvolto nelle trame di una complessa frode ordita dai vertici di una nota banca milanese, già condannati in via definitiva dalla Corte d’Appello di Milano294 per concorso in “appropriazione indebita”. Il meccanismo fraudolento prevedeva l’interposizione di un mediatore fittizio nell’ambito della stipulazione dei contratti derivati, tra la D. S.p.A. e l’istituto di credito. La provvigione che risultava spettare indebitamente al mediatore fittizio, veniva di seguito spartita tra i componenti del pactum sceleris.

Occorre considerare che, di regola, gli strumenti finanziari conclusi dalla D. S.p.A. svolgevano una funzione unicamente “di copertura”: erano volti a neutralizzare i rischi connessi al deprezzamento di determinati parametri di riferimento, quali i cambi o gli interessi. Al contrario, la finalità di profitto, chiaramente perseguita da M., conduceva quest’ultimo alla stipulazione di accordi altamente aleatori di tipo “promozionale” o “speculativo”. Questo perché all’aumento del valore dell’affare, corrispondeva un sensibile incremento della provvigione dovuta al fittizio intermediatore.

293 Si tratta di accordi di natura aleatoria, i quali “derivano” il proprio valore da un parametro sottostante. Essi possono essere conclusi per due diverse finalità: di copertura ovvero promozionali. Nel primo caso, il contratto è utilizzato per neutralizzare i rischi connessi al deprezzamento del parametro di riferimento, rinunciando al contempo ad eventuali vantaggi in caso di andamento favorevole dell’impresa sottoscrittrice: l’effetto è quello di rendere certo un flusso tipicamente incerto. Nel secondo caso, la sottoscrizione dello strumento finanziario è utilizzata per assumere una posizione di rischio, al fine di perseguire finalità di profitto: gli esiti possono attestarsi, al contempo, in importanti profitti o ingenti perdite.

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Avvedutasi della frode, la D. S.p.A. procedette a sciogliere, in via transattiva, i menzionati rapporti contrattuali. Alla fine risulterà essere debitrice della banca per un totale di € 18.500.000. Tale somma risultava, sicuramente, qualificabile alla stregua di un danno patrimoniale, cagionato dall’operazione alla società295.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine, provvide a contestare ad M., in via alternativa, i reati di “Infedeltà patrimoniale” e di “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”. Nel caso di specie, la mancanza di un diretto interesse dell’imputato nell’istituto bancario296, orientò il collegio giudicante a non inquadrare le operazioni contestate nell’alveo della fattispecie di “Infedeltà patrimoniale”, bensì nell’alveo della fattispecie ex art. 2635 C.c.. Era, infatti, presente un sinallagma corruttivo: la stipulazione, da parte dell’imputato, di contratti derivati altamente aleatori in pregiudizio della società, a fronte della promessa di un compenso, pari ad una percentuale della provvigione apparentemente spettante al mediatore fittizio297. Mancava, altresì, la volontà diretta, dell’imputato, di danneggiare la società di appartenenza298; anzi, la consistente liquidità della società consentiva di reiterare il meccanismo fraudolento, così da massimizzare i profitti individuali. Tutt’al più, in capo all’imputato, era ravvisabile un “dolo eventuale”. In virtù della sua elevata competenza finanziaria, M. si era, infatti, ben rappresentato la potenziale dannosità delle operazioni intraprese ma ciò nonostante, aveva deciso di stipulare anche quei contratti derivati fortemente aleatori, i quali, poi, effettivamente si sono concretizzati in un danno patrimoniale di ingente portata. Tutto questo

295 Per la ricostruzione del caso si è fatto riferimento a L.ZOLI, Disfunzioni applicative dell’art. 2635 C.c. Tra vecchia e nuova formulazione della “corruzione tra privati” – Nota a Trib. Udine, 6 giugno 2013 (dep. 12 settembre 2013), Pres. Missera, Est. Carlisi, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 3-4, 2014, pag. 422-423

296 Di fatto, mancava la prova di una situazione di conflitto di interessi “effettivo ed attuale”.

297 L.ZOLI, Op.cit., pag. 424-425

298 A differenza dell’art. 2635 C.c., che si limita a richiede un dolo “generico”, l’art. 2634 C.c. richiede, viceversa, un dolo “intenzionale”.

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perché, come è facilmente intuibile, “il criterio che animava M. nella scelta dei contratti non era quello del miglior interesse per la D. S.p.A., ma evidentemente quello della massimizzazione dei guadagni”299.

Il caso ora esaminato è stato l’unico in relazione al quale si sia giunti ad una sentenza di condanna ex art. 2635 C.c.. Le ragioni della scarsa applicazione giurisprudenziale della fattispecie erano da ascrivere alle caratteristiche intrinseche della stessa. Anzitutto, la rilevanza penale delle sole condotte illecite avvenute nel ristretto ambito delle società commerciali, e non anche di quelle realizzatesi all’interno di qualsiasi entità di diritto privato, a scopo o senza scopo di lucro. In secondo luogo, la previsione di un nocumento alla società, quale evento tipico necessario per il perfezionamento del reato: la difficoltà probatoria circa l’effettiva verificazione di tale nocumento ha, sicuramente, contribuito a determinare una limitata portata applicativa della fattispecie. Il maggior ostacolo all’applicazione della fattispecie, era, però, senz’altro, individuabile nella previsione della procedibilità a querela della persona offesa. La decisione di rimettere alla società la scelta se sporgere o meno querela, ha ridotto, sensibilmente, le concrete possibilità che il delitto potesse venire portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria. Non di rado, infatti, in ambito societario innescare una vicenda giudiziaria può contribuire ad ampliare lo spettro delle perdite, ad esempio di natura reputazionale. La società potrebbe, quindi, ritenere più opportuno non rendere di pubblico dominio i fatti illeciti avvenuti all’interno della stessa300; preferendo, viceversa, risolvere i rapporti con i dipendenti corrotti attraverso accordi stragiudiziali301. A tutto ciò si dovevano aggiungere, anche, limiti di natura “processuale”. Da un lato, i limiti edittali non consentivano l’utilizzo di strumenti investigativi, quali le intercettazioni telefoniche, ovvero la richiesta di misure cautelari

299 L.ZOLI, Op.cit., pag. 425 300 L.ZOLI, Op.cit., pag. 428-429

301 S.SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, fasc. 1, 2013, pag. 66

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personali, dall’altro lato, era sempre in agguato la “mannaia” della prescrizione302.

10. La mancata attuazione della Decisione quadro 2003/568/GAI,