5. Modello onnicomprensivo nell’esperienza svedese
5.2 Ordinamento penale svedese
Per il legislatore svedese la corruzione finisce per mettere in gioco, sempre e comunque, interessi pubblici o, quantomeno, di rilevanza pubblica. Per il tramite del combinato disposto dei Cap. 17, sez. 7 e 20 sez. 2 del Codice penale, il legislatore ha voluto porre l’accento - oltre che sulla responsabilità dei pubblici agenti - anche sulla responsabilità che le imprese private hanno nei riguardi degli individui e della società nel suo complesso. Se, da un punto di vista pubblico, le norme sulla
117 E.LA ROSA, Op.cit., pag. 38 118 E.LA ROSA, Op.cit., pag. 39
64
corruzione mirano ad assolvere alla funzione di garantire un “un corretto sistema di adempimento degli incarichi e delle transazioni”, nonché la
stabilità del sistema democratico; dal punto di vista privato, esse mirano
ad assicurare il regolare funzionamento del mercato119.
Analizzando le norme del Codice penale svedese relative alla corruzione, si nota come la cerchia dei possibili soggetti attivi del reato sia particolarmente ampia, ricomprendendo una molteplicità di soggetti: si va dal singolo dipendente comunale al ministro, dall’ambasciatore al funzionario dell’Unione Europea, dal manager d’impresa a colui che offre una prestazione a carattere tecnico o un’attività di consulenza a vantaggio di un’impresa, ecc. Per quanto riguarda le condotte punite, esse sono individuabili nel classico scambio illecito, ovvero nel do ut
des tra soggetto qualificato ed estraneo. La condotta è, però, incentrata
esclusivamente sullo scambio tra utilità ed esercizio “generico” dei doveri inerenti l’ufficio o l’incarico di cui il soggetto è titolare: non si fa, pertanto, alcun riferimento al compimento o all’omissione di uno specifico atto120.
A ben guardare, anche nell’ordinamento svedese, è ravvisabile una differenza tra corruzione pubblica e privata. Tale differenza si palesa sul piano formale e riguarda, segnatamente, il diverso regime di procedibilità: mentre la corruzione pubblica è procedibile d’ufficio, quella privata è procedibile a querela di parte. Tutto ciò non deve però trarre in inganno poiché, in base alla legislazione svedese, anche in caso di “corruzione privata” è possibile procedere d’ufficio quando vi sia un particolare interesse pubblico121.
Questo è quanto prevede il diritto positivo svedese: una sostanziale equiparazione tra i fatti di “corruzione pubblica” a quelli di “corruzione privata”. In realtà, la giurisprudenza, in sede applicativa, torna a
119 E.LA ROSA, Op.cit., pag. 40 la citazione è di M.LEIJONHUFVUD, Sweden, pag. 140
120 E.LA ROSA, Op.cit., pag. 40 121 E.LA ROSA, Ibidem
65
distinguere tra le due forme corruttive: essa, infatti, interpreta la fattispecie in maniera più rigorosa ed estensiva quando il fatto coinvolge soggetti operanti nel settore pubblico, in special modo nell’ambito delle Autorità pubbliche.
Occorre, altresì, sottolineare il fatto che le norme del Codice penale svedese, relative alla corruzione, hanno, nel tempo, trovato scarsa applicazione nell’alveo del settore economico: esse sono state, infatti, applicate limitatamente ad episodi aventi una dimensione fortemente locale122.
66
CAPITOLO III
INTERVENTI INTERNAZIONALI E
SOVRANAZIONALI IN MATERIA DI
“CORRUZIONE PRIVATA”
SOMMARIO - 1. Il crescente intervento sovranazionale in tema di “corruzione privata”. - 2. Azione comune 98/742/GAI. - 3. Convenzione penale sulla corruzione (Convenzione di Strasburgo). - 4. Decisione quadro 2003/568/GAI. - 5. Convenzione di Merida.
1. Il crescente intervento sovranazionale in tema di “corruzione privata”
L’attenzione sovranazionale ed internazionale, in tema di corruzione, si è dapprima focalizzata sulla repressione della “corruzione pubblica”; solo in tempi più recenti - in particolare, a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso - essa si è concentrata sulla necessità di criminalizzare la “corruzione privata”.
Il primo intervento sovranazionale che si è occupato della necessità di sanzionare la corruzione inter privatos risale, infatti, al 1998: si tratta dell’Azione comune 98/742/GAI, adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 22 dicembre 1998; seguita a ruota dalla Convenzione penale
sulla corruzione - nota anche come Convenzione di Strasburgo - siglata
nell’omonima città francese - in seno al Consiglio d’Europa - il 27 gennaio 1999. Risale, invece, al 22 luglio 2003 la Decisione quadro
2003/568/GAI adottata, anch’essa coma l’Azione Comune 98/742/GAI,
che peraltro è andata a sostituire, dal Consiglio dell’Unione Europea. L’ultimo intervento a carattere internazionale, almeno per ora, in materia è rappresentato dalla Convenzione di Merida, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003.
67
Il crescente interessamento sovranazionale al fenomeno della “corruzione privata” è da ascrivere a diversi fenomeni: uno di questi è sicuramente rappresentato dal fatto che, tale particolare fenomeno corruttivo ha assunto, nel tempo, una dimensione transnazionale, tale da essere in grado di coinvolgere, potenzialmente, soggetti ed imprese appartenenti a Stati diversi. In secondo luogo, occorre sottolineare lo stretto collegamento tra il principio di libera circolazione delle merci e delle persone con l’esigenza di tutelare la concorrenza e il regolare funzionamento del mercato, alla base dei provvedimenti sopra menzionati123. La richiesta di criminalizzare la “corruzione privata” è stata, poi, utilizzata per stimolare i sistemi penali - degli Stati appartenenti all’Unione Europea - ad intervenire in settori specifici e di grande importanza politico-criminale, nel quadro di una più ampia strategia di contrasto alla criminalità organizzata124.
Tutto ciò si è, quindi, tradotto nell’adozione di direttrici politico- criminali di fonte sovranazionale, aventi come obiettivo il rafforzamento di una più ampia cooperazione internazionale, nonché di “stabilire una comune soglia di punibilità a livello internazionale ed un procedere in maniera coordinata dell’intera comunità internazionale”125.
2. Azione comune 98/742/GAI
L’ Azione comune 98/742/GAI, adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 22 dicembre 1998, ha rappresentato il primo provvedimento sovranazionale interamente dedicato alla “corruzione privata”. Scopo di detto provvedimento era quello di impegnare gli Stati membri dell’Unione Europea - entro due anni dalla sua entrata in vigore - ad
123 E. LA ROSA, Op.cit., pag. 53
124 V.MILITELLO, La corruzione tra privati e scelte di incriminazione: le incertezze del nuovo reato societario in AA.VV., La corruzione tra privati-esperienze comparatistiche e prospettive- di riforma, Giuffrè Editore, 2003, pag. 360
125D.PERRONE, L’introduzione nell’ordinamento italiano della fattispecie di corruzione privata: in attesa dell’attuazione della L.25 febbraio 2008, N.34, in Cass. pen.,fasc. 2, 2009, pag.772
68
intraprendere delle iniziative volte ad introdurre la punibilità della “corruzione privata” nei rispettivi sistemi penali.
L’“Azione comune” era uno strumento giuridico previsto dal titolo VI del Trattato dell’Unione Europea, nel testo vigente tra il 1993 e il 1999. Tale strumento giuridico venne, poi, soppresso ad opera dal Trattato di Amsterdam: ad esso sono subentrate le “Decisioni” e le “Decisioni quadro”. L’Azione comune aveva un’efficacia cogente piuttosto limitata: attraverso tale strumento venivano, infatti, individuati taluni obiettivi - dei quali si richiedeva il raggiungimento da parte dagli Stati membri - al contempo, veniva, però, lasciata a quest’ultimi la scelta circa le forme e i mezzi ritenuti maggiormente idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati. Mancava, inoltre, uno strumento giuridico - equiparabile alla “procedura di infrazione” - teso a sanzionare la mancata attuazione dell’Azione comune da parte dei singoli Stati: l’inadempimento di quest’ultimi finiva, così, per avere rilevanza più sul piano politico che su quello tecnico-giuridico126.
Come si poteva evincere dal quarto considerando dell’Azione
comune 98/742/GAI, lo scopo della criminalizzazione della “corruzione
privata” era la tutela della concorrenza leale. Il modello repressivo della corruzione inter privatos adottato da tale strumento era, quindi, quello
concorrenziale. Il considerando, sopra richiamato, recitava: “considerando che la corruzione falsa la concorrenza leale e
compromette i principi di apertura e di libertà dei mercati, in particolare il buon funzionamento del mercato interno, ed è contraria alla trasparenza e all’apertura del commercio internazionale”.
L’Azione comune, ora in esame, definiva sia la corruzione passiva
nel settore privato (art. 2), sia la corruzione attiva nel settore privato
(art. 3).
126 V.NAPOLEONI, Il “nuovo” delitto di corruzione tra privati in Legislazione penale, fasc. 3, 2013, pag. 672 nota 10 e E.LA ROSA, Op. cit., pag. 55
69
L’art. 2 n.1 definiva la corruzione passiva come “l’atto intenzionale
di una persona che, direttamente o per mezzo di terzi, richieda o riceva, nell’esercizio di attività imprenditoriali, vantaggi indebiti di qualsiasi natura, per sé stesso o per un terzo, o accetti la promessa di tali vantaggi, in cambio di realizzare o astenersi dal realizzare un atto violando i suoi doveri”.
Per definire il soggetto attivo (il “corrotto”) l’Azione comune utilizzava il termine “persona”. Tale circostanza poteva indurre a credere che ci trovassimo di fronte ad un “reato comune”. In realtà, tale presunzione era da considerarsi errata. La stessa norma, infatti, all’art. 1, si premurava di definire alcuni termini, tra i quali proprio quello in questione. Quest’ultimo veniva così definito: “qualsiasi dipendente o
altra persona, quando eserciti funzioni direttive o lavorative di qualsiasi tipo per una persona fisica o giuridica che operi nel settore privato o in suo nome”. Eravamo, pertanto, di fronte ad un “reato proprio”127.
Nella descrizione della condotta tipizzata, veniva utilizza la formula “direttamente o per mezzo di altri”. Verosimilmente, tale formula era stata adoperata per far fronte alla corruzione legata al crimine organizzato: si pensi, ad esempio, al caso paradigmatico del corrotto che ricorra alla costituzione di una società fantasma, per il tramite della quale riceva o richieda pagamenti illeciti, mascherati come contratti di consulenza128.
La richiesta o il recepimento di vantaggi, così come l’accettazione della promessa, dovevano avvenire “in cambio di realizzare o astenersi
dal realizzare un atto violando i (…) doveri”. Per individuare che cosa
si dovesse intendere con la nozione di “violazione dei doveri”, ci veniva, ancora una volta, in aiuto l’art. 1 dell’Azione comune in esame. Quest’ultimo affermava, infatti, che la nozione di “violazione di un
127 J.L. DE LA CUESTA ARZAMENDI, I. BLANCO CORDERO, La criminalizzazione della corruzione nel settore privato: aspetti sovranazionali e di diritto comparato in AA.VV., La corruzione tra privati-esperienze comparatistiche e prospettive- di riforma, Giuffrè Editore, 2003, pag. 52
70
dovere” doveva essere individuata alla luce del diritto nazionale: in ogni caso, essa doveva, però, “coprire almeno qualsiasi comportamento
sleale che costituisca una violazione di un’obbligazione legale, o se del caso, una violazione di normative professionali o di istruzioni professionali applicabili nell’ambito di un’attività di una “persona”, come definita nel primo capo”.
La condotta contraria ai propri doveri doveva essere posta in essere “nell’esercizio di attività imprenditoriali”. Nell’ambito di tale locuzione, si riteneva si dovessero ricomprendere le sole attività volte a perseguire finalità commerciali o economiche: attività, quindi, con scopo di lucro, e non anche attività non lucrative.
L’oggetto materiale era rappresentato dai “vantaggi indebiti”. Sul punto la normativa era poco chiara: essa, infatti, non provvedeva ad individuare una loro definizione. Quest’ultima era, quindi, lasciata ad ogni singolo Stato membro. Pertanto, in ultima istanza, spettava al singolo Paese decidere se ricomprendervi solo i vantaggi di natura economica ovvero anche i vantaggi immateriali: si pensi, ad esempio, a quelli di carattere sentimentale.
Dal punto di vista soggettivo, la condotta doveva essere
intenzionale: il dolo doveva, perciò, investire ogni elemento oggettivo.
Era rimessa ad ogni singolo Stato membro la decisione circa l’attribuzione o meno della rilevanza ai casi di dolo eventuale129.
Specularmente, l’art. 3 n.1 definiva la corruzione attiva come “l’azione intenzionale di colui che promette, offre o dà, direttamente o
per mezzo di terzi, un vantaggio indebito di qualsiasi natura ad una persona, per questi o per un terzo, nell’esercizio delle attività imprenditoriali di tale persona, affinché questa realizzi o astenga dal realizzare un atto violando i propri obblighi”. Anche in questo caso,
valgono le medesime precisazioni fatte, precedentemente, per la
corruzione passiva, alle quali, pertanto, si rimanda.
71
In base agli artt. 2 n. 2 e 3 n. 2 “ciascuno Stato membro adotterà le
misure necessarie per assicurare che le condotte alle quali si riferisce il comma 1 costituiscano un illecito penale. Queste misure si applicano almeno ai casi di condotte che comportino o possano comportare distorsioni di concorrenza come minimo nell’ambito del mercato comune e producano o possano produrre danni economici a terzi attraverso una non corretta aggiudicazione o una non corretta esecuzione di un contratto.”.
L’Azione comune non richiedeva, quindi, di tipizzare penalmente qualsivoglia condotta. Sempre in questa direzione, l’art. 4 richiedeva l’applicazione di sanzioni penali “effettive, proporzionate e dissuasive” limitatamente ai casi più gravi; esso prevedeva, inoltre, la possibilità di adottare sanzioni di natura diversa per i casi meno gravi di corruzione sia attiva che passiva.
L’Azione comune 98/742/GAI disciplinava, anche, la responsabilità
delle persone giuridiche: ad essa erano dedicati, segnatamente, gli artt.
5 e 6. Le persone giuridiche dovevano essere considerate responsabili degli atti di corruzione attiva commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona che ricoprisse, all’interno delle stesse, un incarico direttivo, foriero di poteri di rappresentanza, decisionali o di controllo. Al pari di quanto prescritto per le persone fisiche, anche le persone giuridiche dovevano essere destinatarie di sanzioni, effettive proporzionate e
dissuasive130.
L’Azione comune ora esaminata è stata, poi, abrogata ad opera della successiva Decisione quadro 2003/568/GAI.
3. Convenzione penale sulla corruzione (Convenzione di Strasburgo)
Un secondo intervento sovranazionale, in materia di “corruzione privata”, è ravvisabile nella Convenzione penale sulla corruzione,
72
adottata dal Consiglio d’Europa il 27 gennaio 1999 ed entrata in vigore il 1° luglio 2002. A differenza dell’Azione comune, tale Convenzione non riguarda esclusivamente la corruzione inter privatos: essa è, infatti, dedicata alla corruzione tout court. La Convenzione di Strasburgo rappresenta il punto di approdo di un lungo processo - promosso in seno al Consiglio d’Europa - diretto a rafforzare la lotta contro la corruzione in ogni ambito della vita economica, politica e sociale131.
Noi, ovviamente, limiteremo l’esame alle disposizioni inerenti la “corruzione privata”.
Così come l’Azione comune 98/742/GAI, anche la Convenzione di
Strasburgo si muove su un terreno di tutela di interessi di natura
pubblicistica: già nel preambolo si afferma, infatti, tra le altre cose, che la corruzione “falsa la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico”.
Alla “corruzione privata” sono, specificamente dedicati gli artt. 7 e 8. Il primo enuncia la corruzione attiva nel settore privato come il fatto “(…) commesso intenzionalmente, nell’ambito di una attività
commerciale, (…) di promettere, offrire o dare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito ad una persona che dirige o lavora in ente del settore privato, per sé stesso o per un terzo, affinché realizzi o si astenga dal realizzare un atto che violi i suoi doveri.”
Il campo di applicazione della fattispecie di “corruzione privata” viene limitato all’ambito delle “attività commerciali”: si escludono, di conseguenza, le attività con finalità non lucrative.
Il “corruttore” può essere una qualsiasi persona, agente a qualsiasi titolo (imprenditore, funzionario pubblico, a titolo puramente privato ecc.).
Benché i “vantaggi indebiti”, normalmente, abbiano carattere economico o finanziario, il Consiglio d’Europa non esclude - anzi ammette - che essi possano avere un carattere non materiale: ciò che rileva è che il soggetto veda migliorare la sua posizione rispetto al
73
momento anteriore al compimento dell’illecito. Il vantaggio deve essere, inoltre, qualificabile come indebito. Un vantaggio sarà qualificabile in termini siffatti allorquando il beneficiario non fosse stato legittimato ad accettarlo o riceverlo. Non saranno, viceversa, qualificabili come
indebiti i vantaggi ammessi dalla Legge, nonché i regali di scarso valore
e quelli socialmente accettati132.
I potenziali destinatari dei vantaggi indebiti vengono individuati dalla Convenzione nelle persone che “dirigono o lavorano per un ente
del settore privato”. Si tratta di una nozione molto ampia, idonea a
ricomprendere, al suo interno, una moltitudine di relazioni: dalla “classica” relazione imprenditore-lavoratore fino ad arrivare alla relazione nella quale non esiste alcun rapporto di lavoro, passando per la relazione fra soci o la relazione avvocato-cliente. L’espressione “ente
del settore privato” richiama le società, le imprese, le fondazioni e, più
in generale, tutti gli enti che siano controllati totalmente, o comunque in maniera determinante, da soggetti privati133.
I corrotti devono agire “violando i propri doveri”. L’espressione non allude esclusivamente al rispetto di obblighi contrattuali specifici, bensì, a più ampio raggio, è tesa a garantire che non si venga a violare il dovere generale di lealtà rispetto agli affari o agli interessi dell’imprenditore o mandante134.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, si richiede il dolo: la norma fa, infatti, riferimento ad un atto intenzionale.
L’art. 8 è dedicato alla corruzione passiva nel settore privato: essa è definita come “(…) il fatto commesso intenzionalmente, nell’ambito di
un’attività commerciale, (…) di sollecitare o di ricevere, da parte di una persona che lavora o dirige per un’entità del settore privato, direttamente o indirettamente, o per mezzo di terzi, un vantaggio
132 J.L. DE LA CUESTA ARZAMENDI, I. BLANCO CORDERO, Op.cit., pag. 46- 47
133 J.L. DE LA CUESTA ARZAMENDI, I. BLANCO CORDERO, Op.cit., pag. 48 134 J.L. DE LA CUESTA ARZAMENDI, I. BLANCO CORDERO, Op.cit., pag. 49
74
indebito, o di accettare l’offerta o la promessa, per sé stesso o per un terzo, per realizzare o astenersi dal realizzare un atto che violi i propri doveri.”. La “corruzione passiva” è, quindi, definita in maniera
speculare rispetto alla “corruzione attiva”: si rimanda, pertanto, alle precisazioni sopra esposte.
L’art 15 della Convenzione invita a sanzionare penalmente la
partecipazione e l’induzione alla commissione dei delitti di cui agli artt.
7 e 8.
L’ultimo articolo rilevante, ai nostri fini, è il 18°: dedicato alla
responsabilità delle persone giuridiche. Anche la Convenzione di Strasburgo esige l’adozione da parte degli Stati membri di misure
idonee a garantire la responsabilità - penale o meno, ma comunque, sempre, con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive - delle persone giuridiche per il reato di corruzione attiva, commesso in loro favore da persone fisiche che agiscono a titolo personale o come membri di un organo della persona giuridica, esercitando al suo interno un potere direzionale basato sul potere di rappresentanza della persona giuridica o sul potere di prendere decisioni in suo nome o di esercitare un controllo in seno alla medesima135.
Un’ultima precisazione appare doverosa. La Convenzione, all’art. 37, contiene delle riserve: una di queste prevede la possibilità per gli Stati, al momento della ratifica, di dichiarare che non intendono procedere a tipizzare penalmente talune condotte. Tra quest’ultime rientrano anche quelle relative alla “corruzione privata”, sia attiva che passiva.
4. Decisione quadro 2003/568/GAI
Come anticipato, con la Decisione quadro 2003/568/GAI - relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato - si è provveduto ad
75
abrogare la precedente Azione comune del 1998136. La normativa, ora in esame, è stata adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 22 luglio 2003, su sollecitazione del Regno di Danimarca.
Già attraverso l’esame dei considerando è possibile evincere come, ancora una volta, la normativa sovranazionale si inserisca nell’ambito del modello concorrenziale di repressione della “corruzione privata”. Il nono considerando, infatti, recita: “Gli Stati membri annettono
particolare importanza alla lotta contro la corruzione sia nel settore pubblico che in quello privato, poiché ritengono che la corruzione in entrambi tali settori costituisca una minaccia allo stato di diritto e inoltre generi distorsioni di concorrenza riguardo all’acquisizione di beni o servizi commerciali e ostacoli un corretto sviluppo economico (…)”.
La ratio della normativa è, perciò, rappresentata dalla tutela della concorrenza. L’obiettivo della Decisione quadro è esplicitato al successivo considerando, il quale lo individua nel “(…) garantire che
sia la corruzione attiva sia quella passiva nel settore privato siano considerate illeciti penali in tutti gli Stati membri, che anche le persone giuridiche possano essere considerate colpevoli di tali reati e che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.”.
Nel descrivere le condotte costituenti fatti di “corruzione privata”, la Decisione quadro 2003/568/GAI presenta un notevole grado di minuziosità: tanto da farla apparire più vicina ad una direttiva dettagliata che non ad una direttiva quadro137. In linea generale, l’intervento del 2003 ha fatto registrare un notevole ampliamento dell’ambito di applicazione rispetto a quello dell’Azione comune del 1998.
L’art. 2 paragrafo 1 provvede a tipizzare le condotte di corruzione
attiva e passiva. La normativa richiede che tali condotte siano