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10. La mancata attuazione della Decisione quadro 2003/568/GAI, a

11.8 Il regime di procedibilità

Come sottolineato da autorevole dottrina354, la “vera novità” della novella legislativa del 2012 era ravvisabile in relazione al regime di perseguibilità.

Senza ombra di dubbio, il regime di procedibilità rappresentava un nodo cruciale della fattispecie in esame. Al precedente regime di procedibilità, sempre e comunque a querela della persona offesa (ossia la società) - idoneo a confinare la punibilità nell’ambito di una valutazione strettamente privatistica, anche quando gli interessi della società fossero stati in grado di esprimersi in una dimensione pubblica - il legislatore del 2012, pur continuando a fare salva tale regola, aveva introdotto un’eccezione: la procedibilità d’ufficio qualora “dal fatto

derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.

Occorre sottolineare, peraltro, come la scelta finale del legislatore, in tema di regime di perseguibilità, sia stata il frutto di una sorta di compromesso. Il testo della futura Legge n. 190/2012, approvato dalla

353 A.SPENA, La corruzione privata e la riforma dell’art. 2635 C.c., in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc. 2, 2013, pag. 693

354 T. PADOVANI, Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Archivio Penale, fasc. 3, settembre-dicembre 2012, pag. 793

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Camera dei Deputati il 14 giugno 2012 prevedeva, in accordo con l’emendamento governativo, la “secca” rimozione della perseguibilità a querela, sostituita dalla perseguibilità ex officio. Si badi bene, non che tale soluzione implicasse delle conseguenze decisive: la persistente necessità del verificarsi di un nocumento alla società continuava a mantenere un assetto privatistico della tutela, ma, quanto meno, si sarebbe negata alla persona offesa ogni valutazione in ordine alla procedibilità dell’azione penale355. Sennonché, tale scelta aveva suscitato forti resistenze, soprattutto nel mondo imprenditoriale. Il Governo, facendosi portavoce di tali istanze provenienti dal mondo dell’imprenditoria italiana, decise di presentare - il 4 ottobre 2012 - un emendamento, alle Commissioni riunite I e II del Senato. Attraverso tale emendamento, si provvedeva a reintrodurre la regola della perseguibilità a querela, fatta salva l’eccezione della perseguibilità d’ufficio in caso di “distorsione della concorrenza”. Proprio in tali termini si esprimerà il testo definito della Legge n. 190/2012356.

La rilevanza pratica della deroga dipendeva, tuttavia, in maniera decisiva, dalla scelta interpretativa circa il significato da attribuire all’espressione “salvo che dal fatto derivi una distorsione della

concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”. Sul punto, si erano

prospettate due diverse chiavi di lettura.

In base alla prima, si riteneva che la distorsione rilevante, ai fini della perseguibilità ex officio, fosse solamente quella derivante dal verificarsi di un fatto idoneo ad integrare gli estremi tipici della fattispecie-cardine: perché scatti la perseguibilità d’ufficio, sarebbe stato comunque necessario, anche, il verificarsi di un “nocumento alla società”. Tale interpretazione, seppur maggiormente aderente al dato testuale, era idonea a ridurre, in maniera considerevole, l’ambito

355 S.SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, fasc. 1, 2013, pag. 66

356 V.NAPOLEONI, Il “nuovo” delitto di corruzione tra privati, in Legislazione Penale, fasc. 3, 2013, pag. 691

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applicativo dell’innovazione. Essa, infatti, condizionava la procedibilità d’ufficio al necessario verificarsi di due eventi: un danno patrimoniale alla società e, come sua diretta conseguenza, il verificarsi di una “distorsione della concorrenza”.

In base all’altra chiave di lettura, si riteneva possibile connettere l’evento distorsivo, non già al fatto tipico nel suo complesso, bensì alla sola condotta illecita: ossia, al compimento, o all’omissione, dell’atto oggetto del pactum sceleris. In quest’ottica, si sarebbe potuto procedere

ex officio tutte le volte in cui, al compimento dell’atto oggetto di

corruzione, fosse seguita una “distorsione della concorrenza” - con conseguente danno all’interesse dei consumatori, vale a dire alla loro libertà di scelta - a prescindere dal fatto che si fosse realizzato, anche, un nocumento per il patrimonio della società del “corrotto”. La “distorsione della concorrenza” sarebbe stata, quindi, qualificabile come un evento alternativo al “nocumento”. Quest’ultima interpretazione, seppur meno “fedele” alla lettera della fattispecie incriminatrice, sarebbe stata da preferire, poiché, senza essere del tutto infondata da un punto di vista testuale, avrebbe condotto ad esiti assai più soddisfacenti da un punto di vista sostanziale357.

La prima soluzione interpretativa sembrava, però, essere stata accolta dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione per il quale: “la novella sembra (…) aver configurato - peraltro all’esclusivo fine di definire il regime di procedibilità - un vero e proprio ulteriore evento del reato dal problematico (a dir poco) accertamento e ambiguamente posto in rapporto di derivazione causale non già con la condotta illecita, bensì con il fatto oggetto di incriminazione nel suo insieme, talché si potrebbe giungere a sostenere che la distorsione della concorrenza debba dipendere dal nocumento patrimoniale subito dalla

357 A. SPENA, Corruzione fra privati, in Dir. pen. e Processo, fasc. 8, allegato 1 (commento alla normativa), 2013, pag. 41

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società persona offesa, la cui produzione comunque resta imprescindibile anche qualora il reato diventi perseguibile d’ufficio”358. Ciò nonostante, l’idea che l’offesa alla concorrenza fosse da considerare come un ulteriore evento del reato - contestuale o successivo al verificarsi di un nocumento per la società ed oggetto di accertamento sul piano condizionalistico - sarebbe stata da considerare infondata per un’ulteriore ragione. Lungi dal rappresentare uno stato di fatto o un fenomeno suscettibile di riscontro empirico, la concorrenza si porrebbe, piuttosto, come qualità del mercato, legata alle condizioni di accesso: la sua distorsione andrebbe concepita alla stregua di un “pericolo astratto”, connesso alla corruzione in atti aventi ad oggetto l’acquisizione di beni o servizi. Quindi, ferma restando l’irrilevanza penale della corruzione avente ad oggetto un atto non dannoso per la società di appartenenza (si pensi, ad esempio, al caso nel quale, di fronte ad una pluralità di soluzioni equivalenti per la società di appartenenza, l’agente adotti la delibera favorevole al “corruttore”), la violazione di corrispondenza oppure la rivelazione di segreti, poste in essere in relazione ad una gara ancora da svolgersi, sarebbero stati in grado di determinare una distorsione della concorrenza e dunque avrebbero reso la corruzione perseguibile ex officio. Lo stesso poteva dirsi nel caso dell’aggiudicazione di un lavoro o di una fornitura da parte di un imprenditore, il quale, precedentemente, avesse corrisposto o promesso un’utilità. Il concetto di “distorsione” si sarebbe, pertanto, dovuto risolvere nell’alterazione delle regole di funzionamento del mercato, condividendone la proiezione sulla dimensione del pericolo astratto e legando la propria sussistenza all’oggetto della corruzione, costituito dall’acquisizione di beni o servizi359.

358 S.SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, fasc. 1, 2013, cit. pag. 66, la citazione originaria è tratta dal paragrafo 3.5. del parere intitolato «Novità legislative: L. 6 novembre 2012, n. 190 recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”» (rel. n. III/11/2012 del 15 novembre 2012)

359 S.SEMINARA, Il reato di corruzione tra privati, in Le Società, fasc. 1, 2013, pag. 67

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Concludiamo l’analisi delle novità in tema di procedibilità, riportando le osservazioni di Tullio Padovani, in relazione alla nuova ipotesi di procedibilità ex officio: “lodevole l’intento perseguito, infausta la sua traduzione normativa. Rimettendo la perseguibilità d’ufficio ad un macroevento che deve essere accertato in ambito problematico qual è il mercato globale, si rischia (e non solo si rischia) di dover fare un processo solo per stabilire se il processo è poi da fare”360.

L’introduzione dell’eccezione della perseguibilità ex officio, in caso di “distorsione della concorrenza”, appariva, dunque, idonea a riflettersi, anche, sul piano processuale. Essendo, infatti, la “distorsione della concorrenza”, un evento, in ogni caso, da provare, il rischio era quello di attivare, a discapito di esigenze di economia processuale, un’attività giudiziaria inutile, giacché la mancanza dell’evento distorsivo era idonea a far sì che il reato tornasse ad essere procedibile a querela361.