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Le principali interpretazioni del finale del primo libro

2. LA FINE DEL MONDO NELLA PRIMA DIADE DEL DE RERUM NATURA

2.3 La sezione conclusiva del primo libro (vv 1052-1117)

2.3.2 Le principali interpretazioni del finale del primo libro

Ettore Bignone59 ritiene che in questo passo Lucrezio traduca e riproduca alcuni argomenti utilizzati da Epicuro contro dottrine della scuola peripatetica, formulate da Aristotele nel perduto dialogo De philosophia e difese in seguito da Teofrasto. Tali dottrine aristoteliche, tese a confermare l’affermazione dell’eterna stabilità del mondo, sono riportate nel trattato De aeternitate mundi, di Filone Alessandrino; in particolare, Bignone evidenzia l’importanza dei capitoli 114-116, dove un peripatetico dimostra come il mondo non sia soggetto ad alcuna sottrazione di parti (ἀφαίρεσις) o spostamento (μετάθεσις) degli elementi rispetto ai loro luoghi naturali, poiché esso è di natura perfetta ed eterna60: Ἀλλ' ἀφαιρεῖσθαι; πρῶτον μὲν τὸ ἀφαιρεθὲν πάλιν κόσμος ἔσται, τοῦ νῦν βραχύτερος· ἔπειτα <δ'> ἀμήχανον ἔξω τι σῶμα τοῦ ὅλου διαρτηθὲν τῆς συμφυίας σκεδασθῆναι. Ἀλλὰ τὰ μέρη μετατίθεσθαι; μενεῖ μὲν οὖν ἐν ὁμοίῳ τοὺς τόπους οὐκ ἐναλλάττοντα· οὐ γὰρ ἐποχήσεταί ποτε οὔτε ὕδατι πᾶσα γῆ οὔθ' ὕδωρ ἀέρι οὔτε ἀὴρ πυρί, ἀλλὰ τὰ μὲν φύσει βαρέα, γῆ καὶ ὕδωρ, τὸν μέσον ἐφέξει τόπον, γῆς μὲν θεμελίου τρόπον ὑπερειδούσης, ὕδατος δ' ἐπιπολάζοντος, ἀὴρ δὲ καὶ πῦρ, τὰ φύσει κοῦφα, τὸν ἄνω, πλὴν οὐχ ὁμοίως· ἀὴρ γὰρ πυρὸς ὄχημα γέγονε, τὸ δ' ἐποχούμενον ἐξ ἀνάγκης ὑπερφέρεται. «[Il mondo può distruggersi] per sottrazione? Innanzi tutto la parte sottratta sarà a sua volta un mondo, più piccolo di quello attuale; inoltre è impossibile che un qualche corpo staccatosi dal tutto, si disperda al di fuori della struttura del mondo. E per spostamento delle parti? Esso rimane nella medesima condizione non scambiando i luoghi naturali: infatti tutta la terra non sarà mai trasportata al di sopra dell’acqua né l’acqua al di sopra dell’aria né l’aria al di sopra del fuoco; invece ciò che per natura è pesante, terra ed acqua, occuperà la posizione centrale, poiché la terra si dispone, come sostegno, alla

59 Cfr. Bignone, 1936, vol. II pp. 149 ss.

60 Cfr. Bignone 1936 p. 149 «I peripatetici rispondono “Come possono le parti del mondo spostarsi? Perché non sarà mai,

né sull’acqua sorretta l’intera terra, né l’acqua sull’aria, né l’aria sul fuoco; ma gli elementi grevi per natura, l’acqua e la terra, terranno il luogo di mezzo; la terra formando come la base, l’acqua galleggiando, e l’aria e il fuoco, leggieri per natura, occupando la zona superiore. Infatti l’aria è il supporto del fuoco, e ciò che è sorretto per necessità è costretto a star sopra (ὑπερφέρεται)».

maniera delle fondamenta, mentre l’acqua scorre al di sopra della sua superficie; l’aria e il fuoco – elementi leggeri per natura – occuperanno la zona alta del mondo, tuttavia non alla stessa maniera; l’aria infatti ha la natura di veicolo del fuoco, che – essendo veicolato – viene spinto in alto».

Pertanto, secondo Bignone l’obbiettivo polemico di Lucrezio nei vv. 1053 ss. sarebbe esclusivamente la scuola peripatetica, attaccata nei suoi argomenti a favore dell’ordine eterno del cosmo: tale prospettiva dimostrerebbe che Lucrezio è, anche in questo caso, fedele traduttore di Epicuro nella sua disputa diretta alle dottrine di Aristotele e di Teofrasto61:

«Per Aristotele e la sua scuola, la terra sta infatti al fondo e gli altri elementi si dispongono su di essa per ordine di gravità, mentre per Epicuro, come appare da questo stesso scolio, dai frammenti del libro XI del Περὶ φύσεως di Epicuro e da Lucrezio, V 534-565, la terra è veramente nel mezzo del mondo, sorretta dall’aria, per una specialissima e singolarissima connessione tra l’una e l’altra, connessione che, essendo la terra più pesante dell’aria, non può essere eterna. Ed è in realtà Lucrezio più volte, e sempre con allusione polemica contro Aristotele, parla di questo precipitare della terra nella dissoluzione del mondo. E cioè nel libro I, ove, contro la dottrina dei luoghi naturali degli elementi, osserva che tale teoria porterebbe alla rovina del mondo, perché, tendendo l’aria all’alto, la terra, che ne è sorretta, precipiterebbe sotto i nostri piedi, e nel libro VI, v. 601 sg., ove osserva ironicamente, sempre contro i Peripatetici, che i terremoti incutono timore ad essi pure, sebbene essi credano essere incorruttibili ed eterni il cielo e la terra».

Queste considerazioni di Bignone, come vedremo, sono molto importanti, poiché, per comprendere il finale del primo libro, chiamano in causa un altro passo del De rerum natura (6.596- 607) dove il poeta costruisce un quadro apocalittico in parte analogo, indicando però gli obbiettivi della propria polemica in maniera esplicita:

Ancipiti trepidant igitur terrore per urbis, tecta superne timent, metuunt inferne cavernas, terrai ne dissolvat natura repente,

neu distracta suum late dispandat hiatum

600 idque suis confusa velit complere ruinis.

Proinde licet quamvis caelum terramque reantur incorrupta fore aeternae mandata saluti;

et tamen interdum praesens vis ipsa pericli subdit et hunc stimulum quadam de parte timoris,

605 ne pedibus raptim tellus subtracta feratur

in barathrum rerumque sequatur prodita summa funditus et fiat mundi confusa ruina.

«Pertanto nelle città la gente trema per un doppio terrore e teme i tetti dall’alto e dal basso le caverne

della terra, che all’improvviso la natura non li dissolva, e che squarciandosi essa non spanda la sua ampia voragine

e desideri riempirla, sconvolta, con le proprie rovine. Pertanto credano pure che cielo e terra

incorruttibili siano destinati a perpetua conservazione;

eppure nel frattempo proprio l’impulso del pericolo incombente insinua da qualche parte questo stimolo al timore,

che la terra all’improvviso sottratta ai piedi sia condotta al baratro e che il mondo la segua spinto via

dalle fondamenta e così avvenga la confusa rovina del mondo».

Il passaggio del sesto libro chiamato in causa da Bignone, infatti, è diretto contro che asseriscono la natura incorruttibile ed eterna del mondo (vv. 601-602 caelum terramque reantur

incorrupta fore aeternae mandata saluti): secondo lo studioso, tali avversari non possono essere gli

stoici, assertori della periodica distruzione e palingenesi del mondo, né tanto meno quanti – come Platone – considerano il mondo immortale, ma non ingenerato (si ricordi il Demiurgo del Timeo); è dunque inevitabile pensare che Lucrezio stia rivolgendo la propria polemica contro i sostenitori dell’eternità del mondo, ovverosia Aristotele e i suoi successori.

Pertanto, appoggiandosi alle argomentazioni presenti nel trattato filoniano, Bignone giunge ad ipotizzare che il finale del primo libro del De rerum natura costituisca la traduzione della risposta di Epicuro alla difesa del trattato aristotelico De philosophia che Teofrasto scrisse rispondendo a sua volta alle critiche dallo stoico Zenone62. Quindi il finale lucreziano sarebbe rivolto contro quella dottrina aristotelica secondo la quale «i singoli composti possono perire, e di fatto periscono, perché i loro componenti si trovano in condizione non naturale, ma non perisce il mondo in cui gli elementi in posizione naturale ritornano sempre, nell’eterno processo di dissoluzione e di formazione delle sue parti»63. L’obiezione di Epicuro a tale dottrina è che «se l’aria venisse a trovarsi tutta in alto, il mondo si sconvolgerebbe, essendo da essa aria sorretta la terra; e che di fatto, quando cesserà tale unione instabile tra aria e terra, e l’aria salirà in alto, la terra precipiterà, e il mondo sarà così distrutto». Così facendo Epicuro (e con lui Lucrezio) «sostituisce qui (nel far sorreggere la terra dall’aria invece che dall’acqua) la propria concezione cosmologica a quella di Aristotele; ma questo egli fa altrove e frequentemente fanno tutti i filosofi antichi, e tra essi lo stesso Aristotele»64.

David Furley

Nel suo noto articolo Lucretius and the Stoics, volto a dimostrare l’assenza di polemiche anti- stoiche nel De rerum natura, David Furley65 difende la proposta di Bignone a proposito del finale del

62 Cfr. Bignone 1936, vol. II pp. 156 ss. Bignone chiama poi in causa un altro passo attribuito al De philosophia e presente

nel trattatello filoniano, ovvero De philosophia fr. 20 [fr. 19 Walzer, Ross], che verrà riportato più avanti.

63 Cfr. Bignone 1936, vol. II pp. 156 ss. 64 Cfr. Bignone 1936 ibid.

primo libro. Furley nota una potenziale contraddizione tra la teoria esposta al v. 1053 (omnia niti in

medium) e quella esposta ai vv. 1083 ss. (aria e fuoco sono centripeti)66. Egli evidenzia però che in entrambi i passi gli avversari sono indicati con un’anonima terza persona plurale e, per giunta, le due sezioni sono unite dalla congiunzione praeterea. Dunque sembra inevitabile pensare ad un solo obbiettivo polemico67.

Secondo Furley, inoltre, le proposizioni introdotte da ne ai vv. 1102 ss. si rivelano, con ogni probabilità, come l’esplicazione delle assurde conseguenze che implicherebbe la dottrina della fuga centrifuga di aria e fuoco, qualora fosse veritiera. Pertanto, Lucrezio riesce a dimostrare l’insensatezza delle teorie avversarie applicando a esse i fondamenti della fisica epicurea e “rappresentando” le loro apocalittiche implicazioni in un universo composto di atomi e di vuoto68:

«On Epicurean principles it would then follow that the whole world would disintegrate; for the Epicureans believed that the heavy earth remains stable because it is essentially unified with the rest of the cosmos (…). The point is just this: if the air and fire are going to vanish outwards into the vast void, then the earth will start to collapse under our feet. It does not matter where the weakening begins; wherever it begins, the unity of the world is broken and it will rapidly disintegrate».

Furley si volge poi a confutare la dottrina della presenza di una polemica anti-stoica in questo passo. La confutazione è rivolta in particolare contro Munro, che era stato tra i primi a chiamare in causa un frammento di Zenone (S.V.F I 99 = Stobaeus Ecl. I 19,4 p. 166,4 W.; Arii Didymi fr. phys. 23 Diels), definendolo l’obbiettivo polemico di Lucrezio. Pare opportuno riportare tale fondamentale frammento qui di seguito:

Τῶν δ' ἐν τῷ κόσμῳ πάντων τῶν κατ' ἰδίαν ἕξιν συνεστώτων τὰ μέρη τὴν φορὰν ἔχειν εἰς τὸ τοῦ ὅλου μέσον, ὁμοίως δὲ καὶ αὐτοῦ τοῦ κόσμου· διόπερ ὀρθῶς λέγεσθαι πάντα τὰ μέρη τοῦ κόσμου ἐπὶ τὸ μέσον τοῦ κόσμου τὴν φορὰν ἔχειν, μάλιστα δὲ τὰ βάρος ἔχοντα· ταὐτὸν δ' αἴτιον εἶναι καὶ τῆς τοῦ κόσμου μονῆς ἐν ἀπείρῳ κενῷ, καὶ τῆς γῆς παραπλησίως ἐν τῷ κόσμῳ περὶ τὸ τούτου κέντρον καθιδρυμένης ἰσοκρατῶς. Οὐ πάντως δὲ σῶμα βάρος ἔχειν, ἀλλ' ἀβαρῆ εἶναι ἀέρα καὶ πῦρ· τείνεσθαι δὲ καὶ ταῦτά πως ἐπὶ τὸ τῆς ὅλης σφαίρας τοῦ κόσμου μέσον, τὴν δὲ σύστασιν πρὸς τὴν περιφέρειαν αὐτοῦ ποιεῖσθαι· φύσει γὰρ ἀνώφοιτα ταῦτ' εἶναι διὰ τὸ μηδενὸς μετέχειν βάρους. Παραπλησίως δὲ τούτοις οὐδ' αὐτόν φασι τὸν κόσμον βάρος ἔχειν διὰ τὸ τὴν ὅλην αὐτοῦ σύστασιν ἔκ τε τῶν βάρος ἐχόντων στοιχείων εἶναι καὶ ἐκ τῶν ἀβαρῶν. Τὴν δ' ὅλην γῆν καθ' ἑαυτὴν μὲν ἔχειν ἀρέσκει βάρος· παρὰ δὲ τὴν θέσιν διὰ τὸ τὴν μέσην ἔχειν χώραν (πρὸς δὲ τὸ μέσον εἶναι τὴν φορὰν τοῖς τοιούτοις σώμασιν) ἐπὶ τοῦ τόπου τούτου μένειν. 66 Cfr. Furley 1966, p 18-19.

67 Cfr. ibid. Furley ipotizza che l’omnia dei vv. 1053 ss. non indichi l’insieme degli elementi centripeti e centrifughi

(altrimenti la contraddizione tra questi versi e 1083 ss. sarebbe insanabile), bensì gli oggetti e gli esseri viventi collocati agli Antipodi, secondo la dottrina sostenuta dagli avversari: «The use of the word omnia in 1053 ff. is easily explained. Lucretius was thinking there of the queer theory of the antipodes, and by omnia he meant not only the things on our side of the earth, but also things on the other side».

«Le diverse parti di quelli che sussistono come elementi naturali di tutte le cose esistenti nel cosmo, hanno un movimento che è diretto verso il mezzo del loro elemento nella sua interezza e, similmente, anche dello stesso cosmo. Perciò si dice rettamente che tutte le parti del cosmo hanno un movimento che è diretto verso il mezzo del cosmo, e questo vale soprattutto per gli elementi che hanno un peso. Identica è la causa sia della permanenza del cosmo all’interno del vuoto infinito, sia similarmente della permanenza della terra all’interno del cosmo, dal momento che la terra è assisa in equilibrio nel suo centro. Però non sempre un corpo ha peso, giacché aria e fuoco non hanno peso. Ma anche questi elementi tendono a loro modo al mezzo della sfera cosmica nella sua interezza e s’assembrano alla sua periferia in quanto, essendo privi di peso, tendono per natura a portarsi verso l’alto. Similarmente a questi, gli Stoici dicono che anche il cosmo è privo di peso, poiché l’intero suo assembramento risulta da elementi dotati di peso e da elementi privi di peso. Essi ritengono poi che la terra nella sua interezza, vista la posizione che ha nello spazio mediano, abbia di per sé un peso; e che essa permanga in questo luogo giacché i corpi di questo genere hanno un movimento che è diretto verso il mezzo».

Secondo Furley, questo passo di Zenone non rappresenta davvero la «target theory» di Lucrezio; anzi, a parere dello studioso, Zenone sembra qui rispondere alle critiche epicuree (a noi note attraverso Lucrezio), che presupponevano la possibilità di una dissoluzione del mondo nel vuoto infinito69. Pertanto la cosmologia stoica - richiamata dagli assertori di una polemica epicurea contro la Stoà70 - è da Furley considerata come la risposta alle critiche epicuree; agli Epicurei, i quali asseriscono che aria e fuoco, privi di ostacolo, volerebbero via ad infinitum, Crisippo risponde che tali elementi sono soltanto relativamente centrifughi, «so that once they have reached the outside of the heavy elements there is no reason why they should go any further»71.

Dunque, sul solco del Bignone, secondo Furley, l’obbiettivo della polemica lucreziana non sono gli stoici, bensì Aristotele, artefice di una cosmologia geocentrica e di una teoria del movimento che contrappone il moto centripeto di terra ed acqua al moto centrifugo di fuoco ed aria72. Per quanto concerne poi il problema dell’assenza di riferimenti alla dottrina del “quinto elemento” (l’etere) nel finale del primo libro73, problema che sembrerebbe escludere i peripatetici dal novero degli obbiettivi polemici lucreziani, Furley mette in rilievo come non tutti i passi aristotelici e peripatetici sembrino

69 Cfr. Furley 1966 19 ss. «Zeno said, it seems, that all the elements are somehow “drawn towards the centre”, including

air and fire. He did not say that air and fire have lightness but only that they have no weight. This is surely the answer to the Epicurean criticism that if air and fire are positively light, there is nothing to prevent them vanishing outwards into the infinite void. Zeno answered that they are not positively light: they occupy the outer regions of the spherical cosmos because they have no weight whereas the middle is occupied by elements that have weight; but they do not fly off into outer space because there is no reason why they should, and they are joined continuously with the rest of the cosmos».

70 Si veda anche il richiamo di Furley a Crisippo in Plutarco. Stoic. Rep. 1054 b. 71 Cfr. Furley 1966 pp. 20 ss.

72 Cfr. Furley 1966 p. 21 «Moreover, the centre in question is defined as the centre of “the whole” (De Caelo B 14, 296 b

13), and the Epicureans would naturally interpret this to mean everything that there is - on their own theory, the infinite void and the infinitely numerous atoms».

73 Cfr. Furley 1966 p. 21 ss. «Lucretius objects that if air and fire were centrifugal there would be nothing to prevent them

from dispersing at large; but Aristotle’s world was bounded by shells of aether, the fifth body, which was not centrifugal but had a natural tendency to move in a circle, so that fire would have no tendency to rise beyond its proper sphere».

contemplare tale dottrina; pertanto, è possibile che gli epicurei abbiano rivolto le proprie critiche a una cosmologia aristotelica in cui tale dottrina fosse assente74.

Ulteriori difficoltà sono provocate dai vv. 1088-1091, dove Lucrezio sembra delineare una teoria del nutrimento igneo dei corpo celesti, la quale sarebbe inconciliabile con la dottrina aristotelica esposta nei Meteorologica (354 b 32; 355 a 32): difatti Aristotele nega recisamente la possibilità che il sole tragga nutrimento dalla terra. Come riconosce Furley stesso, queste teorie sembrano essere stoiche: tuttavia lo studioso si appella ad alcuni passi controversi (connessi ai frammenti del “primo Aristotele”) dove la teoria del nutrimento astrale viene estesa anche alla filosofia aristotelica75.

Per quanto concerne infine la teoria che associa la crescita delle piante all’impulso centrifugo del calore, Furley non la associa a nessuno passo aristotelico in particolare e, ritrovandola come presupposto in alcuni passi del testo pseudo-aristotelico De plantis (in particolare nel secondo libro) lo definisce un probabile luogo comune76. Le conclusion dello studioso sono dunque vicine a quelle di Bignone:

«It must be concluded that in this passage Lucretius may well have had in mind the cosmology of the Peripatetic school, quite possibly as represented by the Aristotelian dialogue On Philosophy. His target is certainly not any Stoic theory known to us. This negative conclusion is an important one, and strengthens the case presented in the rest of this article. For if Lucretius ever had the Stoic philosophy in mind as a rival to his own, he should have taken note of their characteristic modifications of the Aristotelian cosmology».

Jürgen Schmidt

Le considerazioni di Jürgen Schmidt, contenute nel volume Lukrez, der Kepos und die Stoa (1990) si configurano come una confutazione delle tesi di Bignone e, soprattutto, di Furley, allo scopo di riaffermare l’idea – già asserita da Munro – secondo la quale l’obbiettivo polemico di Lucrezio 1.1052 ss. siano gli stoici77. Il punto di partenza dello studioso è naturalmente il sopra citato passo di Zenone (S.V.F. I 99 = Stobeo, Ecl. I 19, 4). Schmidt critica la proposta di Furley, secondo cui le parole di Zenone rappresentano una risposta alle critiche epicuree, rilevando come tale lettura sia priva di un solido fondamento78. Schmidt evidenzia poi come la confutazione lucreziana sia rivolta

74 Cfr. Furley 1966 p. 22 «The doctrine of the fifth element was certainly regarded as a feature of Aristotelianism by the

systematic scholars who studied the school-treatises, particularly after the time of Andronicus in the late first century B.C.; and it was vaguely known to Cicero. But it was not always a feature of the cosmology of Aristotle and his pupils; and the Epicureans may well have directed their criticisms against an Aristotelian cosmology which worked with four elements».

75 Si tratta di Cic. nat. deor. 2, 42-43 (dove però colui che parla è lo stoico Balbo) e Stobeo 1, 207, 16 ss. 76 Cfr. Furley 1966 p. 23 «Perhaps it was commonplace».

77 Cfr. Schmidt 1990 p. 212 ss.

contro degli avversari che prima asseriscono che tutti i corpi tendono verso il centro (omnia niti in

medium summae) e poi asseriscono invece che il moto dell’aria e del fuoco è centrifugo (v. 1083).

Come si è visto, Furley asserisce che l’omnia dei vv. 1053 e 1058 non indica i quattro elementi, bensì tutto ciò che si trova nel nostro emisfero e quanto si trova agli Antipodi. Eppure al v. 1083 Lucrezio prosegue affermando quoniam non omnia corpora fingunt / in medium niti, sed terrarum atque

liquoris; la continuità logica e terminologica con quanto affermato prima induce Schmidt a

sottolineare come inconsistente la proposta di Furley79. Pertanto Schmidt sottolinea come siano gli Stoici la sola scuola filosofica ad avere teorizzato espressamente la convergenza verso il centro di ogni elemento e al contempo il moto centrifugo di aria e fuoco80.

Lo studioso tedesco evidenzia quindi come l’assenza di riferimenti al quinto elemento e la non-adesione di Aristotele al concetto di un moto centripeto di ogni elemento (vs. v. 1053 ss.) debbano indurre ad escludere lo Stagirita e i suoi seguaci dal novero degli obbiettivi polemici di Lucrezio in questo passo81. Di conseguenza, il sopracitato passo di Zenone, nonché Crisippo, in Plut.

De Stoic. Repugn, 42, 1053e (= SVF II 434 ss.) rappresentano la prova di una polemica anti-stoica.

Secondo Schmidt, Plutarco e Lucrezio potrebbero addirittura risalire alla medesima tradizione: lo studioso propone una fonte neo-accademica (Carneade), aggiungendo che il contenuto di tale fonte sia poi giunto a Lucrezio mediante una «jungepikureische Vorlage».

La presenza di una comunanza di fonti neoaccademiche tra Plutarco e Lucrezio82, sarebbe confermata da un altro passo plutarcheo dove si trova una confutazione della teoria degli Antipodi (De facie quae in orbe lunae apparet 7, 923F5 ss.)83. Lo studioso mette in rilievo le notevoli analogie tra il passo plutarcheo e i versi lucreziani, soprattutto nell’evidenziazione dei paradossi che comporta l’accettazione della teoria stoica degli Antipodi84. Schmidt prende poi in considerazione i vv. 1070-

79 Cfr. Schmidt 1990 p. 213 «Furley hat versucht, das Problem mit dem Hinweis zu lösen, Lukrez meine mit “omnia” (v.

1052) nicht alle vier Elemente, sondern neben Den Stoffen aus unserer Seite der Erde auch die auf der unteren Hälfte. Diese Erklärung überzeugt keineswegs: Wenn Lukrez nur die schweren Stoffe auf der Unterseite mit einbezöge, ergäbe sich aus dem innerem Widerspruch, auf welchem der Dichter ab v. 1083 eingeht, kein Sinn. Denn dann hätten die Gegner lediglich gesagt, auch bei den Antipoden seien die schweren Stoffe zentripetal, die leichten aber nicht. Wenn aber mit „omnia“ auch die leichten Stoffe der unteren Erdhälfte gemeint sind, ist der Widerspruch von Lukrez aus seiner Sicht mit Recht angeführt».

80 Cfr. Schmidt 1990 p. 221 «Er spricht vor der Mittelpunktkonzentration aller Stoffe, auch der leichten. Eine solche

Position ist bei anderen Philosophen, etwa Aristoteles, weder belegt noch zu erschließen. Er weist auf den Widerspruch hin, welcher in der Lehre seiner Gegner dadurch entsteht, dass trotz der allgemeinen Tendenz zur Mittelpunktkonzentration auch zentrifugale Elemente angenommen werden. Ein solcher Widerspruch lässt sich einzig und allein in die Stoische Position hineininterpretieren».

81 Cfr. Schmidt 1990 p. 213 ss. «Nur fällt dann Aristoteles als Gegner aus, weil er weder die Mittelpunktkonzentration

aller Stoffe noch die beiden von Lukrez als widersprüchlich angesehen Lehren nebeneinander vertrat».