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Le Strade del vino in Italia

Grafico 3 Stima spesa enoturistica

2.1.1 Le risorse territorial

Molteplici sono i fattori materiali e immateriali che rendono il nostro Paese “unico”: un patrimonio agroalimentare e naturale che si aggiunge alle ricchezze storico-artistico culturali che la storia ci ha consegnato.

Analizzando nello specifico il comparto agroalimentare si è appurato che nel 2013 il numero di aziende agricole in Italia ha superato il milione e mezzo e oltre la metà di queste è localizzata in sole tre regioni, con evidenti orientamenti produttivi: ortofrutticolo in Trentino-Alto Adige, olivicoltura in Toscana, lattiero- caseario in Sardegna (ISTAT 2013); mentre le aziende agrituristiche hanno toccato quota 20.897 unità, con un incremento del 2,1% rispetto all’anno precedente (Crea 2015).

Queste aziende grazie alla diversità dei territori in cui operano offrono un ricco e variegato paniere di prodotti: vini, birre, olii, spezie, essenze, legumi, prodotti da forno, prodotti ortofrutticoli, mieli, insaccati, formaggi e derivati, cereali, carni e molti altri prodotti (Itinerari nel gusto 2014). Difatti, il patrimonio agroalimentare, nonostante la congiuntura economica sfavorevole, continua ad ottenere ottimi risultati nel biologico, nei vini, e il primato comunitario, per quanto riguarda la qualità e la tutela dei prodotti agroalimentari DOP68 e IGP. Secondo un’analisi di

68 La DOP (Denominazione di Origine Protetta) nasce (insieme alla IGP) nel 1992 grazie al

Regolamento CEE 2081/92 della Comunità Europea, inizialmente era valida solo per i prodotti agroalimentari dal 2011 è valida anche per il vino. La DOP è la certificazione che impone norme molto stringenti pertanto è quella che offre più garanzie al consumatore: origine, provenienza delle materie prime, localizzazione del processo produttivo. I prodotti DOP offrono: serietà, tracciabilità, legame con il territorio e tipicità. Per poter ricevere l’appellativo, devono sussistere

78 Coldiretti le specialità alimentari italiane ottenute secondo regole tradizionali (protratte nel tempo per almeno 25 anni) sono 4698 e quasi il 10% si trova in Toscana, seguita da Campania, Lazio e Veneto (Coldiretti 2013). Ad aprile 2016 i prodotti tipici regolarmente iscritti con marchio DOP, IGP e STG69 sono 280 (Mipaaf 2016) e la maggior parte dei riconoscimenti si concentra nei settori dell’ortofrutta e dei cereali (quasi il 40 %), nei formaggi (18%), negli oli extra vergine d’oliva (18%) e nei salumi (18%) (ISTAT 2013); mentre i consorzi di tutela relativi ai prodotti DOP e IGP sono 115 (Mipaaf 2014).

Nel tempo si sono diffuse le aziende agricole biologiche, che nel 2012 contavano circa 49.000 operatori registrando una crescita del 3% rispetto al 2011. La regione che al 2012 detiene il maggior numero di aziende agricole biologiche è la Sicilia, seguita dalla Calabria, mentre per il numero di aziende di trasformazione impegnate nel settore la leadership spetta all’Emilia Romagna, seguita da Lombardia e Veneto (Sinab 2013).

Nonostante la crisi economico-finanziaria, il mercato italiano del biologico continua a crescere registrando, dal 2007 al 2012, performance migliori rispetto ad altri settori di qualità (DOP e IGP) e all’agroalimentare nel complesso (Sinab 2013). L’emergere di questa nuova tendenza è molto importante anche per lo sviluppo di un offerta turistica enogastronomica sempre più di qualità e capace di rispondere alle esigenze di un consumatore più responsabile e attento al rispetto della natura e del proprio benessere.

Il prodotto principale dell'agroalimentare italiano si conferma essere il vino con un mercato enologico molto rappresentativo tanto da essere considerato, insieme

due condizioni irrinunciabili, specificate dall’art. 2 di tale regolamento: Le particolari qualità e caratteristiche del prodotto devono essere dovute, esclusivamente o essenzialmente, all'ambiente geografico del luogo d'origine. Per "ambiente geografico" la legge intende non solo i fattori naturali ma anche quelli umani, quindi le conoscenze e le tecniche locali; la produzione delle materie prime e la loro trasformazione fino al prodotto finito devono essere effettuate nella regione delimitata di cui il prodotto porta il nome .La tracciabilità di un prodotto DOP, ovvero la garanzia riguardo il luogo di provenienza e di trasformazione delle materie prime è la caratteristica più importante poiché colma una lacuna della legislazione italiana che non impone di indicare la provenienza degli ingredienti di qualunque prodotto. Generalmente tutti i prodotti DOP hanno un consorzio di tutela, ovvero un organismo composti da produttori e/o trasformatori aventi come scopo la tutela, la promozione e la valorizzazione dello stesso, salvaguardano inoltre il prodotto da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni ed uso improprio della denominazione.

69 STG: Specialità Tradizionale Garantita. È un marchio introdotto dall’Unione Europea e viene dato

a quei prodotti che presentano un certo carattere di specificità, ma non sono legati ad una particolare zona geografica e possono essere prodotti in diversi territori (a differenza di DOP e IGP).

79 alla Francia e la Spagna, uno dei maggiori produttori mondiali di vino. «Quasi il 60% della produzione è realizzata da Paesi dell’Unione Europea (UE a 27). L’Italia è stata nel 2010 il maggiore produttore con una quota del 18,1% sul totale mondiale e del 31% su quello europeo, seguita dalla Francia (rispettivamente 17% e 29,1%) e dalla Spagna (13,4% e 23%) (Ufficio Studi Mediobanca 2012, p. 7). Nella cultura italiana la coltivazione della vite, la produzione di vino e il suo consumo hanno origini storiche di rilevanza sia simbolica che socio-economica (Panjek, 1992; De Bonis, 2003). L’Italia è caratterizzata, infatti, da un patrimonio ampelografico di circa 200 vitigni coltivati (Fregoni 2010) e 493 varietà iscritte al Registro Nazionale delle Politiche Agricole (Censis 2015) provenienti da terroir differenti che producono, di conseguenza, vini diversi e di ottima qualità.

Oggi la qualità del vino e le denominazioni di origine rappresentano un’importante dimensione della produzione nazionale: al 31 dicembre 2012 risultano 521 vini DOCG, DOC, IGT70. Le denominazioni più numerose riguardano le DOC (330), che costituiscono quasi i 2/3 del totale, seguite dalle IGT (118, pari a quasi il 23%); il rimanente 14% è costituito da Docg (73 denominazioni).

La regione che vanta il maggior numero di vini Dop e Igp è il Piemonte (58), cui seguono la Toscana con 56, il Veneto con 52, la Lombardia con 42 denominazioni e, con oltre 30, la Sicilia, la Sardegna, il Lazio e la Puglia. Oltre il 41% del totale delle denominazioni è concentrato nel Nord Italia, seguono il Centro e il Sud con un peso pressoché analogo (22-25%) e le Isole (12%) (ISMEA 2013).

Agli “attrattori” enogastronomici quali il vino, l’olio, i prodotti ortofrutticoli, gli insaccati, i formaggi ecc. va ad associarsi il patrimonio storico-artistico e culturale del Belpaese, che rappresenta uno straordinario valore aggiunto in termini di potenziale competitività per il turismo enogastronomico. All’interno del patrimonio culturale mondiale, la lista dei siti Unesco nel mondo sentenzia il primato italiano con ben 50 siti (Unesco 2015). A questi vanno ad aggiungersi, i 4.588 musei o istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico nel 2011, di cui 3.847 musei, gallerie o collezioni, 240 aree o parchi archeologici e 501 monumenti e complessi monumentali (ISTAT 2013).

70 Le DOCG e le DOC sono le menzioni specifiche per designare i prodotti vitivinicoli DOP mentre le

IGP comprendono le indicazioni geografiche tipiche (IGT) così come dispone il D.lgs. n. 61/2010 all’art. 3.

80 Il quadro appena delineato raffigura, dunque, le notevoli potenzialità che, se opportunatamente organizzate, potrebbero incidere sullo sviluppo del turismo enogastronomico italiano. Tuttavia, nonostante il grande potenziale, secondo la ricerca “l’Italia turistica ferma al palo – i tassi di crescita del turismo regione per

regione” (2015), effettuata dalla società di consulenza turistica Jfc71 attraverso

l’elaborazione dei dati ufficiali Istat ed Eurostat relativi ai tassi di crescita turistici regionali nel periodo 2003-2013, il settore turistico italiano è “fermo al palo” ed è incapace di reggere il passo dei concorrenti. Nell’ultimo decennio, infatti, l’Italia ha visto incrementare i propri flussi turistici dell’8,6%, a fronte del +52,4% fatto registrare dalla Francia; +45,3% della Croazia; +40,7% della Grecia; +17,5% della Germania; +16,2% della Gran Bretagna; +11,8% della Spagna; +14% dell’Austria.

Anche il XII Rapporto sul turismo del vino, illustra che la quota di mercato mondiale sul turismo italiano, si è ridotta dal 6,6% al 4,5% negli ultimi venti anni e non si evidenzia una capacità di invertire tale trend, anche a causa della mancanza di un approccio settoriale al mercato turistico (Censis 2015). L'assenza di un Ministero per il Turismo, abolito nel 1993, ha causato l’assenza di una promozione globale dei prodotti turistici italiani, particolarmente importante in un periodo in cui la domanda turistica è cambiata a livello globale (Romano e Natilli 2010). Difatti, come sottolinea un testimone privilegiato «in Italia il problema più

grosso a livello di incoming è l’assenza di grandi agenzie che si occupano di organizzare il prodotto, come accade in Inghilterra e Germania, e di promuoverlo come un brand unico» (Intervista n. 13, Friuli). In un settore, quindi, dove le

competenze sono a carico esclusivo delle Regioni (titolo V della Legge costituzionale 3/2001) non c’è solo il rischio di una promozione difforme, ma anche quello di un uso improprio delle risorse pubbliche da parte degli enti locali di promozione turisticao.

La situazione appena descritta viene evidenziata anche da una recentissima ricerca sulla “promozione turistica: il giudizio delle imprese” effettuata dalla società di consulenza turistica Jfc e condotta attraverso interviste on line CAWI (Computer Assisted Web Interviews) su un campione di 1.098 albergatori italiani. Questa

71 Jfc nasce nel 2006 e svolge attività di consulenza turistica e marketing territoriale offrendo il

proprio sapere al servizio ed allo sviluppo di imprese, istituzioni ed autonomie funzionali. Per un approfondimento si rimanda al sito: http://www.jfc.it/

81 ricerca ha mostrato che nessun ente locale dalle regioni alle province, fino ai comuni è riuscito ad occuparsi della promozione turistica in modo adeguato. Emerge, inoltre, da parte degli albergatori intervistati la necessità una maggiore collaborazione tra enti pubblici e operatori privati per costruire un adeguato modello di offerta turistica.

Criticità rilevate anche dal Piano strategico “Turismo Italia 2020 Leadership,

Lavoro, Sud” (2013) in cui si delinea il quadro attuale dell’offerta turistica che

appare poco strutturata.

I limiti dello sviluppo turistico individuati dal piano sono connessi all’invecchiamento dell’offerta nel sistema ricettivo e infrastrutturale (trasporti), a inefficaci meccanismi di gestione e di governance Stato-Regioni, alla scarsa priorità data al settore (investimenti, norme e tassazione, immagine pubblica, formazione, ecc.), all’insufficiente focalizzazione sui segmenti emergenti e sui canali digitali. Per trovare delle soluzioni ai limiti sopra evidenziati il Piano strategico propone di adottare un approccio coordinato tra tutti gli operatori pubblici e privati interessati in modo da promuovere questo settore nel mercato globale, ridare leadership all’Italia nel settore turistico, creare nuovi posti di lavoro e offrire un’opportunità irripetibile al Sud Italia per agganciarsi alla crescita del Paese (Piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia 2013). Il Piano Strategico prevede al suo interno sette linee di intervento fondamentali, declinate in circa 61 azioni per valorizzare e promuovere gli asset turistici “permanenti”72 e “temporanei”73; queste linee d’intervento rispondono a diversi

gradi di priorità connesse a due dimensioni: impatto economico e rapidità di esecuzione. Tra queste azioni rientra la necessità di creare un’offerta di qualità basata sulla programmazione di un calendario di eventi nazionale, relativo ai circuiti dell’arte, dello shopping e dell’enogastronomia per aumentare il numero di soggiorni dei turisti e favorire la destagionalizzazione.

Tuttavia, nel piano non viene indicata alcuna azione o strategia specifica per il turismo enogastrnomico che invece, potrebbe essere di supporto a tutti quegli enti

72 In questo caso si intendono le aree italiane con prestigio e notorietà riconosciute (asset religiosi,

naturalistici, enogastronomici e artistico-culturali).

73 Per asset “temporanei”, invece, si intendono il posizionamento attuale del Paese (per esempio,

lifestyle e moda), il contesto politico-sociale e i grandi eventi o manifestazioni che in esso hanno luogo.

82 ed operatori interessati ad incrementare il comparto nei propri territori. Questo conferma che nel quadro di una politica nazionale sul turismo si persevera nel non cogliere l’importanza di questo settore.

Quindi l’Italia, per divenire uno dei pilastri portanti del turismo enogastronomico mondiale, dovrebbe investire sul vino, i prodotti tipici e la cucina tradizionale che divengono, insieme alle bellezze paesaggistico-culturali, un esempio di biodiversità agroalimentare da tutelare e allo stesso tempo strumento di salvaguardia dell’identità storico-culturale di un territorio in cui il turismo enogastronomico può garantire, nel lungo periodo, lo sviluppo di quei territori che hanno qualcosa da raccontare attivando un processo che metta in atto un nuovo rapporto con i luoghi dell'abitare e una visione più virtuosa e umana del mercato (Bruni 2012).