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Partiamo dai dati “letterali”.

Principalmente a seguito della riforma del Titolo V (ma anche recuperando spun- ti presenti nella elaborazione giurisprudenziale e dottrinale precedente), la formula “legislazione della Repubblica” può rileggersi in una prospettiva diversa, sia in ter- mini generali e assoluti, sia con specifico riferimento all’oggetto e alle finalità del- l’adeguamento al quale la norma costituzionale richiama.

Si potrebbe esordire ricordando che Repubblica, ai sensi dell’art. 114 Cost., com- ma 1, novellato, non coincide più con lo Stato ma ricomprende tutti gli enti costi- tutivi, e dunque anche le Regioni.

Ma non è necessario rileggere l’art. 5 Cost. alla luce del nuovo 114: anche pri- ma del 2001 è stata delineata una configurazione della “Repubblica” dell’art. 5 tesa ad escludere la mera coincidenza della nozione con quella dello Stato-soggetto. Em- blematica in proposito – proprio perché riguarda specificamente l’incidenza di una legge non statale sull’autonomia di un ente locale – è la sentenza della Corte costi- tuzionale n. 83 del 1997, in cui – come è noto – si afferma che a promuovere l’at- tuazione dell’art. 5 Cost. è “l’intera Repubblica” (con implicito riferimento a tutti i poteri pubblici) e, più avanti, ancora più esplicitamente che l’art. 5 impegna a ri- conoscere e a promuovere le autonomie “la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale” (e dunque anche le Regioni in generale).

Ora, rimanendo per il momento al dato letterale – e rivolgendo l’attenzione spe- cificamente alla formulazione linguistica della disposizione per come appare logi- camente strutturata – la “Repubblica” così delineata è il soggetto anche dell’ultima frase dell’art. 5: dovrebbe quindi essere, a rigore, “l’intera Repubblica”, ivi compre- se le Regioni, ad adeguare la propria legislazione alle esigenze dell’autonomia.

Il testo novellato del Titolo V offre ulteriori elementi a supporto della lettura che si propone.

La “legislazione” della Repubblica (che potrebbe intendersi, alla luce del nuo- vo art. 114 Cost., come l’insieme delle leggi degli enti costitutivi della Repubblica dotati della potestà legislativa) può essere – in ragione del primo comma dell’art. 117 Cost. novellato, che introduce una formale pari ordinazione delle leggi, tutte sottoposte ai medesimi limiti – più agevolmente ricostruita in termini unitari rispetto al passato: una ricostruzione che contribuisce a marcare ancor più la distinzione tra l’espres- sione “legislazione” della Repubblica e la formula “legge” della Repubblica, che com- pare in altre parti del testo costituzionale: la formula “leggi” o “legge” della Repubblica (che continua ancora oggi a designare la legge statale, anche se in virtù di ragioni specifiche associate ad ogni singola legge della Repubblica evocata dalla Carta fon- damentale) impone di individuare una specifica categoria di legge ascrivibile ad un legislatore individuato, laddove il termine “legislazione” è suscettibile di assumere una valenza più ampia, ben potendo riferirsi ad un complesso di leggi di diversa pro- venienza.

Ulteriori spunti interpretativi nascono da una lettura della formula “legislazio- ne della Repubblica” condotta, come prima si accennava, con specifico riferimento all’oggetto e alle finalità dell’adeguamento, leggendo la disposizione, per così dire, dall’angolo visuale degli enti locali (titolari di esigenze alle quali la legislazione del-

la Repubblica è chiamata ad adeguarsi). In questa prospettiva, le autonomie terri- toriali infraregionali si confrontano con un quadro legislativo integrato, un intrec- cio di leggi statali e regionali; sicché, sotto questo profilo, la “legislazione” di rife- rimento per gli enti locali ben ricomprende anche la legge regionale, in grado di in- cidere sia sull’autonomia normativa, sia, soprattutto, su quella amministrativa de- gli enti infraregionali.

Un ostacolo rilevante, a livello testuale, è tuttavia rappresentato dal richiamo ai “principi” della legislazione, con chiaro riferimento alla legislazione statale di prin- cipio incidente sulla potestà legislativa regionale. Si ritiene tuttavia che un parzia- le superamento dell’interpretazione originaria della formula – calibrata sull’asset- to della potestà legislativa previgente alla riforma costituzionale del 2001 – che ne afferma la sostanziale coincidenza con i principi fondamentali della legislazione sta- tale rivolti alla legislazione concorrente, possa realizzarsi attraverso una rilettura in senso estensivo, volta a configurare i “principi”, latamente intesi, essenzialmente come “valori ispiratori” della legislazione: lettura, questa, che renderebbe l’espressione “prin- cipi della legislazione” pienamente applicabile alla legislazione regionale.

Veniamo ai dati “di sistema”.

Tra le ragioni sistematiche evocabili allo scopo di estendere il vincolo della “clau- sola di adeguamento” anche al legislatore regionale, si possono sinteticamente ri- chiamare:

- anzitutto lo stesso principio autonomistico per come è declinato nella prima par- te dell’art. 5 Cost., il quale vincola non solo lo Stato, ma anche le Regioni a pro- muovere l’autonomia locale (in questo secondo caso, le autonomie locali inte- se come autonomie infraregionali). E se la valorizzazione delle autonomie as- sume nell’art. 5 una portata generale, allora, così come le autonomie locali de- vono essere tutelate di fronte alla legge statale (rispetto sia ai contenuti sia al pro- cedimento di formazione, attraverso lo sviluppo di moduli partecipativi), do- vrebbero esserlo altrettanto di fronte alla legge regionale, idonea a – eventual- mente – comprimere i profili più significativi che tale autonomia sostanziano; - il rapporto tra legislazione e amministrazione secondo l’impostazione delinea- ta dal primo comma dell’art. 118 Cost. novellato, in applicazione del principio di sussidiarietà: dal superamento del parallelismo tra funzione legislativa (in ge- nerale) e funzione amministrativa, che comporta il concorso di più enti territo- riali nell’esecuzione del dettato legislativo, scaturisce infatti la necessità di ade- guare il contenuto della legislazione, sia statale che regionale, alle esigenze po- ste dal nuovo sistema, disciplinando idonei meccanismi di raccordo tra i vari li- velli di governo in sede di attuazione della legge;

- il principio di leale collaborazione – come principio costituzionale peraltro fon- dato anzitutto sullo stesso art. 5 e sulla clausola di adeguamento –, che postu- la l’instaurarsi di forme di collaborazione sia orizzontali sia verticali tra i soggetti istituzionali a tutti i livelli, e reciprocamente tra tutti gli enti costitutivi della Re- pubblica ai sensi dell’art. 114 Cost. novellato.

Leale collaborazione che, in una lettura coordinata col principio di sussidiarie- tà, induce a ripensare la “vicenda” legislativa in tutte le sue fasi, assumendo un ruolo centrale nell’attuazione della legge ma imponendosi anche – in funzione di una maggiore efficacia “a valle” – come principio preminente di metodo, “a monte”, nel momento della sua formazione: una prospettiva che impone di va- lorizzare massimamente il metodo della concertazione e della cooperazione, da realizzarsi in concreto – come è stato opportunamente suggerito – attraverso “rac- cordi strutturali e procedimentali che assicurino l’esercizio integrato sia delle fun- zioni legislative che amministrative”. Una prospettiva che vale pienamente an- che nel rapporto tra la funzione legislativa regionale e gli enti locali.

Le conseguenze derivabili dalla lettura proposta appaiono numerose e apprezzabi- li su diversi piani.

Anzitutto, la stessa ricostruzione in termini unitari della legislazione statale e re- gionale incidente sugli enti locali, come insieme di leggi complessivamente orien- tato all’adeguamento dei propri principi e metodi alle esigenze dell’autonomia lo- cale, postula un impegno posto a carico di entrambi i legislatori al conseguimento di uno scopo comune, che consiste, per usare le parole della Corte (C. cost., sent. n. 220 del 2013), nel rispondere (o adeguarsi) alle “esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo” delle autonomie locali, “secondo le linee di svolgimento dei princi- pi costituzionali” (anzitutto quelli dell’art. 5 Cost.) nel processo di attuazione del- l’ordinamento locale: una finalità condivisa che, almeno astrattamente, dovrebbe sol- lecitare un rafforzato impegno a coordinarsi per meglio realizzare il comune obiet- tivo (e anche da questa prospettiva può scaturire l’auspicio ad una più stretta col- laborazione tra Stato e Regioni ai fini della riorganizzazione del governo locale nel senso indicato nel documento introduttivo al seminario); e di realizzare questo sco- po comune entrambi attraverso l’esercizio della funzione legislativa, configurata come strumento di affermazione del pluralismo politico-territoriale e sociale. Una confi- gurazione anche’essa tradizionalmente riferita alla legge statale, ma che individua un compito spettante, alla luce della impostazione proposta, anche alla legge regionale con riferimento al sistema delle autonomie locali (è appena il caso di precisare che tale impostazione non conduce ad affermare, per questa via, la supremazia delle Re- gioni sulle autonomie locali – troppo spesso strumentalmente richiamata per giu- stificare, come antidoto, l’assegnazione alla legge dello Stato della disciplina del- l’ordinamento locale, in funzione garantistica – ma postula semmai la necessità di qualificare diversamente l’intervento regionale in materia).

Tutto ciò si traduce, in termini più concreti, in un vincolo costituzionale speci- fico, in grado di impegnare la Regione sia rispetto agli obiettivi da perseguire nel rap- porto con le autonomie infraregionali, sia rispetto agli strumenti da impiegare.

Quanto ai primi, se l’obiettivo dell’adeguamento alle esigenze dell’autonomia con- sente di qualificare la legge regionale, come si accennava, quale mezzo di afferma- zione dell’autonomia locale (con una ricaduta in primo luogo sull’estensione del- l’autonomia normativa degli enti locali, nei termini che si preciseranno infra), le esi- genze del decentramento si pongono in relazione soprattutto con le leggi regiona-

li di assegnazione delle funzioni amministrative agli enti locali: su questo versante la norma costituzionale, nell’interpretazione proposta, costituirebbe un ulteriore vin- colo esplicito al trasferimento di funzioni a favore delle autonomie infraregionali, in sintonia con la prospettiva introdotta dalla riforma costituzionale del 2001, che sollecita il definitivo abbandono del modello di Regione come ente a prevalente vo- cazione amministrativa e ne impone una riconfigurazione come ente di governo (e di coordinamento del sistema locale).

Relativamente agli strumenti, il compito di perseguire questi obiettivi sarebbe as- segnato allo strumento legislativo e primariamente alle leggi regionali incidenti sul- le funzioni degli enti locali.

Il richiamo ai principi della legislazione regionale, nel senso prima affacciato di “valori ispiratori”, rimanda al contenuto delle leggi in questione. L’obbligo di ade- guamento del contenuto di tali leggi alle esigenze dell’autonomia (locale) chiama in causa – come si accennava – in primo luogo l’autonomia normativa degli enti lo- cali e il rapporto della legge regionale con le fonti locali, espressione dell’autonomia statutaria e regolamentare.

Per quanto riguarda il rapporto tra la legge regionale e gli statuti degli enti lo- cali, il pieno adeguamento da parte della legislazione regionale alle esigenze del- l’autonomia imporrebbe di assegnare il più ampio spazio possibile alla fonte statu- taria nella disciplina dei profili organizzativi dell’ente non sottoposti alla legge sta- tale, lasciando affidata alla potestà legislativa regionale residuale principalmente (e, si auspica, pienamente) le forme associative: settore di estremo rilievo, nel quale la Regione sarebbe chiamata a svolgere fino in fondo il ruolo, dianzi richiamato, di pro- mozione e di coordinamento del sistema degli enti locali presenti nel suo territorio; e su questo versante l’adeguamento alle esigenze dell’autonomia dovrebbe esprimersi anzitutto nella individuazione dei moduli organizzativi più adeguati – e meglio ca- librati rispetto – ai caratteri e agli interessi dello specifico territorio regionale di ri- ferimento.

La norma costituzionale in oggetto, nella lettura proposta, sarebbe in grado di incidere significativamente anche sul rapporto tra la legge regionale e il regolamento locale – in particolare, tra le leggi regionali allocative delle funzioni amministrati- ve ed i regolamenti sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni attribuite – rafforzando ulteriormente la lettura, fatta propria dalla Corte costituzionale nella sent. n. 372 del 2004, che impone alla legge regionale di limitare la propria disci- plina delle funzioni locali ai requisiti minimi di uniformità e solo in presenza di esi- genze unitarie.

Con riferimento ai metodi della legislazione (nel nostro caso i metodi della le- gislazione regionale più adeguati alle esigenze dell’autonomia locale e del decen- tramento), l’impostazione proposta sollecita con decisione lo sviluppo di moduli coo- perativi nella formazione delle leggi regionali che abbiano incidenza sulle autono- mie locali, e soprattutto di quelle leggi che concorrono a definire il corredo funzio- nale di tali enti, trasferendo funzioni amministrative nelle materie di competenza delle maggiori autonomie.

Da questo punto vista, i moduli collaborativi che prevedono il coinvolgimento delle autonomie locali nel procedimento legislativo regionale troverebbero un ulteriore fondamento costituzionale, forse anche più solido del solo richiamo al principio di leale collaborazione, rappresentando la “clausola di adeguamento” un principio – per così dire, “mirato” – indirizzato specificamente all’esercizio della funzione le- gislativa.

Lo sguardo va naturalmente rivolto al Consiglio delle autonomie locali (si osservi incidentalmente il CAL rileva anche sul piano dei contenuti della legislazione regionale, atteso che le Regioni affidano la disciplina dell’organo in prevalenza alla fonte le- gislativa rispetto a quella statutaria. La regolazione di dettaglio del CAL rientra in realtà nella potestà legislativa regionale residuale: e una disciplina legislativa rispettosa delle esigenze dell’autonomia locale, in questo ambito, dovrebbe valorizzare il ruo- lo dell’organo come “antidoto contro neocentralismi di stampo regionale”).

L’ultima parte dell’art. 5 Cost., riletta nella chiave proposta, imporrebbe un de- ciso rafforzamento del ruolo svolto dal CAL all’interno del procedimento di forma- zione della legge regionale, organo chiamato ad assumere un ruolo-chiave, soprat- tutto in riferimento a quelle leggi che incidono sulle funzioni degli enti locali, suscettibili di comprimerne gli spazi di autonomia (sull’esempio delle Regioni più virtuose, da consolidare attraverso la divulgazione delle best practises ad opera del Coordinamento nazionale permanente dei CAL).

Dalla prospettiva interpretativa proposta possono scaturire indicazioni più puntuali sullo sviluppo dei meccanismi collaborativi, nella direzione del superamento di alcuni dei principali “punti deboli” noti da tempo. A tal fine, può essere utile ri- chiamare sinteticamente gli interventi operabili rispetto alla struttura e alle funzioni del CAL allo scopo di adeguare compiutamente il procedimento di formazione del- la legge regionale alle esigenze delle autonomie locali, attraverso il loro coinvolgi- mento nella formazione del dettato legislativo.

In ordine ai profili strutturali, per quanto attiene alla composizione:

a) equilibrare la rappresentanza tra comuni e province all’interno dell’organo, stan- te la generale sottorappresentazione delle seconde rispetto ai primi;

b) ampliare la platea dei soggetti coinvolti nella partecipazione al procedimento le- gislativo: in particolare, una rilettura del richiamo agli “enti locali” operato dal- l’art. 123 Cost., quarto comma, condotta alla luce della più generale istanza di adeguamento dei metodi della legislazione regionale alle esigenze dell’autono- mia in senso ampio (principalmente territoriale, ma anche funzionale e socia- le), suggerirebbe di estendere i confini della locuzione, valorizzando il ruolo del- le autonomie funzionali, i cui rappresentanti dovrebbero poter partecipare alle sedute dell’organo ogni qualvolta si discuta di leggi di loro specifico interesse. Si ritiene che debba invece escludersi l’assegnazione del diritto di voto, che com- porterebbe la contemporanea espressione della volontà di soggetti portatori di interessi generali e di interessi settoriali (ma dovrebbero svilupparsi comunque sedi ulteriori di concertazione dedicate specificamente al rapporto tra Consigli

regionali e autonomie funzionali, anche ricorrendo a modalità di confronto in- formali, sul modello delle sedi di raccordo tra la Regione e le autonomie socia- li).

Veniamo ai profili funzionali. Partendo dalla funzione principale, quella consultiva, una compiuta applicazione della “clausola di adeguamento” con riferimento ai me- todi della legislazione regionale suggerirebbe di:

a) ampliare il novero dei provvedimenti legislativi sottoposti a parere obbligatorio, includendo tutte le leggi regionali che incidono sull’autonomia locale, a parti- re naturalmente da quelle che dispongono il trasferimento di funzioni ammini- strative in capo alle autonomie infraregionali, ma senza trascurare altri prov- vedimenti legislativi rilevanti per tali enti: la legge regionale di bilancio, le leg- gi che assegnano risorse agli enti locali, le leggi che approvano programmi (espres- sione peraltro di un ruolo di indirizzo – e di mediazione tra gli interessi unitari del territorio regionale e i differenziati interessi locali – che la Regione è chia- mata a sviluppare primariamente attraverso lo strumento legislativo, vieppiù alla luce della prospettiva qui affacciata, che sollecita una riqualificazione della fun- zione legislativa regionale anche su questo versante);

b) in ordine alla natura dei pareri, a Costituzione vigente non sussistono margini per l’introduzione di pareri vincolanti, non riconducibili sul piano sostanziale alla funzione consultiva che è richiamata espressamente dall’art. 123 Cost. La scel- ta da privilegiare resta dunque quella dei pareri obbligatori, senza escludere la possibilità per l’organo di pronunciarsi su iniziativa propria sulle questioni di in- teresse;

c) in ordine al momento procedurale in cui situare l’intervento nel procedimento legislativo, il parere del CAL andrebbe acquisito sul testo definitivo della legge e non confinato nella fase istruttoria, circostanza che espone le soluzioni proposte dall’organo consultivo al rischio di perdere di attualità nel prosieguo dell’iter le- gis;

d) in ordine all’efficacia dei pareri: si condivide la scelta prevalente degli statuti, che prevedono un aggravamento del procedimento legislativo di fronte ad un parere negativo e che di norma stabiliscono, nel caso in cui il parere sia disatteso, l’ap- provazione della legge regionale a maggioranza assoluta (esito peraltro so- stanzialmente analogo a quello prefigurato, a livello statale, dall’art. 11 della l.c. 3 del 2001, in relazione ai pareri della Commissione parlamentare per le que- stioni regionali integrata).

Un accenno infine ad altre funzioni da valorizzare (e quindi da estendere tenden- zialmente a tutti i CAL):

- l’iniziativa legislativa (in realtà già generalmente riconosciuta in relazione alle leggi riguardanti il conferimento delle funzioni amministrative a livello locale); - la richiesta di referendum abrogativo su leggi regionali (e, in particolare, il po-

tere di richiederlo in conseguenza del mancato accoglimento del parere nega- tivo sulla legge; da prevedere anche in questo caso soprattutto in relazione alle leggi che trasferiscono funzioni amministrative a livello locale);

- il controllo sull’attuazione delle leggi, sul modello del CAL Liguria, che comu-

nica al Consiglio i dati sull’attuazione della legislazione ai fini del “controllo sul- l’attuazione delle leggi e la valutazione degli effetti delle politiche regionali” (pe- raltro, lo statuto ligure significativamente associa a tale compito, da un lato, la presentazione al Consiglio di un rapporto annuale dello stato delle autonomie – chiamato verosimilmente a focalizzare l’attenzione sull’impatto dell’attuazio- ne della legislazione e delle politiche regionali rispetto al sistema locale; ma, so- prattutto, dall’altro lato, la possibilità di formulare al Consiglio – e alla Giunta – specifiche proposte relative alle linee di fondo dell’indirizzo politico generale sul sistema delle autonomie. In tal modo si coinvolge il CAL in quel circolo vir- tuoso tra proposta ex ante e controllo ex post sulla produzione legislativa che co- stituisce uno tra i più rilevanti principi di buona legislazione);

- il ricorso all’organo regionale di garanzia statutaria, volto a sollecitare un con- trollo sulla compatibilità statutaria delle leggi regionali concernenti gli enti lo- cali.

In conclusione, una sintetica considerazione sul tema della responsabilità.

La prospettata estensione della “clausola di adeguamento” (dei principi e dei me- todi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento) alla legi- slazione regionale investe a pieno titolo l’oggetto del seminario, dedicato alla pro- mozione di autonomie responsabili, sotto almeno due profili. In primo luogo, la pro- spettiva affacciata propone una specifica declinazione della responsabilità che im- pegna le autonomie maggiori nella promozione delle autonomie di livello inferio- re. In secondo luogo, con specifico riferimento alla soluzione prospettata rispetto ai metodi della legislazione, potrebbe concludersi sinteticamente che il coinvolgimento genera responsabilità: di qui l’auspicio che un rafforzato coinvolgimento degli enti locali – attraverso la piena valorizzazione dei CAL – nella definizione dei contenu- ti delle leggi incidenti sulla loro dotazione funzionale contribuisca ad un più re- sponsabile esercizio dei compiti loro assegnati.

Il discorso che ruota intorno al novero delle funzioni amministrative attribuite agli