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sarebbe in grado di generare effetti fin troppo rilevanti, appesantendo ulteriormente il procedimento legislativo o alterando significativamente gli equilibri della forma di governo2.

A mio avviso, invece, la tempestiva messa in opera della Commissione bicame- rale integrata avrebbe consentito di far emergere e di esaminare in piccolo, quasi come in un laboratorio, i problemi principali che l’istituzione di un Senato rappresenta- tivo di autonomie territoriali avrebbe inevitabilmente portato con sé. L’emersione tardiva di questi problemi applicativi, che sarebbero sorti se il nuovo Senato fosse stato istituito, non ha sicuramente agevolato il percorso delle successive revisioni co- stituzionali e, in particolare, delle due soluzioni di riforma del bicameralismo pari- tario respinte con referendum costituzionale. Le difficoltà ci sono e sono, in qualche misura, inevitabili nel momento in cui si intende assicurare una presenza delle au- tonomie territoriali “al centro”; tuttavia, o si inizia ad affrontarle e a sperimentarle in concreto, anche con una certa capacità di innovazione istituzionale, oppure que- ste inevitabilmente emergono a priori nella lettura delle nuove disposizioni costi- tuzionali e tendono ad essere viste come altrettanti ostacoli rispetto al percorso at- tuativo prospettato.

Anche la giurisprudenza costituzionale lo ha affermato in maniera piuttosto chia- ra, benché non sempre sia stato valorizzato questo aspetto. La Corte costituziona- le, come è noto, ha in più occasioni lamentato la mancata attuazione dell’art. 11 e lo ha fatto non riferendo specificamente questa lamentela solo e soltanto all’art. 11, ma segnalando come, in realtà, fosse richiesto dalla legge costituzionale di riforma del Titolo V di adeguare i meccanismi di organizzazione e di funzionamento e del procedimento legislativo3. Ciò, in particolare, dando attuazione al principio fon- damentale di cui all’art. 5 Cost., che richiede l’adeguamento dei principi e, soprat- tutto, dei metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Si tratta certamente di un’indicazione tutt’altro che semplice, perché l’art. 5 Cost. individua un obiettivo non facile da realizzare, che non sembra che i regolamenti di Camera e Senato abbiano mai davvero avvertito come proprio. All’esatto contrario, se osserviamo, per esempio, quello che secondo me è il dato più macroscopico, os- sia l’articolazione delle Commissioni permanenti di Camera e Senato, notiamo che questa non è stata in alcun modo adeguata alla riforma del Titolo V, contribuendo a far prevalere un’interpretazione in senso continuista della distribuzione delle fun- zioni legislative che quella riforma aveva inteso invece ridisegnare in termini piut- tosto radicali.

A questo punto, respinta la riforma costituzionale sul bicameralismo e venuta meno – almeno nel medio periodo – ogni prospettiva di istituire una Camera rap- presentativa delle autonomie, la norma costituzionale in questione deve ricevere tem- pestiva attuazione.

Si tratta di una prescrizione costituzionale, che in quanto tale deve essere osservata dal Parlamento, dal Governo e dagli altri soggetti dell’ordinamento, a maggior ra- gione visto che a questo punto non sembra sussistere neanche più l’alibi fin qui uti- lizzato per non attuare una prescrizione costituzionale, che era rappresentato, ap- punto, dall’avere una riforma costituzionale in itinere: quella stessa riforma nella cui

“attesa” era stata appunto prevista l’integrazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali.

Non è un caso che in questo senso si sia mossa la stessa Commissione bicame- rale per le questioni regionali. Nel documento conclusivo di un’indagine conosciti- va dedicata alle “forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con par- ticolare riguardo al «sistema delle conferenze»”, approvato all’unanimità il 13 ottobre 2016, la Commissione ha prospettato una serie di soluzioni a seconda dell’esito del referendum costituzionale che si sarebbe svolto di lì a meno di due mesi: per il caso di vittoria dei “no” alla riforma costituzionale ha espressamente auspicato l’attua- zione dell’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Si tratta di argomenti assolutamente condivisibili e assai attuali, una volta ve- nuta meno la prospettiva di un Senato rappresentativo delle autonomie territoria- li. Il fatto che siano stati adottati, in seno a quella Commissione, da tutte le forze po- litiche dovrebbe rappresentare il miglior viatico a una tempestiva attuazione dell’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Se così non fosse, verrebbe allora da pen- sare che si è trattato di puro maquillage; o, fors’ancor peggio, di una posizione me- ramente strumentale, assunta in campagna referendaria ed intesa unicamente a tran- quillizzare gli elettori del “no”, nel senso che comunque una qualche presenza del- le autonomie in Parlamento sarebbe stata anche in tal caso assicurata.

In definitiva, credo che l’alternativa sia piuttosto drastica. O si pensa che la par- tecipazione dei rappresentanti delle autonomie non sia necessaria, e sono in parecchi a sostenerlo (forse perché adottano un approccio centralista, diffuso anche in alcuni organi dello Stato, peraltro senza percepire l’effetto di co-responsabilizzazione del- le autonomie che questa partecipazione comporterebbe; o perché sono avvantaggiati, in un modo o nell’altro, dagli attuali equilibri). Oppure bisogna prevederla, ed af- frontare perciò le difficoltà e le innovazioni che da tale partecipazione in qualche mi- sura inevitabilmente derivano.

A questo riguardo merita di essere richiamata l’audizione del Sottosegretario Bres- sa svolta di recente davanti alla Commissione parlamentare per le questioni regionali4, nella quale è reperibile una ipotesi per vero un po’ sorprendente, anche se formula- ta come transitoria, in attesa cioè dell’attuazione dell’art. 11. Quella di istituire un’ap- posita Conferenza Stato-autonomie territoriali che esprima i propri pareri tra la pri- ma e la seconda lettura dei due progetti di legge presso i due rami del Parlamento. Sembrerebbe quasi trattarsi di una terza Camera o una sorta Bundesrat, senza ave- re tuttavia le garanzie del Bundesrat, e che interverrebbe, sia pure rivolgendosi solo al Governo, su testi già approvati da una camera di rappresentanza parlamentare.

Sinceramente mi pare un’ipotesi davvero poco giustificabile sul piano sistema- tico. Una norma costituzionale che va nella direzione opposta, ossia che abilita e im- pegna espressamente le Camere e il Governo ad adottare una soluzione di ben di- verso tenore. Intuisco che, dietro una posizione siffatta, invero piuttosto acrobati- ca, vi sia una logica di comprensibile difesa dell’attuale ruolo giocato dal “sistema delle Conferenze”, e quindi dal Governo, all’interno di questo.

Sul piano della composizione della Commissione integrata, mi limito a ricordare che alcune Commissioni “miste”, cioè composte da parlamentari e non parlamentari,

già esistono. Attualmente, le Commissioni istituite presso Ministeri con questo tipo di partecipazione sono tre5: si tratta di residui di altra epoca storica, probabilmen- te. Segnalo, inoltre, che nella XVII legislatura due Commissioni di studio sono sta- te istituite dalla Presidente della Camera dei deputati, composte anch’esse da par- lamentari e non parlamentari6. Stiamo parlando di Commissioni prive, certo, di po- teri decisionali, istituite non da una norma costituzionale, ma con un atto della Pre- sidente della Camera, e che si riuniscono nelle sedi della Camera. A maggior ragione, ritengo, quindi, che i problemi posti sulla questione della composizione della Com- missione integrata, in particolare legati alla partecipazione di non parlamentari, sia- no tutt’altro che irrisolvibili.

Sul tema delle competenze, sono convinto che i regolamenti parlamentari sia- no abilitati a interpretare, con un ampio margine di discrezionalità, la sfera di com- petenza di questa Commissione integrata, al di là delle “etichette” dei commi secondo, terzo e quarto dell’art. 117 Cost. Tuttavia, l’interpretazione restrittiva secondo la qua- le la competenza della Commissione integrata riguarderebbe solamente i progetti di legge di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., oltre che del successivo art. 119, non mi pare condivisibile. Ben venga, quindi, un’interpretazione ampia delle com- petenze, del resto in linea con quelle della Commissione bicamerale, nella sua com- posizione attuale.

Il punto, a mio avviso, è quello di limitare in modo rigoroso l’effetto di raffor- zamento del parere della Commissione. Direi che questo debba prodursi solo e sol- tanto quando si invochi il rispetto di queste disposizioni costituzionali.

Al riguardo mi spingerei ad avanzare un’ipotesi su cui si può, forse, ragionare. Quando la Commissione integrata è chiamata a esprimersi sulle materie di sua com- petenza – a parte, ovviamente, i pareri sullo scioglimento del Consiglio regionale e sulla rimozione del Presidente della Regione, che resterebbero di competenza del- la Commissione bicamerale nella sua composizione esclusivamente parlamentare – perché non lasciare libero il funzionamento interno della Commissione, almeno di regola? Non dobbiamo porci troppo il problema di come questa Commissione voti, se per effetto di questo voto non si produce l’effetto di vincolo, consistente nell’in- nalzamento della maggioranza richiesta nel procedimento legislativo presso le due Assemblee. In mancanza di indicazioni esplicite, la Commissione integrata voterebbe, a mio avviso, come votano, di norma, tutti gli organi parlamentari, a prescindere dal- la derivazione dei suoi componenti.

Invece, perché l’effetto di vincolo possa effettivamente prodursi, e non discen- da da scelte meramente tattiche o da maggioranze occasionali, farei ricorso a peculiari meccanismi di votazione, richiedendo sicuramente la sussistenza della “doppia mag- gioranza”, ossia di una maggioranza in ciascuna delle due componenti (parlamen- tare e autonomistica)7; e non escluderei neppure la possibilità, in particolare per la componente autonomistica, di stabilire, per qualche ipotesi determinata (penso alle questioni sul federalismo fiscale; o ai provvedimenti che riguardino la dislocazione sul territorio di opere pubbliche) o persino in generale, una articolazione differen- ziata (distinguendo, ad esempio, tra rappresentanza regionale e rappresentanza dei comuni) e fors’anche ponderata (dando perciò maggior peso alle regioni più popolose)

dei voti, al suo interno. In definitiva, se la componente autonomistica vuole ponderare i propri voti, non credo si possa obiettare nulla, sempre che ciò avvenga al solo fine di verificare se, al suo interno, esista una maggioranza per concorrere ad originare l’effetto di vincolo.

Nell’attività ordinaria della Commissione, in sostanza, non cambierebbe così qua- si nulla rispetto al suo funzionamento attuale, salvo il fatto di renderla molto più au- torevole e significativa nei suoi orientamenti, perché parteciperebbero regolarmente ai suoi lavori, in maniera ordinaria, anche i rappresentanti di Regioni ed enti loca- li. Solo in via eccezionale, decidendo di invocare il rispetto degli artt. 117 e 119 Cost., e, nel contempo, di formalizzare le proprie procedure interne di lavoro (con la ve- rifica della sussistenza “doppia maggioranza”), la Commissione potrebbe obbliga- re le Camere a conformarsi ai propri orientamenti, salvo richiedere, in caso contrario, una maggioranza più elevata, pari alla maggioranza dei componenti nelle due Ca- mere.

Lungi dal moltiplicare, come pure si è sostenuto, i poteri di veto8, un’attuazio- ne di tal tipo della Commissione bicamerale integrata sarebbe in grado di respon- sabilizzare le autonomie e di “introiettare” tali poteri di veto, in forma trasparente, nei procedimenti legislativi statale, evitando che i poteri di veto medesimi – come accade ora e come accadrebbe a maggior ragione nei confronti di governi sorretti da una debole maggioranza parlamentare – si manifestino altrove: ossia a priori in modo parziale e occulto, come accade nel “sistema delle Conferenze”; o a posterio- ri con forme di coinvolgimento della Corte costituzionale, le quali ovviamente ori- ginano, bene che vada, un significativo allungamento dei tempi dell’effettiva rea- lizzazione delle politiche pubbliche pur concordate con le autonomie nelle loro fasi iniziali (e a volte persino sollecitate da queste ultime).

1. Cfr. R. Bifulco, L'onda lunga della sentenza

251/2016 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 2017, n. 3.

2. Usa entrambi gli argomenti, in particolare, V. Lippolis, Le ragioni che sconsigliano di at-

tuare l’articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in Rassegna parlamentare,

2007, n. 1, p. 61 s. Per alcune considerazioni in risposta cfr., volendo, N. Lupo, Sulla ne-

cessità costituzionale di integrare la Com- missione parlamentare per le questioni re- gionali, ivi, n. 2, p. 357 s.

3. Cfr., tra gli altri, P. Caretti, La lenta nascita

della “bicameralina”, strumento indispen- sabile non solo per le Regioni, ma anche per il Parlamento, editoriale in Le Regioni,

2003, p. 351 s.

4. Nella seduta del 2 marzo 2017.

5. Si tratta della Commissione di vigilanza sul- la Cassa Depositi e Prestiti; della Commis- sione per l'accesso ai documenti ammini- strativi; e della Commissione consultiva sul- le ricompense al merito civile.

6. Si tratta della Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet e della Commis-

sione “Jo Cox” sull’intolleranza, la xenofo- bia, il razzismo e i fenomeni di odio. 7. Nel senso della necessità della “doppia

maggioranza”, cfr. ora la relazione all’As- semblea della Commissione parlamentare per le questioni regionali “sulle forme di rac- cordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull’attuazione degli statuti speciali”, ap- provata dalla commissione nella seduta del 10 maggio 2017 (Doc. XVI-bis, n. 11), la quale ricorda che tale necessità era già stata prospettata dal “comitato Mancino” nella XIV legislatura e sostiene altresì l’op- portunità di indicare, per ogni provvedi- mento, un “doppio relatore”. La relazione è stata approvata dall’Assemblea del Senato nella seduta del 31 maggio 2017. 8. Cfr. S. Ceccanti, A Costituzione invariata (ma

non pecchiamo di iper-realismo?). La priorità è la disciplina dei gruppi, in Il Parlamento dopo il referendum costituzionale. Il Filan- gieri. Quaderno 2015-2016, Jovene, Napoli,

2017, p. 21 s., spec. 25.

1. RITORNARE A DISCUTERE: PER COSA E CON QUALE PROGETTO?

Discutere oggi del “futuro” delle autonomie regionali è molto complicato, sia per mo- tivi contingenti (la legislazione post 2008 ha fortemente inciso su alcune condizio- ni di base dell’autonomia), sia, soprattutto, perché si ha spesso la sensazione di di- battere di temi che molti considerano ininfluenti per le sorti del Paese. Del resto la recente campagna referendaria ha dimostrato come i temi connessi, appunto, al fu- turo delle autonomie, paradossalmente non siano stati al centro del dibattito.

Al di là del giudizio (positivo o negativo) sul Disegno di legge di revisione co- stituzionale, è innegabile, tuttavia che esso avesse il suo baricentro nel superamento del bicameralismo paritario e in un diverso assetto autonomistico. Il che è rimasto quasi completamente sullo sfondo di un dibattito, invece, tutto incentrato sui “pe- ricoli” o addirittura sulle “deriva” democratica che la sua conferma in sede referendaria avrebbe comportato.

Tolti gli interventi dei pochi esperti della materia, i costituzionalisti contrari alla riforma ne hanno infatti enfatizzato l’impalcatura, a dir loro, anti-democratrica e poco o niente si sono fermati sulla sostanza delle revisioni. Ed anzi molti si sono voluta- mente arrestatati a criticare il “metodo” della riforma stessa, senza voler procede- re oltre.

Di qui una prima annotazione che ritengo indispensabile: il futuro delle auto- nomie regionali deve venire sganciato, nelle riflessioni dottrinali, dalla contingen- za della politica nazionale. Poiché una cosa è dire (a ragione) che l’assetto dell’au- tonomia regionale incide sulla democraticità del Paese e sulle sue possibilità di svi- luppo economico e sociale, altra e diversa cosa è asserire che certe riforme posso- no condursi solo in determinate condizioni politiche.

Se l’assetto delle autonomie regionali nel nostro Paese viene connesso preva- lentemente a questo secondo aspetto, allora la partita è già persa, poiché esse ven- gono sganciate dalla loro dimensione di elemento strutturale essenziale per il Pae- se.

delle autonomie regionali: