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Liminalità: di donne che non stanno al loro posto

Penelope, come Antigone, occupa una posizione anomala anche se in modo meno esplicito. Questa interpretazione che vede nell’inganno di Penelope una negazione del suo ruolo di moglie, in realtà viene suggerita da alcune riletture del personaggio, in controcorrente rispetto alla tradizionale immagine di Penelope, ma legittimata dalle ambiguità del comportamento del personaggio omerico. Cavarero propone una lettura, della funzione simbolica del personaggio, esplicitamente volta a ricostruirne un significato con il fine di contribuire alla costituzione di un nuovo ordine simbolico femminile, senza pretendere aderenza alle intenzioni di Omero. In ogni caso, la negazione di Penelope del ruolo di moglie, il suo rifiuto di adottare un comportamento che corrisponda al modello di questo ruolo, non è il frutto di una scelta presa dalla donna che Omero indichi al lettore attraverso qualche dialogo o monologo, né alcun comportamento esplicito del personaggio, il quale, diversamente da Antigone non si espone mai pubblicamente.

Antigone è sovversiva, viola l’editto di Creonte volutamente e ne rivendica il diritto attraverso l’ammissione pubblica di quanto avvenuto. La sua determinazione e il suo carattere ostinato, sono componenti fondamentali che compongono la dimensione tragica della vicenda e il personaggio che Euripide costruisce attorno a questa figura mitologica si distingue per fierezza e dignità fino ad assumere alcuni caratteri dell’eroe, tanto da indurre Hölderlin a parlare di “eroica virtuosità”235

. Certo, la sua grande impresa rimane vincolata al ruolo femminile della cura del corpo, ma, in questo caso, Antigone, per adempiere al suo compito, si trova a misurarsi con la morte, senza però averlo desiderato, né ambire all’immortalità nella memoria.

Penelope invece, non è esplicitamente ribelle, né caparbia, ma è astuta. Non vi è in alcun modo, nella sua vicenda un confronto con il rischio di morte, né uno scontro diretto con l’autorità. Penelope, anziché scegliere di morire pur di ottenere pubblico riconoscimento, decide di

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intraprendere la strada che farà sopravvivere più a lungo la sua esperienza: quella dell’inganno. Poiché il significato della sua esperienza è radicalmente estraneo agli schemi di riconoscimento legati al potere costituito, quest’ultimo non la riguarda in alcun modo, al punto di non desiderane alcun contatto. La negazione del ruolo di moglie, in Penelope, si manifesta in modo apparentemente silenzioso e intimo. Lei non invade mai la sfera pubblica più di quanto le venga concesso, piuttosto si ritira e occupa lo spazio che le viene attribuito in modo diverso da come dovrebbe. Penelope trasforma la natura del suo lavoro e rinnova il significato della sua presenza in casa.

Il discorso pubblico ad Antigone serve per rivelarsi e per rivendicare la propria sovranità, opponendola a quella di Creonte. Le parole di Penelope dette nella sala dei banchetti, occupata dai proci, in presenza di costoro e del figlio Telemaco, servono al contrario per confondere e dunque per celarsi e proteggere quell’alterità radicale del luogo che lei stessa ha costituito con la complicità delle ancelle.

Butler, sottolinea il valore performativo dei discorsi, e di come questo carattere attivo della parola sia accentuata nella tragedia, in cui il dire è agito, doppiamente, in quanto recitato. L’azione, spiega la studiosa, è indissociabile dalla parola e Sofocle lo sa bene: le maledizioni pronunciate da Edipo contro i figli, in Edipo a Colono si sono realizzate e non poteva essere altrimenti, poiché la parola è creativa in un senso letterale, essa è inalienabile dalle azioni e dai fatti. Antigone dunque non potrebbe tacere sulle proprie azioni, i suoi discorsi sono intimamente legati alla sua concreta ribellione.236 Nell’Antigone di Sofocle, non solo “Parola e azione devono coincidere per essere efficaci”237, ma inoltre “Parlare è esistere”238

, dunque, il silenzio assume il valore di una specie di morte e la menzogna si smentisce sempre nell’avverarsi delle predizioni degli oracoli, portatori il più delle volte di sventure. Nel caso di Penelope, esiste un legame tra i suoi discorsi e le sue azioni, ma si articola in modo diverso, anzi opposto. L’agire della donna, è strettamente legato alle sue parole, poiché la sua posizione esiste e può continuare ad esistere grazie ad un inganno, ma ciò che lei dice non si avvera, al contrario si falsifica. Cavarero, lo scrive in modo molto chiaro in A più

voci: la parola ha il potere di mascherare. Le parole, intese come logos purificato dall’elemento

corporeo, possono dire “tutto e il contrario di tutto”239.

Il linguaggio, in quanto logos, è caratterizzato da un insieme di regole che si basano sul principio di non contraddizione, quest’ultimo, permette di distinguere e di comunicare, e fa del discorso lo strumento principale della politica, anche in quanto, ma non solo, ha il potere di esprimere i

236 J. Butler, La rivendicazione di Antigone, trad. it., p. 86.

237 S. Fornaro, Antigone storia di un mito, Carocci, Roma, 2012, p. 23. 238 Ivi, p. 22.

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significati legati all’ordine comunitario. Il linguaggio, infatti, rende l’uomo un essere politico, soprattutto poiché esso è strumento di comunicazione, e su di esso si costruiscono le relazioni. La parola in se stessa rispetta le leggi logiche, ma paradossalmente può portare in sé la contraddizione che le permette di celare colui che la pronuncia, non tanto violando il principio di coerenza interna, ma alterando il suo rapporto con il mondo corporeo. A rivelare, al contrario è la voce. Il suono che esce dalle nostre corde vocali ci rivela inevitabilmente, poiché fa parte della nostra corporea e inconfondibile unicità. 240

L’astuzia di Penelope consiste anche nell’utilizzare la parola per mascherare; nascondere ha per lei il significato di proteggere e preservare la propria alterità. Che la sua voce possa rivelare la verità, noi non lo sappiamo, possiamo immaginarlo. In questo caso, la rivelazione vocale sarebbe stata traditrice, poiché l’identità unica e irripetibile che nel corpo di Penelope si manifesta e che l’abile tessitrice sta costruendo, tessendo le trame della sua storia, per sopravvivere ha bisogno di nascondimento. Forse avrebbe dovuto imparare qualcosa Ulisse sul valore della vocalità, lui che ha sentito le Sirene onniscienti cantare e con il canto rivelare terribili verità, e invece, proprio in seguito all’incontro con loro, ha imparato ad ignorarla, per paura di perdersi. L’eroe è infatti impegnato a ristabilire i rapporti di potere e alla moglie non presta attenzione che in funzione di questo. Ciò ha paradossalmente aiutato Penelope a celarsi meglio, poiché lei agisce secondo una logica totalmente estranea a quella del potere che Ulisse rappresenta e che in lui si realizza. A quest’ultimo, che ha saputo dominare ninfe, streghe e sirene, la moglie rimane un enigma insolvibile e indecifrabile, egli si ritrova impotente di fronte a lei.

L’essere altro e la propria posizione marginale, rispetto al sistema politico e di potere, si esprimono in Penelope e Antigone in due maniere molto diverse. Antigone, usa lo strumento politico del discorso, invadendo con uno scontro frontale la sfera pubblica, ed assimilandone i mezzi comunicativi. Come abbiamo visto, sotto la guida di Butler, lei si appropria dello strumento linguistico di Creonte, o, detto più chiaramente, parla come un uomo che rivendica la propria sovranità. La pretesa di un riconoscimento legale del rapporto di parentela con il fratello è talmente potente che essa non può coesistere con il codice vigente, per questo vi si oppone in modo frontale ed assimilandone i mezzi. Le due leggi, pur intrecciandosi rimangono due alternative assolute e in ciò consiste la negazione radicale: due codici si oppongono ed uno non può sopravvivere fintanto che l’altro vige. Ecco perché Antigone è costretta a misurarsi con la morte, se la sua posizione non viene riconosciuta, non solo non le rimane che la morte, ma è come se lei fosse morta già da sempre, almeno come individuo e soggetto di diritto. Da qui la sua marginalità estrema, della quale,

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il potenziale sovversivo, come abbiamo visto, risiede nell’intrattenere comunque un legame con lo statuto vigente, in quanto bandita241 da esso e in quanto per opporsi ad esso Antigone si appropria delle sue armi. In questa sua esperienza del limite, Antigone “è l’occasione per un nuovo campo dell’umano”, ci dice Butler, 242

ovvero in lei vive in potenza una costituzione non ancora costituita. Il potere di Antigone risiede dunque in quella possibilità che non ha visto ancora attuazione, ma che consiste nell’apertura dell’orizzonte del possibile che fa vacillare l’attuale. Per avere efficacia, essa ha bisogno di venire alla luce rischiando di non realizzarsi e di rimanere solo potenziale.

Per Penelope le cose stanno altrimenti. La donna utilizza il discorso, ma nel suo caso, le parole non assumono mai una valenza esplicitamente politica, al contrario mantengono l’aspetto delle parole di una madre apprensiva e premurosa, di una moglie fedele o di donna vanitosa, ma sempre saggia. Penelope non rivendica alcuna sovranità e non parla “come un uomo”, nel senso che non espone il desiderio di ottenere pubblicamente alcun riconoscimento politico e quando il figlio la rimprovera per essersi spinta oltre nel discorso, lei ritorna obbediente al telaio, a differenza di Antigone, la quale, spesso associata ad un maschio da Creonte, non si tira indietro. L’alterità di Penelope si mantiene tale, perché i suoi strumenti di confronto sono diversi da quelli del sistema del potere. Il suo spazio, può convivere con quello definito dal codice vigente, poiché nel suo interno, il potere di quest’ultimo è vanificato, svuotato. Non c’è dunque bisogno per Penelope di esporsi ad uno scontro frontale, ma piuttosto di sottrarsi ad una realtà che lei nega e non riconosce. In questo caso, l’esperienza di Penelope, trova la sua potenza nel fatto di essere un’alternativa in atto, ma essendo la sua attualità contemporanea a ciò a cui si oppone, per mantenere questo statuto, ha bisogno di erigere una distanza di protezione. Potremmo vedere in Antigone una sovversiva e in Penelope una resistente, laddove la posizione di marginalità articola il proprio rapporto alla dimensione del codice costituito in modo completamente diverso.

241 Per un approfondimento sul tema del legame tra la legge e quanto viene da essa bandito: G. Agamben, Homo sacer.

Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 2005. Qui il filosofo definisce la condizione del bando come: << zona

di indiscernibilità fra nòmos e physis, in cui il legame statuale, avendo la forma del bando, è già sempre anche non- statualità e pseudonatura, e la natura si presenta già sempre come nòmos e stato di eccezione.>>(p122). Il bando è dunque una condizione che si pone al limite tra legge e stato di natura e che trascende il confine dell’una verso l’altro e viceversa, in questo modo vene costituito e mantenuto un legame, tra le due sfere contraddittorie ed opposte. <<Il bando è essenzialmente il potere di rimettere qualcosa a se stesso, cioè il potere di mantenersi in relazione con un irrelato presupposto>> (p. 123) e ancora: << Più intima di ogni interiorità e più esterna di ogni estraneità è, nella città, la

bandita della vita sacra >>(ibidem). Tale relazione, che consiste nella<<zona di indifferenza>>, è <<la relazione

politica originaria>> (ibidem). Questa posizione liminale è un elemento che accomuna il sovrano e il bandito, infatti: <<Il bando è propriamente la forza, insieme attrattiva e repulsiva, che lega i due poli dell’eccezione sovrana: la nuda vita e il potere, l’homo sacer e il sovrano>>. Forse proprio questa vicinanza tra le due figure opposte del sovrano e del bandito, le quali sono posizionate entrambe nel luogo della relazione politica originaria, ovvero quella in cui la sovranità si afferma, fa di colui che è bandito un potenziale portatore di un’altra relazione di potere e di un’altra norma, poiché anche costui si colloca in quel luogo originario di indeterminatezza, in cui un’altra sovranità potrebbe costituirsi. 242

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Cavarero, suggerisce che Penelope conservi per sé un luogo estraneo all’ordine simbolico patriarcale, in cui lei possa affermarsi come donna, senza assumere il ruolo di moglie. 243 La sua posizione è liminale in tempo potenzialmente indefinito: rimanendo fedele ad Ulisse e ingannando i proci, disfacendo la tela che di giorno tesse, lei può essere moglie di nessuno, o meglio, può non essere moglie. Penelope, dice Cavarero, è esattamente questo fare e disfare; la fine di questo lavoro, è la fine di Penelope stessa e di quanto lei rappresenta. Secondo la filosofa, in altre parole, l’attesa della moglie è in realtà un’occasione per non essere moglie. Si potrebbe immaginare che il ricordo di Ulisse si sia affievolito e forse che anche il desiderio di riaverlo con sé non sia altro che un ricordo lontano. Penelope non sa nulla delle sue grandi imprese e le gesta eroiche del marito non la riguardano244, lei vive lo spazio da lei stessa concepito: quello della tessitura e del disfacimento, quello estraneo ad ogni posizione socialmente definita e che non soddisfa i criteri che distinguono il ruolo di genere. Perché infondo il sudario per il suocero non è che una scusa, per non dare una risposta ai proci e lei non ha alcuna intenzione di terminarlo. Delle ricchezze del figlio, Penelope non si preoccupa come dovrebbe fare una madre e attende il marito solo per non sposare qualche altro pretendente. D’altra parte preferisce tenere i proci nella sua casa e illuderli fin che può, poiché, rinunciare al loro corteggiamento e alla possibilità di un nuovo matrimonio, sarebbe forse come scegliere di essere la moglie fedele di un uomo lontano, oppure la vedova di un eroe caduto. Penelope non è né moglie, né madre premurosa, né futura sposa onesta, né vedova.

Questa situazione le permette di conservare per sé quel luogo separato, in cui lei appartiene a se stessa, dice Cavarero.245 Quel luogo che altrimenti non avrebbe, poiché dovrebbe occupare un posto, attribuitole da un codice, che non è il suo, confinata nell’ombra a cui è destinata ogni esistenza secondaria rispetto alla storia di grandi gesta. Questa determinerebbe la sua sorte, ma al contempo la escluderebbe. Ad essa invece la donna, decide di sottrarsi a modo proprio, senza appartenerle e senza riconoscerla. Penelope ha una sua storia, quella delle trame che lei stessa tesse, che lei stessa disfa. La sua storia è disegnata in una tela con la quale inganna e protegge, tradisce e difende. A questa tela Penelope è costretta dall’ordine patriarcale, incarnato dal suo stesso figlio che ancora giovane, ma già padrone, le impone spesso di rientrare nelle sue stanze. In questo modo il ragazzo la invita ad occuparsi con faccende da donne, poiché alle discussioni ci pensano gli uomini.

Telemaco: “Torna nelle tue stanze, bada alle tue cose, al fuso e la telaio e ordina alle ancelle di pensare al lavoro. Agli uomini sono riservati i discorsi, a tutti, ma a me soprattutto che in questa casa regno e comando” Tornò nelle sue stanze la donna, stupita, serbando nel cuore la sagge parole del figlio”246

243 A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica. ,op. cit., p. 21. 244 Ivi, p. 22.

245 Ibidem. 246

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Eppure la madre, proprio nelle stanze in cui viene reclusa e con il telaio a cui viene costretta, si sottrae a quel ruolo che dovrebbe occupare. Confinata dietro le quinte del grande sipario, lei trasforma il retroscena in un luogo impenetrabile247 per gli attori che vivono il palcoscenico. Penelope, così facendo, si sottrae alla norma stabilita, infatti al telaio non produce panni, sottolinea Cavarero, non è fedele ad altri che a se stessa e alle ancelle, non difende altro che la sua, la loro nuova dimora. Qui, in questo spazio intoccabile, Penelope si ricostruisce, disegna i tratti aperti della sua identità, si riscopre, riappropriandosi del proprio corpo, delle proprie mani abili e della propria astuzia. Il disfare di Penelope è ciò che vanifica la sua presenza nelle stanze, il tessere giornaliero infatti, cambia di significato alla luce del lavoro di disfacimento notturno, da lei compiuto all’insaputa degli uomini che occupano la casa. Penelope non è produttiva e non si prende cura dei famigliari, per appropriarsi invece del suo tempo, del suo spazio. Nel frattempo i proci aspettano invano, loro perdono davvero il loro tempo, credendo di agire secondo il proprio interesse, convinti di impegnarsi in un fronte che spetta agli uomini, quello della conquista del potere. Essi sono persuasi di rivaleggiare per concludere un affare, quello del matrimonio. Invece spenderanno gli ultimi anni della loro vita a bere e mangiare come bestie: “Penelope sottrae loro il dominio della reggia e il dominio di una regina diventata moglie, lasciando che il maschile affaccendarsi per la conquista del trono regni inutilmente ad Itaca.”248

Nel frattempo Telemaco è impotente e Ulisse lontano. Quest’ultimo però tornerà per riaffermare la propria posizione, ponendo fine, almeno momentaneamente, all’esperienza di autonomia di Penelope.