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Il generare vita, non è imposto a Kore dalla madre, come un dovere ereditato, ma le viene donato come una potenza da esercitare secondo volontà propria. Tale trasmissione si rende visibile nello sguardo della madre rivolto alla figlia e nella risposta di quest’ultima, poiché lei, simile alla prima, è garante del possibile ripetersi delle nascite e del consistere del potere generativo. Kore, infatti, nel mito viene tematizzata sempre e solo come figlia, mai come madre, poiché è nell’essere figlia e non madre che la sua visibilità esprime la continuità del potere materno.281 Il solo sguardo materno e filiale che unisce due diverse generazioni di genere femminile, scrive Cavarero, basta a garantire la possibilità di una nuova nascita.

Questa rappresentazione si oppone nettamente, insiste Cavarero, alla concezione del femminile che tende ad appiattirlo alla sola dimensione materna, imponendo ad ogni donna un ruolo, come modello al quale rispondere e quindi riducendo la sua potenza ad un obbligo. Demetra, infatti, svincolata da ogni coercizione, ha trasmesso a Kore il segreto della vita di cui lei è detentrice e di cui anche Kore avrebbe dovuto disporre a propria discrezione.

Il mito infatti ci dice anche che la potenza materna è appunto potenza piena di generare e di non generare: non essa deve generare, ma ha generato e può generare, poiché si porta in grembo tanto l’apparire come forma dell’infinito passato e futuro, quanto il nulla nella forma solo futura del non più. E proprio qui sta il significato più profondo del “segreto” femminile della vita attribuito dalle culture delle origini alla Grande Madre: il generare è esperienza solo femminile ma non è un processo automatico e necessitante di cui le donne siano mero veicolo.282

280

Ivi, p. 70. 281 Ibidem.

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In altre parole, Cavarero nega l’esistenza di un processo biologico della natura, sorretto da una forza meccanica e necessitante di cui le madri sarebbero le pedine strumentali. Ad esso, la filosofa, attraverso la figura di Demetra, oppone lo stretto legame che fa della forza che genera e della madre un intero. Demetra, sottrattole lo sguardo della figlia e la figlia dallo sguardo, ritrae la vita e tutta la natura, che in lei e da lei vive, smette di nascere e di generare.283 La potenza materna dunque, possiede quel segreto della vita il quale contiene la terribile possibilità del nulla, della desolazione, che Demetra mette in atto, come risposta alla violazione di Ade. La dea provocando questo nulla come privazione assoluta di generazione, mostra al figlio dimentico della madre, che esiste qualcosa di più terribile e più potente della morte, la quale da lui in poi sarà fatta cifra dell’esistenza umana e misura dell’uomo, unico fra gli esseri viventi a chiamarsi mortale.

Contro tutta una tradizione di pensiero che, disprezzando la nascita e la vita, come testimonia Sofocle in Edipo a Colono, 284 ha appreso che meglio innanzitutto sarebbe non essere mai nati, e in secondo luogo morire, Demetra ricorda che il male più terribile invece è proprio la desolazione dell’assenza del nascere. Il non apparire, il non venire al mondo è la cosa più tremenda, è più spaventosa della scomparsa nel nulla che è la morte, tanto che nemmeno gli dei, tra cui Ade, dio degli Inferi, possono sopportare questa atroce condizione del nulla più assoluto della morte che si diffonde nella terra. L’uomo può misurarsi forse con la morte, ma mai potrebbe misurarsi con ciò che coincide con l’assenza totale del genere umano e di vita generata.

Il mito di Demetra, dea della gioia di vivere che, con la fertilità della terra e i suoi frutti, porta all’uomo non solo sopravvivenza, ma anche calore, letizia e godimento di pienezza vitale, ha il merito di mostrare anche il lato terribile e negativo della maternità, quello dell’ira minacciosa, trasformandosi in dea sofferente, adirata e vendicativa, capace di arrestare il processo della nascita. Il rancore di Demetra si oppone alla stessa vita di cui lei è madre, proprio nel momento in cui il valore della sua attività generatrice non viene riconosciuto e rispettato, quando la vita che lei genera viene costretta a piegarsi ad altri poteri, che misconoscono la grandezza della sua potenza generatrice e la fronteggiano.

Delfina Luisardi ha dedicato a Demetra e al lato oscuro del materno di cui questa figura è portatrice, un intervento alla conferenza L’ombra della madre presentato sotto il titolo di Demetra e

il figlio della regina. Questa madre potente, sostiene in quell’occasione la filosofa, è oggi

dimenticata, sostituita da una madre a sua volta privata del riconoscimento adeguato della sua

283 Ivi, p. 71.

284 Sofocle, Edipo a Colono, trad. it., p. 139 : << Non essere nato: vince ogni ragione. O nascere per poi tornare in fretta laggiù da dove sei venuto: vi si avvicina>>.

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importanza e dovrebbe invece essere riabilitata per supportare la vacillante concezione attuale di maternità. Quest’ultima al tramonto del patriarcato e alla decostruzione critica dell’ideale materno che in esso vigeva, anziché ritrovare una rinnovata energia con cui ricostruire il proprio significato, rimane sospesa nel vuoto di senso rimastole dalle rovine della madre della cura. La potenza materna permane nell’oscurità dell’oblio, privata anche di quella rappresentazione inadeguata che faceva di lei la nutrice, il veicolo del generare obbligato a soddisfare i bisogni biologici del processo vitale.

Della madre, sostiene la filosofa, non restano che i frammenti di un ideale della cura lasciatoci dal patriarcato e una zona d’ombra, corrispondente al suo volto negativo e pericoloso, che soffre dell’impossibilità di essere detto ed esperito in modo adeguato. Per questo alla madre viene privata la possibilità di collocare la rabbia di fronte all’ingratitudine con cui la società risponde alla sua attività indispensabile. Non le resta che ripiegare in sé questa sofferenza trasformandola in risentimento, denuncia la filosofa.

Se mancano gli strumenti adeguati per dare una forma riconoscibile ed un significato alle diverse possibili sfaccettature della maternità, è a causa della rimozione della nostra cultura “del lato minaccioso della potenza materna” che invece Demetra ci rivela.285

La dea, da un lato, è capace di esprimere e donare un amore immenso, senza misura, ma d’altro canto, la sua furia quando viene provocata, quando il suo dare incondizionato non viene accolto né riconosciuto, non si può controllare, si manifesta smodatamente. L’amorevole madre può diventare furibonda di un’ira sconfinata a cui il mito di Demetra dà un volto, una collocazione e un significato.

Questa figura del materno, disponibile nell’antichissima tradizione sacra mediterranea, personifica un’energia femminile complessa e mutevole. In Demetra c’è una polarità di sentimenti, che sono le sue qualità d’essere, in perfetta opposizione: la gaiezza, l’allegria possono trasformarsi nella più cupa tristezza, la gentilezza può trasformarsi in un furore terribile, in una rabbia indomabile qualora vena offesa, violentata, maltrattata, fraintesa, bloccata la sua naturale disponibilità al dono, lo spontaneo fluire della sua fecondità…286

Il lato oscuro di questa maternità, è stato nascosto, dimenticato, represso nella tradizione Occidentale, in cui il modello della madre da un lato si è tradotto nell’idealizzazione della nutrice, e dall’altro nella sua riduzione a tutrice dell’aspetto meramente biologico della nascita e della cura. Inoltre, sostiene la filosofa, esiste un altro volto della madre che il mito di Demetra, narrato nell’Inno a Demetra degli Inni Omerici, ci rivela, che non corrisponde né al lato oscuro e temibile della madre, né al generare e alla cura così come sono concepiti nella nostra tradizione culturale. Questo aspetto viene descritto dalla Luisardi, come una “qualità feconda della presenza femminile”

285 D. Luisardi Sassi, Demetra e il figlio della regina, in Diotima, L’ombra della madre, op.cit., p 130. 286

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che “si manifesta come nutrimento invisibile”. Questa fecondità è una fecondità spirituale, ma incarnata in un corpo materno, è l’energia dell’amore di madre messo a disposizione nel luogo che la donna abita. L’interruzione del processo biologico della vita e del nascere che Demetra opera, non solo quando minaccia di privare la terra di fecondità, ma anche precedentemente, nel gesto violento con cui interrompe la trasformazione divina di Demoofonte, figlio della regina di Eleusi, che la dea cresce come un Dio, corrisponde alla mutazione di questa energia da amore ad ira. Questo cambiamento violento dell’attitudine di Demetra, che distrugge il suo stesso operato con l’intento di privare del suo dono, ha luogo in seguito alla violazione dello spazio segreto in cui la sua potenza creatrice viene agita, a causa di una “incosciente dimenticanza”.287

Tale dimenticanza è quella che nasconde la fecondità invisibile e inafferrabile di Demetra, che tuttavia è “percepibile con tutto il nostro essere”, poiché essa riempie di energia le relazioni umane e arricchisce la vita alleggerendo lo spirito.

L’eros della Madre alla quale è stata sottratta la Figlia può generare con questa fecondità: Demetra ne offre un’immagine precisa e sublime mentre fa crescere come un essere divino l’umano figlio della regina, grazie alle sue mani che accarezzano il piccolo corpo, lo fanno salire “sulle sue ginocchia”, lo avvicinano al fuoco che trasforma. Le stesse mani che con una torsione repentina, allontanano da sé, abbandonano a terra, respingono, lasciano cadere nelle fiamme…288