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Il mito di Demetra: del generare rubato e delle sue manifestazioni perdute

Demetra, la dea del grano, divinità simbolicamente associata alla maternità e alla fertilità, rappresenta la potenza generatrice e il segreto della nascita, la forza spontanea e inafferrabile della vita rigogliosa che sempre germoglia. Come la definisce Delfina Luisardi, Demetra è la dea gaia, che con i suoi doni, quelli della terra fertile, rende gli uomini felici e dà loro la possibilità di vivere, ma che al contempo tutto può loro negare. Demetra è la dea dell’amore spensierato e gioioso, libero dai vincoli sociali e dal peso di ogni costrizione e condizionamento, ma è anche la dea della furia incontenibile che si manifesta nella privazione del nascere.265 Adriana Cavarero, dedica a questa antichissima figura, un capitolo in Nonostante Platone, in cui indaga sull’origine della tradizione filosofica, da lei rintracciata nella metafisica platonica, che pone al centro del pensiero, come principio fondatore, la morte al posto della vita: “L’ordine dei padri reclama divinità maschili a proprie figure simboliche regolatrici, e, sintomaticamente, non più la nascita, bensì la morte ne è il paradigma fondante.”266

Demetra, direbbe Cavarero, è stata espropriata del suo potere di generare, dal momento in cui fu considerata non più come la detentrice esclusiva del segreto della vita, capace di trasmetterlo alla terra e agli uomini a propria discrezione, ma come colei che nutre e che si prende cura del vivente, nel senso dell’adempimento del dovere materno, in opposizione alla precedente manifestazione di un potere creativo. La dea smetterebbe così di generare attivamente secondo la propria spontanea creatività, per diventare passiva recettrice e nutrice.

Cavarero, per descrivere questo passaggio, cita le parole del Cratilo di Patone, con cui egli spiega l’etimologia del nome della dea, attraverso la metafora del nutrimento. Secondo Platone, infatti, Demetra si chiama così, poiché nutre come una madre (meter). In questo modo, il filosofo, sostiene

265 D. Luisardi Sassi, Demetra e il figlio della regina, in Diotima, L’ombra della madre, Liguori, Napoli, 2007, p. 138. 266A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica. op. cit., p. 66.

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Cavarero, priva Demetra della sua potenza generatrice, per fare di lei una mera tutrice della vita biologica:

Nel gioco etimologico di Platone questo significato originario si è dunque già perso: qui la madre è nutritiva, dà il cibo, quindi cura e tutela la vita piuttosto che esserne fonte, e soprattutto fonte depositaria di un segreto che trasmette “a sua discrezione” a tutto il cosmo vivente.267

Il mito del rapimento di Kore, la figlia di Demetra, da parte di Ade, secondo Cavarero, può già essere inteso come la narrazione del capovolgimento che sostituisce il paradigma della vita con quello della morte e in questo senso rappresenta simbolicamente l’atto stesso dell’”usurpazione”268

del potere materno. Infatti, se da un lato, protagoniste femminili del mito sono Demetra, generatrice prima, depositaria del segreto della vita e la sua amata figlia, il protagonista maschile del mito, è nientemeno che il dio degli Inferi, signore del regno della morte.

Ade, secondo il mito, rapisce con l’inganno Kore, figlia di Demetra e la porta con sé negli Inferi per farne sua sposa. Colei che dovrebbe diventare, per discendenza genealogica, l’erede della potenza procreatrice, diventerà al contrario, per matrimonio, la signora della morte, sottomessa allo sposo Ade. Quest’ultimo ha rotto, in questo modo, la continuità generazionale matrilineare che avrebbe dovuto garantire l’eterno rinnovarsi del ciclico fluire della vita. Demetra, disperata, in seguito alla scomparsa della figlia, smette di generare, causando lo spegnimento della vita di tutta la terra che solo dalla sua potenza dipendeva e che a causa del suo immenso dolore e della sua ira furibonda è divenuta completamente sterile. Ade, di fronte alla minaccia dell’estinzione di tutto il mondo e di tutto ciò che in esso veniva animato dalla vita conferitagli dalla dea, convinto dagli altri dei dell’Olimpo preoccupati per la sopravvivenza degli umani, scende ad un compromesso che stabilisce che Kore ritorni sulla terra per un periodo all’anno. Durante il periodo di permanenza di Kore sulla terra, Demetra riprende a generare, dando luogo alla rinascita primaverile in cui la vita rifiorisce rigogliosa e risplende nella sua pienezza fino al momento del ritorno di Kore agli inferi. Il gelido inverno, in cui Demetra ricomincia a soffrire della lontananza della figlia, è segnato dal perire tetro della vita, dal diffondersi di un’atmosfera spettrale e buia nell’apparire mondano269.

E così parlò a Demetra Rea dal fulgente diadema:

267 Ivi, p. 65. 268 Ivi, p. 66.

269 Qui ho deciso di rimanere fedele all’interpretazione più diffusa e abbracciata anche da Cavarero, secondo cui il periodo dell’anno che coincide con la permanenza di Kore in terra inizierebbe dalla primavera e terminerebbe in autunno, nella medesima stagione la fanciulla si recherebbe negli inferi per passarvi l’inverno (e forse un mese autunnale dato che il periodo dura un terzo dell’anno). Tuttavia esistono altre interpretazioni secondo cui Kore passerebbe proprio l’estate negli inferi, mese in cui i campi di grano sono vuoti. Per un approfondimento: Omero Inno a

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<<suvvia figlia, ti chiama Zeus dal tuono profondo che vede lontano, perché tu torni alla stirpe degli dei; e promette di darti

fra gli dei immortali qualunque privilegio tu scelga; e ha confermato che a tua figlia, per la terza parte dell’anno che compie il suo ciclo,

rimarrà laggiù nella tenebra densa;

per due terzi con te e con gli altri immortali. 270

Cavarero rende evidente un carattere della potenza materna che nella nostra attuale concezione di maternità viene trascurato: essa non consiste solamente nel potere di dare vita, ma anche in quello di non generarla. Quest’aspetto, tuttavia è conosciuto da più antiche culture ed emergerebbe nelle metafore che associano il corpo della donna alla terra e al vaso, come evidenzia DuBois ne Il corpo

come metafora. Secondo la studiosa, diversi modelli di analogia tra il corpo femminile e la terra,

appartenenti alla cultura greca antica, attribuiscono all’uno e all’altra una nozione di pericolo. Entrambi contengono un’intrinseca e costitutiva ambivalenza: da un lato la ricchezza vitale e la generosità, dall’altro la privazione, l’assenza di generazione.271

Il mito di Demetra, secondo DuBois, rappresenta bene la possibilità della privazione di fecondità come nascondimento del seme:

E sulla terra feconda ella rese quell’anno infausto Per gli uomini, tremendo; né più il suolo

Lasciava germogliare i semi, poiché li teneva nascosti Demetra Dalla bella corona272

Il lutto di Demetra si riflette nella sterilità della terra che ne è la più cupa espressione. La minaccia della dea, al contempo manifestazione del suo dolore profondo, consiste proprio nel tenere il seme celato nell’oscurità di una terra divenuta sterile, dove la luce del sole non lo raggiunge e non ne nutre la vita, almeno finché la sua amata figlia rimane nascosta negli Inferi, lontana dal suo sguardo. In questo modo l’umanità intera rischia di scomparire letteralmente:

Demetra come dea del grano, del grano che mantiene in vita, ha il potere di porre fine alla cultura umana nascondendo, dentro il corpo della terra, ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per sopravvivere273

Se da un lato la madre è la custode dell’apparire al mondo del vivente, dall’altro è anche colei che può negare la nascita, consegnando il possibile al nulla del mai generato. Scrive in merito Cavarero:

Il tema centrale del mito, al di là della sua trasposizione agreste, è dunque la potenza materna, inscritta nell’intera natura: potenza non solo di generare ma anche di non generare, ossia potenza assoluta che

270 Omero, Inno a Demetra in Inni omerici, trad. it. p. 74- 5, vv 459-465.

271 DuBois, Il corpo come metafora. Rappresentazioni della donna nella Grecia antica, trad. it., p. 76. 272 Omero, Inno a Demetra, Inni omerici, trad. it., p. 63, vv. 305-7.

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custodisce il luogo umano del venire al mondo ma anche il nulla come il non più della nascita, la fine del

continuum materno e simbolicamente del mondo.274

Il nulla, secondo questa concezione della vita, non sarebbe ciò che la precede, come il luogo in cui tutto ciò che vive stava prima del suo apparire al mondo, né ciò che segue, come la dimensione a cui siamo destinati a giungere dopo la nostra scomparsa dal mondo. Detto con parole simili a quelle di Cavarero, la natura, la physis, è sconfinata, così come la vita e il potere generativo non hanno limiti, né misura. Il nulla non consiste nel confine della physis né la morte può essere misura della vita: “Non c’è dunque nessun nulla “prima” e “oltre” la physis, poiché la physis è semplicemente lo sconfinato modo di essere del mondo, custodito per uomini e donne dalla madre”.275

Il nulla è la possibilità del non nascere, consiste nella mancanza di nascita, nella privazione della generazione che appartiene al ventaglio delle possibili manifestazioni della potenza materna.

Di conseguenza, quando veniamo al mondo, non arriviamo dal nulla, ma, sottolinea la filosofa, dalla madre che detiene in suo potere la possibilità di un nulla che si esprime nel rifiuto di mettere al mondo e di nutrire la terra con quell’ energia vitale che la colma di fertilità. Il nulla, lungi dal precedere e condizionare la nascita e il potere di generare, è costitutivo della potenza generante, come suo possibile modo espressivo, dunque è ad essa successivo e da essa condizionato. Questo nulla tuttavia, anche se è in potere di Demetra, mai lei lo aveva messo in scena prima che Ade le sottraesse la figlia, turbando l’ordine del succedersi generazionale e rompendone la continuità. In precedenza, la sua potenza materna non si era mai mostrata nella forma della privazione di vita, ma solamente nella forma della sconfinata e smisurata abbondanza della generazione. Cavarero, per esprimere l’illimitatezza del riprodursi ciclico della vita e del suo fluire perpetuo, che prima dell’intrusione di Ade non aveva conosciuto interruzione, parla di un continuum generazionale infinito che precede ogni essere venuto al mondo e che segue ogni figlia, la quale potenzialmente ne garantirà la continuità, esercitando a sua discrezione la potenza materna. 276