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Scissione di anima e corpo nel disprezzo per l’opera materna

Secondo Cavarero, il mito definisce due ordini simbolici distinti: quello della madre, che ha al proprio centro la nascita e quello maschile, che invece guarda alla morte come al proprio paradigma. La separazione della madre dalla figlia, causa il venir meno dell’orizzonte di visibilità reciproca di cui l’ordine simbolico della madre ha bisogno per perpetuarsi nelle generazioni future. Kore, infatti, sottratta all’ordine di appartenenza, negli Inferi, non è figlia di madre, ma è moglie di un marito, Ade e qui la sua presenza deve supportare l’ordine simbolico da lui inaugurato. La fanciulla viene costretta a voltare le spalle alla propria nascita, per guardare in faccia la morte, assoggettata al marito il quale in precedenza era figlio e che, primo e volontariamente, si è sottratto allo sguardo della madre e ha smesso di riconoscerla come propria origine.289

Ciò comporta appunto un rivolgimento prospettico da parte maschile che innesca il passaggio narrativo cruciale del mito: perché non è alla nascita, in primis, alla propria nascita da madre, che l’uomo guarda, bensì alla morte che ogni volta prefigura la propria morte.290

287 Ivi, p 133. 288 Ivi, p. 134. 289

A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica. Op. cit. p. 72.

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Potremmo rintracciare degli elementi a sostegno di questa lettura nel Cratilo platonico, in cui rilevante non è solamente la definizione dell’etimologia di Demetra, ridotta ad essere colei che svolge la funzione di madre nel senso di nutrice, ma anche le spiegazioni etimologiche dei nomi di Ade e di Persefone (Kore) sono illuminanti circa il capovolgimento prospettico e lo spostamento della cifra dell’esistenza umana dalla vita alla morte.

Socrate, nel dialogo, parlando del fatto che gli uomini temono Ade, denuncia il timore nei confronti di questo dio come privo di fondamento. La paura verso di lui è in realtà collegata alla paura della morte e al fatto che, gli uomini non siano in grado di sopportare l’idea che un giorno la loro anima dovrà recarsi negli Inferi senza il corpo. Socrate però assicura che Ade, lungi dall’essere un dio terrificante e orribile, sia detentore di una particolare abilità persuasiva, con cui egli non costringerebbe, ma convincerebbe le anime dei morti a rimanere nel suo regno. Egli possiede, sostiene il noto filosofo nel dialogo platonico, un’arma più forte della necessità, ma che nulla ha a che fare con le minacce o l’orrore. Al contrario, egli genera negli uomini un vero e proprio desiderio di rimanere presso di lui con l’arte del discorso, dimostrando alle persone che ascoltandolo possono diventare migliori, o meglio più sapienti. Persino le Sirene (la cui arte della seduzione in Omero, non dimentichiamolo, è legata alla promessa di onniscienza), aggiunge Socrate, sono ammaliate da lui e bramose di rimanere ad ascoltarlo. Ade dunque sarebbe in realtà un benefattore, poiché fonte di scienza, da lui diffusa presso le anime con l’arte della parola.

Socrate, nel dialogo platonico, non manca di ricordare che un altro elemento di merito del dio degli Inferi, che trattiene gli uomini presso di lui legandoli al desiderio di virtù, sia proprio quello di relazionarsi con anime senza corpi, e quindi pure. Queste grazie a lui desiderano preservare la propria purezza invece di ambire al ritorno in vita che mortificherebbe l’integrità dell’anima con il peso della carne. Questa attitudine, aggiunge, è propria di un vero filosofo e infatti il nome Ade, indicherebbe appunto la conoscenza delle cose belle.

Al nome di Persefone, Socrate attribuisce una spiegazione etimologica che la avvicina al marito e la allontana dalla madre, infatti, questo nome designa la sapienza della dea: Persefone è colei che è sapiente in quanto ha il potere di seguire ciò che si muove, è dunque la sapienza delle cose che sono in movimento. 291

Il mito, letto secondo la chiave interpretativa fornita dalle ricerche etimologiche dei nomi di Platone, narra dunque anche della separazione tra il corporeo e l’anima cui corrispondono parallelamente i dualismi che dividono la vita dalla morte e il femminile dal maschile. Questo

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schema accosta la madre al corpo e alla vita biologica, infatti, essa è propriamente la nutrice, colei che offre il cibo per rispondere ai bisogni imposti dalla carne, mentre il polo maschile e paterno trova il suo parallelo nell’anima e nella sapienza più alta. Ade non accidentalmente è il dio degli Inferi, signore della morte e al contempo sapiente per eccellenza. Infine la figlia, che, allontanata dalla madre e dal suo ordine, figlia non è più, ma diventa moglie, entrando a far parte dell’ordine simbolico maschile, accanto al marito che rappresenta il modello umano da seguire per eccellenza, ne simula mimeticamente le qualità, ma rimanendo ad un livello gerarchico inferiore: infatti se Ade è il filosofo perfetto, custode delle anime pure, Persefone rappresenta la sapienza delle cose divenienti.

Il sapere più ambito, ovvero quella verità eterna e immutabile che il pensiero filosofico deve perseguire, raggiunge il suo massimo compimento soltanto dopo la morte o meglio nella morte che è anche il luogo dell’eternità dell’anima, in cui questa si preserva nella propria purezza intangibile. Di fronte al mondo delle anime, l’esistenza mondana è sminuita a vita meramente corporea e dunque menzognera, diveniente, mortale; la madre, fonte di questa vita, altro non è se non suo veicolo e colei che nutre e cura il corpo. Questo è degradato a rappresentare l’impuro carnale, ciò che impedisce la conoscenza appesantendo l’anima con le sue necessità biologiche, con la perpetua richiesta di soddisfare bisogni e confondendola a causa della sua mutevolezza.

Il rivolgimento dello sguardo, sottratto alla madre che è luogo di nascita e matrice del nostro venire alla luce, alla morte, sostiene Cavarero, causa lo sradicamento umano dalla physis ed è in questo allontanamento dell’uomo dal mondo dell’apparire che consiste la metafisica. Per metafisica, Cavarero non intende una corrente specifica di pensiero né una branca precisa della filosofia, ma ciò che fonda e costituisce strutturalmente il linguaggio della tradizione occidentale, il quale si radica, secondo lei, proprio nel matricidio originario rappresentato dal mito del rapimento di Kore. Definire gli uomini “mortali”, sostiene la filosofa, è già parlare un linguaggio metafisico, così come dire “uomini” per designare uomini e donne.292

Arendt prima di Cavarero, che dal suo pensiero ha ereditato molto, individua nella mortalità la categoria centrale del pensiero metafisico, il quale mortifica, svuotandola di senso, la natalità. Quest’ultima è tuttavia, nell’esperienza umana, nientemeno che l’evento originario del nostro apparire al mondo.293 Tale pensiero, infatti, si allontana dal mondo e dalle attività che sono legate alla condizione umana in esso radicata, per porre nella vetta della gerarchia dei modi di vita la contemplazione. Quest’ultima viene opposta alle attività della vita activa che sono legate

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A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica , op. cit. p. 76.

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all’appartenenza dell’uomo al mondo e al suo apparire e vincolate all’oggettività fisica. Quest’ultima, sostiene Arendt, sebbene opponga resistenza all’umana iniziativa e al suo impeto di libertà, senza per questo negare né l’una né l’altro, deve essere accolta come imprescindibile condizione di esistenza.

La contemplazione nella storia del pensiero occidentale ha preso il sopravvento oscurando l’importanza delle altre attività, scrive la pensatrice, ha assunto la posizione privilegiata tra i vari possibili modi di condurre la vita umana. Se questo è stato reso possibile, è grazie al nascere della certezza dell’esistenza di un cosmo trascendente alla temporalità mondana. In quanto eterno, esso sarebbe dotato di tali perfezione, bellezza e giustezza da non poter mai essere uguagliato dalle opere umane, le quali per quanto possano essere meravigliose, non saranno altro che copie imperfette dei modelli cosmici.

L’eterno è un altro fulcro del pensiero metafisico, sostiene Arendt, di esso infatti non è partecipe la vita dell’uomo, che per natura nasce ed è mortale, ma può essere avvicinato attraverso la contemplazione filosofica. Quest’ultima consiste in una sorta di distacco ascetico dal mondo, facilmente paragonabile alla morte: “se morire è <<cessare di essere tra gli uomini>>, l’esperienza dell’eterno è una sorta di morte”294

Il cambiamento prospettico in questione, inaugurato secondo Arendt e Cavarero dalla metafisica, non comporterebbe solamente lo spostamento del significato dell’esistenza umana dalla vita alla morte, ma un’alterazione profonda anche nella maniera di guardare agli esseri umani. Il momento della nascita, infatti, segna l’apparire al mondo di un’esistenza unica e irriproducibile :“ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità”295 della quale, aggiunge Cavarero, il genere è una delle principali caratterizzazioni. Si nasce sempre maschio o femmina, sottolinea la filosofa,296 ma sempre segnati da una specificità sessuale. La

294 Ivi, p 16. 295 Ivi, p. 129. 296

Maschio e femmina si nasce o si diventa? Si nasce anche di altro genere? L’uso che io faccio della parola genere qui, non intende essere fedele alla nozione di genere che segue alla sua separazione dal sesso, ma metterla in questione. Ovvero non vuole indicare l’identità sessuale socialmente determinata come se essa fosse il versante culturale di una supposta natura rigidamente fissata, da cui può essere astratto. Per lo stesso motivo potremmo mettere in discussione l’idea per cui il fatto di nascere maschio o femmina dipenda da fattori strettamente naturali e supporre che fin dalla nascita l’identità sessuale possa essere già determinata da criteri normativi che sapere scientifico e ordine sociale impongono. Non intendo addentrarmi qui nell’ampio dibattito circa l’esistenza ed il rapporto tra identità sessuale biologica e culturale, che meriterebbe un serio approfondimento, ma ritengo opportuno sollevare ugualmente la questione. Se come sostiene E. Dorlin, in Sexe, genre et sexualités. Introduction à la théorie féministe, op. cit., le diverse scienze medicali nel caratterizzare l’identità sessuale non riescono a fornire dei criteri tra loro coerenti circa la definizione di due sessi (criterio cromosomico, anatomico, ormonale e psicologico), allora ciascuno comincerebbe ad essere maschio o femmina a partire dal momento in cui, per la prima volta il medico afferma “ È maschio”, “È femmina”? Anche in questo caso si nascerebbe solamente maschio o femmina, essendo i criteri del medico fedeli al

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morte, al contrario della nascita, offusca le differenze e favorisce l’insorgere di un appiattimento delle specificità degli individui, in un soggetto universale e maschile, che diventa l’indiscusso modello dell’essere umano.297

Tuttavia, la metafisica occidentale, genera anche una struttura di pensiero dualista che separa la morte dalla vita e l’anima dal corpo, come la cultura dalla natura. Di questi dualismi si nutre la centralità del soggetto maschile, infatti, il polo dominante di ogni coppia, rappresenta simbolicamente sempre l’uomo, mentre il polo dominato è sovente simbolo del femminile (il femminile è associato, nell’ordine simbolico maschile, alla natura, al corpo e alla vita, dominati rispettivamente da cultura, pensiero e morte.)298

Tale soggetto, inaugurato dal pensiero metafisico, si misura con la propria fine, con la morte, dimentico della propria nascita che è origine della vita e in questo modo “spalanca l’angoscia del nulla” a cui deve in seguito trovare un rimedio. Quest’ultimo sarebbe appunto escogitato dalla metafisica stessa, che è al contempo causa del male a cui offre una cura, in quanto origine del cambiamento prospettico che ha focalizzato l’attenzione sulla morte oscurando la nascita e la matrice di vita. Questo rimedio offerto consisterebbe nella costituzione di un “regno del pensiero cui gli uomini affidano la loro essenza eterna e –finalmente- immortale, lasciando che un corpo, ormai separato e inessenziale, affronti il suo destino caduco.”299

Nella tradizione filosofica, inaugurata dall’espropriazione della potenza di dare vita alla madre e dall’oblio della nascita come momento originario dell’apparire al mondo, quest’ultima viene eclissata dalla figura della morte quale fulcro dell’esistenza umana. Inoltre la natalità, non rappresenta più il manifestarsi dell’esistenza dell’individuo nella sua interezza al mondo, ma si limita a significare la caduta nel corporeo. Ciascun essere umano, unico e intero, viene spezzato in anima e corpo, di cui solo la prima esaurisce il significato di vera vita, potendo contemplare l’eterno, mentre il secondo si distingue per il fatto di essere contingente e destinato a scomparire nella morte. La nascita, dunque diventa il momento in cui l’anima immortale si corrompe ed è trascinata nel processo biologico del morire, rischiando di compromettere la propria natura immortale e incorporea.300