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Penelope, non è una semplice moglie né soltanto una madre premurosa, nonostante si prenda cura del figlio e aspetti il marito fedelmente. La regina di Itaca viene descritta come una donna molto astuta, più di ogni altra intelligente: “molte doti le concesse Pallade Atena”, sostiene Antinoo, “saper fare cose meravigliose ed avere mente acuta ed accorta quale nessuna donna”173

. In questo dialogo con Telemaco, Antinoo si riferisce all’inganno che Penelope ha tramato contro i Proci. La donna tesse nelle sue stanze una tela bellissima, per donare a Laerte, il padre di Ulisse, un sudario, nel giorno della sua morte o almeno così sostiene. Sollecita i proci, nel frattempo, a mettersi in attesa, poiché essendo oramai morto il suo amato marito, lei dovrà sposare uno di loro. Tuttavia è suo dovere terminare prima il sudario del suocero e adempiere fino alla fine il suo ruolo di moglie (di Ulisse) con un’ultima opera, per poi concedersi, soltanto in seguito, ad un altro. Inizia così il lavoro di tessitura e disfacimento di Penelope che per tre lunghi anni ha tessuto di giorno e disfatto la notte, per poi ricominciare il suo bel lavoro nel giorno seguente. In questo modo la donna ha potuto guadagnare un lungo periodo di tempo, in cui astenersi dal prendere una decisione in merito ad un ipotetico matrimonio. L’inganno ha funzionato fino al giorno del tradimento di una delle sue ancelle e la conseguente scoperta dei proci di quanto la donna tramasse contro di loro. Poco dopo, Ulisse arriva ad Itaca.

Un dio mi ispirò nell’animo di tessere, nella mia stanza, una tela grande e sottile e a loro dicevo: Giovani miei pretendenti, è morto il divino Odisseo, ma voi anche se desiderate sposarmi, aspettate che finisca la tela (…). Così di giorno tessevo la tela grandissima e la disfacevo di notte al chiarore delle lanterne. Per tre anni così mi celavo ed illudevo gli Achei.174

Telemaco stesso si sente vittima della doppiezza della madre, poiché non avendo ella rispedito i suoi pretendenti sulla via del ritorno, negando loro definitivamente la sua mano, avendoli fatti rimanere nella sua casa, ha anche permesso che essi consumassero i beni e le ricchezze di proprietà di Ulisse. “Lei ne avrà grande fama” afferma Antinoo rivolgendosi a Telemaco, “tu rimpiangerai la grande ricchezza”.175 Poiché costoro, volgari e arroganti, nell’arco della loro permanenza nelle proprietà di Ulisse, hanno banchettato lussuosamente tutti i giorni, facendo ammazzare per le loro feste, le bestie più belle e bevendo il vino più buono. Penelope mette dunque in pericolo le ricchezze del figlio che oramai la esorta ad andarsene con uno dei pretendenti e sposarsi, pur di porre fine a questa faccenda.

173 Omero, Odissea, trad. it., p. 51. 174 Ivi, p.319.

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La grande fama che la donna acquisirà o aumenterà dopo aver escogitato l’inganno della tela, presso il popolo, è legata proprio all’astuzia, da tutti stimata ed ammirata che spesso Omero attraverso le voci dei personaggi dell’Odissea le attribuisce.

La metis, afferma Cantarella, è una forma di intelligenza che caratterizza solo Penelope tra le donne omeriche e designa la capacità di meditare inganni e trucchi, di ottenere ciò che si vuole per vie ingannevoli. Questa forma di intelligenza è considerata meno nobile del logos di cui è capace solo l’uomo, perché è il frutto di una riflessione legata ad un’esperienza pratica e viene messa in atto per ottenere fini materiali o concreti. In altre parole è un’intelligenza utile nell’ambito delle tecniche.176

Tale qualità, nonostante la sua inferiorità rispetto all’attività politica o a quella puramente intellettuale, è particolarmente esaltata, e infatti Penelope viene rispettata, per questa sua caratteristica, che la avvicina di molto al marito Ulisse, anche lui conosciuto e stimato per la sua astuzia, i troiani, a loro spese, lo sanno bene.

I due, si confrontano sul piano dell’astuzia in un momento cruciale, quello del riconoscimento. Qui, sottolinea Cantarella, Penelope sembra superare il marito, che fino a quel momento l’aveva messa alla prova. Ora è Penelope, timorosa che l’uomo che si dichiara Ulisse sia in realtà un impostore, a sottoporlo alla prova finale, senza che lui lo capisca. La donna lo provoca, chiedendo ad alta voce all’ancella Euriclea di preparare il letto da lui stesso costruito, fuori dalla sua stanza. Tuttavia, quel letto è stato fabbricato dal tronco di un ulivo e poi murato all’interno della camera da letto, dunque sarebbe stato impossibile spostarlo da lì. Ulisse, offeso, risponde, che nessun uomo al mondo avrebbe potuto spostare il suo letto, senza rendersi conto dell’ideazione della moglie e sospettando seriamente che qualcuno abbia davvero rimosso il letto dal luogo di fabbricazione. Da questa reazione, l’astuta Penelope capisce che il mendicante è Ulisse, può starne certa.177

La metis di Penelope, nonostante rappresenti l’elemento che più la avvicina al marito per somiglianza e attraverso il quale i due, diffidenti l’uno con l’altro, si relazionano, è diverso da quello di Ulisse. Innanzitutto Ulisse è un uomo, dunque la sua astuzia viene accompagnata dai valori tipicamente maschili, come “il coraggio e la parola”178

. Atena spesso menziona per quali

176 E. Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, op. cit., p. 63. 177 Omero, Odissea, trad. it., p 378-379.

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qualità l’eroe viene ricordato: “entrambi sappiamo essere astuti, tu fra tutti gli uomini sei il migliore per la parola e i pensieri, e io fra tutti gli dei sono famosa per intelligenza e saggezza”.179

L’astuzia di Ulisse è dunque associata, dalla dea, alla parola e ai pensieri ed egli la mette in atto nelle gesta eroiche che misurano la sua grandezza e il suo coraggio. Penelope, certo, parla saggiamente, ma, come sottolinea Cavarero, la sua astuzia è radicata nell’esperienza domestica di moglie e si manifesta nell’arte, non della guerra, ma della tessitura.

La sua metis, dunque, è il frutto dell’esperienza vissuta da una donna di casa, tuttavia, nella Penelope che con Cavarero ricostruiamo, essa si esprime al contempo, come approfondiremo nei paragrafi successivi, nella negazione del ruolo di moglie. La filosofa offre una lettura dell’intelligenza di Penelope, attraverso la quale ricostruire attorno a questo personaggio un significato simbolico più vicino all’esperienza concreta del femminile e in opposizione alle tradizionali rappresentazioni della donna. Queste ultime, determinano le identità femminili, negativamente, sulla base del loro rapporto, segnato dalla manchevolezza e dall’inferiorità, con il modello dell’umano, altrimenti detto il soggetto universale neutro, dietro cui si cela il maschio adulto, bianco. Cavarero scorge in Penelope degli elementi che, violando la tradizione, ci permettono di ridefinire il possibile di diverse identità, indipendenti da quella dominante e anzi capaci di metterne in questione la neutralità e l’universalità.

Come abbiamo visto con Platone, il fulcro della distinzione che pone il maschio in posizione dominante e di superiorità rispetto alla donna, è proprio l’intelligenza: secondo lui, la donna non possederebbe la componente più alta dell’ anima, o essa sarebbe troppo debole per dominare il corpo. La donna, secondo la genesi che egli propone nel Timeo, considerata nel capitolo precedente, è il frutto di una seconda nascita, che per lui altro non sarebbe che un’ ulteriore caduta nel corrotto mondo diveniente. La sua natura si distingue per l’ incapacità costitutiva di controllare le passioni e di dominare il proprio corpo. L’intelletto della donna è dunque, appesantito dalla sua carne, è macchiato dalle necessità fisiologiche e dalle passioni. La sua mente è intrisa di corpo e mai, nemmeno dopo la morte, potrà staccarvisi liberamente e diventare pura per volare nel mondo delle cose eterne.

Cavarero riprende Penelope per opporre la sua intelligenza al logos separato dal corpo e alienato dalle cose terrene, pretesosi “libero” dai condizionamenti mondani. La filosofa coglie nell’uso metaforico che fa Platone di Penelope, all’interno del Fedone,180

l’occasione di affrontare

179 Omero, Odissea, trad. it., p. 231-232. 180

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criticamente la separatezza tra corporeo e intellettuale inaugurata dalla filosofia classica e sostenuta dalla tradizione occidentale. Qui Platone si impegna appunto a dimostrare, attraverso le parole di Socrate, pronunciate in un dialogo nel giorno della sua morte, che la valorizzazione dell’anima e l’esercizio intellettuale necessitano del disprezzo e della negazione del corpo. Quest’ultimo viene descritto come prigione, esso è concepito come principio di limitatezza e condizionatezza dell’anima, per natura libera. Il logos, per custodire la propria originaria essenza, deve impegnarsi costantemente a isolarsi nella sua purezza, tenendosi lontano dalle necessità della carne e preservandosi dalla sua caducità. La più alta forma di intelletto è per Platone legata a questa impresa, di cui solo gli uomini più nobili sarebbero capaci. La libertà che ne consegue, avvicina alle cose eterne e divine e riporta l’uomo alle sue origini non corporee, inoltre, caratterizza per eccellenza ciò che distingue la natura dell’essere umano. Tutti gli esseri che si allontanano da questo modello, nella stessa misura in cui vi differiscono, sono privi di libertà e di umanità.

Penelope, secondo Platone, apparterrebbe, come tutte le donne, ad una specie di umani più simili a bestie, poiché incarna una forma di intelligenza che non conosce la separazione di anima e corpo. Quel che fa la differenza di questa astuzia femminile, suggerisce Cavarero, è proprio il rapporto che essa, intrattiene con il corpo, poiché si sviluppa e si esprime nell’esercizio di un’abilità manuale e nella concretezza delle attività domestiche che richiedono un’intelligenza pratica del quotidiano. Detto altrimenti, il lavoro domestico a cui è costretta la donna della società omerica, induce a condurre un tipo di esistenza, in cui non viene fatta esperienza della distinzione tra il lavoro corporeo e quello del pensiero.

Secondo i greci, e secondo una tradizione di pensiero da essi inaugurata nel passaggio dalla cultura omerica a quella platonica, questa indistinzione di anima e corpo ha una connotazione negativa, poiché rappresenta l’impurità dell’intelligenza, l’incapacità di raggiungere il livello più alto dell’intelletto puro. La donna infatti non possederebbe nemmeno la parte più alta dell’anima, quella noumenica, o, essa non sarebbe sufficientemente forte da dominare sulla carne, facendosi facilmente corrompere da quest’ultima. La donna sarebbe priva della parte immortale e divina dell’anima, la sola capace di sfuggire alla morte del corpo, e al contrario rappresenterebbe un intero indistinto di corpo e anima.181

Penelope, suggerisce Cavarero, rappresenta questa interezza182, che la filosofa concepisce non nel senso della privazione, della mancanza della forma più nobile di intelletto, ma come condizione di un intelligenza diversa, concreta, arricchita e supportata dall’abilità delle mani. Il fare e il disfare la

181 A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica. ,op. cit., p. 27. 182

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tela, comportano il saper lavorare al telaio e questo richiede l’abilità manuale che non solo Penelope possiede, ma di cui è considerata grande maestra. Al contempo, questa attività, non si riduce ad un’operazione meccanica e ripetitiva, ma fa parte di un inganno meditato con grande ingegno. La credibilità stessa di Penelope, è dovuta anche alla maestria che tutti le attribuiscono nella tessitura, poiché forse è per questo che nessuno ha osato mettere in dubbio la necessità di impiegare così tanto tempo per finire la tela. Senza tale reputazione di distinta tessitrice invece, chiunque avrebbe potuto dubitare che l’impresa non venisse portata a termine per incapacità e avrebbe così potuto pretendere di mettervi naso e di interromperla. La metis, in questo senso, non è separabile dal corpo di Penelope, e allo stesso modo, quest’ultimo non è mera carne, né è quel corpo confinato nell’astrazione dall’intelligenza, privo nella sua natura di vita e di anima, ma esso è fatto innanzitutto di abili mani e di una bellezza che tale non sarebbe senza saggezza e astuzia.

In Penelope però l’interezza dell’esperienza inscritta nel ruolo, pur mantenendosi come interezza, si trasforma tuttavia in una intelligenza che l’abilità manuale supporta e asseconda. La metis di Penelope, esperta tessitrice, sta tutta nell’opera di far e disfare cadenzata sul telaio. Non è separabile dal suo corpo, né ha come oggetto le essenze eterne che stanno altrove da questo mondo, da questa stanza del telaio dove Penelope siede con le ancelle.183

Proprio di questa indistinzione, sottolinea Cavarero, l’accusa Platone nel Fedone, per bocca di Socrate, sostenendo che il folle tessere diurno della donna, ciò che la medesima ha disfatto nell’arco della notte, corrisponda al voler tenere ostinatamente legati in faccia alla morte, ciò che il filosofo si impegna a dividere nel corso della vita: l’anima e il corpo.

L’anima del filosofo ragionerebbe come dico io, e certamente non penserebbe che mentre la filosofia deve scioglierla dal corpo, una volta liberata, si debba gettare in balia dei piaceri e dei dolori e incatenarsi un’altra volta e compiere un lavoro inutile, come Penelope che tesseva e ritesseva la stessa tela184