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Cavarero evoca l’idea di un apprendistato che insegni ad essere figlia, perché come Muraro, sottolinea l’assenza nella nostra tradizione, di una raffigurazione simbolica del rapporto tra madre e figlia a cui rivolgersi per costruire la loro relazione e per rendere dicibile il loro amore. Al contrario esiste una particolare “devozione” della “Madre del Figlio”348

che struttura quell’amore privilegiato della madre di cui, anche secondo Luisa Muraro, i figli maschi godono e che costituisce un segreto fondamentale del loro successo nella storia dell’apparire e di conseguenza un presupposto necessario della filosofia stessa.

Se c’è una cosa che io invidio agli uomini, e come non invidiarla, è questa cultura dell’amore della madre in cui sono allevati. Questo è il fondamento pratico, questo è il germe vivo da cui si sviluppano i discorsi filosofici.349

347 A. Cavarero, Il femminile negato. La radice greca della violenza occidentale., op. cit., p. 96. 348 Ibidem.

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Muraro rimpiange l’indicibilità dell’amore materno dalla prospettiva femminile e la difficoltà conseguente di impararlo, di praticarlo, conservandone tutte le sfaccettature in modo proficuo in mancanza della sua trasmissibilità culturale, non solo perché esso esprime la possibile continuità di quel potere di generare trasmesso di madre in figlia, ma anche perché in questo rapporto fondamentale risiede la condizione originaria di ogni conoscenza di ogni capacità di “tessitura simbolica”. Tale capacità più facilmente acquisita, secondo la filosofa, dagli uomini, è un privilegio storico di cui costoro non si rendono conto, senza riuscire così a fare luce sulle origini del loro sapere. Al contrario, Muraro, forse in quanto donna e dunque privata di questo privilegio, lo vede e lo invidia. La filosofa, infatti, si dice desiderosa di riscoprire e di poter dire il suo amore per la madre, come fondamento indispensabile e fonte necessaria, non solo di vita e di generazione, ma anche di conoscenza.

Se io, d’altra parte, sembro non avere la natura conveniente alla filosofia, anche questo è da vedere non come una disgrazia voluta dal cielo, ma come una condizione storica. Sono nata in una cultura in cui non si insegna l’amore della madre alle donne. Eppure è il sapere più importante, senza il quale è difficile imparare il resto ed essere originali in qualcosa…350

Muraro sostiene che l’amore per la madre sia intrinsecamente legato al senso dell’essere, anzi di più, sostiene che tale relazione ne sia il fondamento. La dicibilità e la pensabilità dell’essere, dipendono dalla madre, nel senso che l’origine della parola e del pensiero, sostiene la filosofa, sono indissociabili dalla matrice di vita.351

La nascita, è segnata dalla condivisione di un punto di vista creatore con la madre: ovvero madre e figlio o figlia rappresentano la prospettiva originaria della venuta al mondo, il primo sguardo di chi appare è relazionale e non può essere compreso sotto la scissione del punto di vista del nuovo nato da quello della matrice di vita. Madre e figlio o figlia costituiscono la coppia creatrice del mondo, poiché se da un lato il bambino o la bambina nasce in un mondo che gli preesiste, egli, come inizio assoluto è anche innovatore e il mondo dovrà ricrearlo. Tuttavia, sottolinea Muraro, non può farlo in mancanza di una madre che gli presenta il mondo e che lo presenta al mondo.352

Il problema della nostra società, avanza la filosofa, è l’oblio di questa prospettiva originaria e l’impossibilità di concepirla come punto di vista. Alla coppia creatrice, è subentrato il soggetto solipsistico il quale tende a voler emanciparsi da questa relazione, senza però conoscerne il valore, anzi in un certo senso disprezzandolo. La relazione con la madre, secondo Muraro è un’esperienza portatrice di una potenziale verità, che è quella “del senso autentico dell’essere”.353 Il nostro modo

350 Ibidem. 351 Ivi, p. 43. 352 Ivi, p. 42. 353 Ivi, p. 41.

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di guardare ad essa, tuttavia, ci impedisce di vedere che esiste un legame di condizionamento originario tra la madre e la parola, poiché, sembrerebbe evidente, ma tale non è, la parola si radica nella vita.

D’altro canto, se tale relazione non può essere consapevolmente esperita, come più volte attraverso le voci di diverse filosofe è stato ripetuto, è perché non esiste un punto di riferimento culturale in grado di significarla, in altre parole non esiste una teoria che la mostri, manca un discorso in grado di dirla sensatamente, facendo emergere il suo essere alla visibilità di ciò che appare. Infatti, se è vero che ogni discorso trova le sue origini fondamentali nella vita, tuttavia senza parole che mostrano quello che è, quello che è non si mostra. La relazione originaria con la madre dunque, che altro non è se non l’esperienza del senso autentico dell’essere, ha bisogno di una teoria che ne mostri il significato, che altrimenti rimane indicibile. Il rischio, diversamente, è che il vissuto di tale relazione, cada nell’indifferenza di una pluralità empirica irrilevante, appiattita in una mera fattualità invisibile, lasciata alla sopravvivenza caduca dell’attuale esperienza singola. Una teoria che restituisse il senso dell’essere attraverso l’amore per la madre, indica la filosofa, oltre a mostrare la verità dell’esistente, lo modificherebbe al tempo stesso: “Vero è che c’è sempre di mezzo un qualche tipo di società per cui sempre, in qualche misura, la dimostrazione del vero è modificazione dell’esistente, e la sua dicibilità una conquista”.354

Pensare alla matrice di vita come origine del pensiero e del linguaggio, significa sostenere l’impossibilità di disgiungere corpo e mente, significa vivere l’interezza di ogni individuo come modo di essere, condizione di partenza. Tuttavia, il linguaggio, sostiene la filosofa, a differenza della vita e del sesso, non viene donato irrevocabilmente né accolto come un dato, ma è il frutto di una contrattazione con la madre, poiché esso è per natura il prodotto di una negoziazione. La cura con cui si costruisce il rapporto con la madre, in altre parole, condiziona la nostra capacità di appropriarci del linguaggio e di mettere in gioco le sue possibilità espressive. Parlare significa “mettere al mondo il mondo e questo noi possiamo farlo in relazione con la madre, non separatamente da lei.”355

Tuttavia questa relazione non è scontata, né essa emerge da sé, al contrario va presa in carico con dedizione, costruita, ripensata.

Il cambiamento degli schemi relazionali, del modello di famiglia e di produzione che caratterizzavano il patriarcato e i suoi codici, ha reso possibile, l’avvio di un lento tramonto della figura materna tale e quale fino ad allora vigeva. Questa, aspramente decostruita dalle critiche del pensiero femminista, piano piano si sradica anche dalle pratiche quotidiane che non ne reiterano

354 Ivi, p. 47. 355

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regolarmente i tratti, in parte per la massiccia entrata delle donne nel mondo del lavoro, in parte per consapevolezza femminile e anche, non trascuriamolo, per una conseguente crisi identitaria del maschile e un diffuso desiderio di vivere la paternità in modo più partecipe e più personale. Se dunque, quella madre, mera nutrice e curatrice silenziosa di corpi, non rappresenta più la sola manifestazione attuale di maternità, né suo modello indiscusso, tuttavia, la caduta di questa figura materna ha lasciato uno spazio, un vuoto non ancora adeguatamente ricostruito, che rende alcune posizioni della Muraro, esposte ne L’ordine simbolico della madre, ancora attuali.

Delfina Luisardi, nel seminario L’ombra della madre che si è svolto nel 2005, si è occupata a sua volta dell’assenza di forme che diano un’adeguata collocazione alla madre, in particolare alle sue manifestazioni di amore come a quelle della rabbia o della negazione di sé all’altro, dell’autorità dispotica o ancora della dipendenza, capaci di rendere conto della sua ambivalenza e delle sue molteplici sfaccettature. Una madre che non ha volto né collocazione, avverte la filosofa, può ancora essere insediata da forme che si credono scomparse, ma che possono sempre resuscitare dal passato, a cui ciascuna donna può desiderare aggrapparsi pur di non cadere nel vuoto dell’insignificanza. Il mito di Demetra potrebbe raccontare non solo dell’esistenza di una madre possibile che oggi non viene riconosciuta, ma anche di una madre che soffre ancora per il fatto di essere innominabile e di non trovare la forma idonea in cui apparire, per il distacco dai figli che questo ha generato e per l’insolvibilità dei conflitti che la sua inconciliabilità con l’esistente ha creato.

L’oscurità nella quale Demetra si trova dopo il rapimento della figlia, è esperienza di una separazione che non lascia veder la possibilità dell’incontro, il vissuto di una lacerazione che una donna non sa come ricomporre. Demetra è il nome di questo dolore e dell’amore che trova la strada per la ricomposizione di sé, in sé. È l’immagine di un conflitto interiore che rivela tutta la sua potenza distruttiva e autodistruttiva.356

Il valore del mito di Demetra e Kore, sostiene Cavarero, risiede anche nel rappresentare come coppia filiale centrale quella di madre e figlia e nel fatto che qui la madre vuole la figlia in quanto figlia e non desidera che essa diventi, per forza, madre a sua volta, uguale a lei.357 Infatti, l’amore che insegna Demetra, è libero e genera senza obbligo, è vissuto con pienezza proprio perché nel flusso rigoglioso della vita, la generazione non si ottiene a comando, ma si dà imprevedibilmente. L’amore della dea è un amore incondizionato, ma non come lo intende la nostra società, nel senso di un amore che dona senza pretesa di riconoscimento, al contrario è incondizionato perché non accetta condizionamenti vincolanti che reprimerebbero il suo spontaneo manifestarsi, è un amore

356 D. Luisardi Sassi, Demetra e il figlio della regina, in Diotima, L’ombra della madre, op.cit., p. 140-1. 357 A. Cavarero, Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica , op. cit. p. 96.

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smisurato e senza moderazione, ma che deve trovare una forma adeguata di rappresentazione e di espressione che permettano di riconoscerlo. Il luogo d’incontro tra madre e figlia che da un senso rinnovato al rapporto che le lega e all’amore reciproco, è luogo di ritrovata libertà, scrive Delfina Luisardi, ma esso va protetto e conservato, perché le figlie non ricadano di nuovo nella condizione di assoggettamento a qualche dio degli Inferi.358 Tuttavia tale luogo non può essere preservato e ripensato astenendosi dal chiedersi anche quale posizione dovrebbe occupare Ade, il padre, il fratello, il figlio o l’amante, all’interno di questa relazione.

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2. Diotima e la saggezza femminile

Chi odia la distruzione, non può fare a meno di odiare anche la vita: solo il morto, l’inanimato, è l’immagine adeguata del vivente non deformato Theodor W. Adorno, Minima moralia