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I limiti al diritto di esclusiva: i c.d usi consentiti del marchio altru

D) Oltre ai requisiti che un segno deve presentare per poter essere validamente registrato come marchio, il c.p.i prevede, come norma di chiusura, il

1.3.6 I diritti riconosciuti al titolare di un marchio registrato

1.3.6.2 I limiti al diritto di esclusiva: i c.d usi consentiti del marchio altru

Il diritto di esclusiva riconosciuto al titolare del marchio registrato e la conseguente possibilità di impedirne l'uso a tutti quei soggetti da lui non espressamente autorizzati incontra due tipi di limitazioni: trattasi degli usi c.d. consentiti del marchio altrui e degli usi c.d. atipici che non comportano il concretarsi della fattispecie di contraffazione.

La previsione di determinate eccezioni all'uso esclusivo del marchio da parte del suo titolare è prevista dall’art. 21 c.p.i. ed in tutti e tre i casi ivi previsti la liceità dell’impiego del marchio registrato altrui da parte del terzo non

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autorizzato è subordinata alla conformità ai precetti in tema di illecito concorrenziale.

Condizione generale di liceità degli usi menzionati dall’art. 21 co. 1 è cioè che le condotte siano conformi ai principi della correttezza professionale e della lealtà in capo industriale.

Il primo uso consentito del marchio altrui riguarda l’ipotesi in cui un marchio precedentemente registrato corrisponda al nome anagrafico o all’indirizzo altrui.

In questi casi infatti il titolare del marchio anteriore non può impedire al terzo di utilizzare il proprio nome o il proprio indirizzo nell’esercizio della propria attività economica, sebbene coincidenti con il proprio marchio, purchè ciò avvenga in linea con gli onesti usi commerciali e industriali.

La Corte di Giustizia europea ha ritenuto applicabile tale previsione anche ai “nomi” di persone giuridiche130.

Il secondo uso consentito corrisponde all’uso descrittivo.

Esso cioè si riferisce ad un marchio valido, ma debole ed evocativo delle caratteristiche del prodotto.

Come noto, nel nostro ordinamento vige il divieto di registrare marchi puramente descrittivi: un marchio può cioè contenere indicazioni descrittive, ma deve altresì avere un elemento distintivo.

Vi saranno, quindi, marchi che evocano le indicazioni descrittive del prodotto a cui si riferiscono, per poi distanziarsene mediante alterazioni o integrazioni di elementi ulteriori.

In questi casi il marchio è in astratto scindibile in due componenti: quella dotata di capacità descrittiva, che non può essere imitata da terzi; e quella parte che coincide con l’indicazione descrittiva, che rimane liberamente utilizzabile per descrivere la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, l'epoca di fabbricazione o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio, nel rispetto dei principi della correttezza professionale.

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Il terzo uso consentito è quello finalizzato ad indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio.

Questo, in particolar modo, accade per quei beni che non svolgono una funzione autonoma, ma servono solo come elementi complementari di altri beni.

Queste parti di ricambio possono essere realizzate dallo stesso fabbricante del prodotto principale o da un'altra azienda; in questo secondo caso l'azienda in questione deve poter specificare che i suoi beni sono adattabili ad un determinato prodotto principale, contraddistinto da un certo marchio per potersi guadagnare uno proprio spazio nel mercato.

Altrimenti si riconoscerebbe al produttore del bene principale un ingiustificato monopolio sugli accessori o sulle parti di ricambio di tale bene.

Il tutto nel rispetto dei precetti in tema di concorrenza sleale.

Un caso che ha fatto scuola in materia è quello delle lamette sostitutive per rasoi Gilette131.

Al di fuori degli usi consentiti del marchio altrui vi sono altri usi, c.d. atipici. Trattasi di ipotesi non previste espressamente dal legislatore, ma introdotte dalla giurisprudenza.

Tali usi, come detto, pur non essendo espressamente consentiti da alcuna norma, non possono esser considerati lesivi dei diritti del titolare del marchio in quanto non ricadono all'interno della normativa sui marchi132.

In questi casi si ritiene che l’utilizzo del segno non possa esser definito come “uso” del marchio “nell’attività economica” o “in commercio”, in quanto detto segno non viene sfruttato con funzione distintiva nell’esercizio della propria attività commerciale che comporti la collocazione di beni e servizi sul mercato e pertanto non può operare il rimedio dell’azione di contraffazione.

131Corte di Giustizia Europea, The Gillette Company, Gillette Group Finland Oy LA-Laboratories Ltd Oy,

C- 228/03, in eur-lex.europa.eu

132V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA,

V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA Diritto Industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, Giappichelli Editore, Torino, 2016, p. 53 e ss..

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Tra queste ipotesi, può essere fatta rientrare la possibilità di avvalersi di marchio altrui per fini artistici, di critica sociale di satira o di parodia; ferma la necessità di effettuare valutazioni specifiche caso per caso133.

Infine, va analizzato l’art. 21 co.2 c.p.i. che individua gli usi del marchio vietati al suo stesso titolare.

Infatti, è fatto divieto al titolare di un marchio di utilizzare il segno “in modo contrario alla legge” e di porre in essere condotte confusorie, ingannevoli o lesive dei diritti anteriori dei terzi.

Si ritiene che la violazione di tali divieti integri atto di concorrenza sleale134. L’uso confusorio si ha in tutti i casi in cui l’impiego del marchio determini un rischio di confusione con un segno distintivo anteriore già conosciuto sul mercato.

L’uso ingannatorio è l’utilizzo idoneo a trarre in inganno il pubblico sulle caratteristiche dei prodotti o dei servizi.

La terza ipotesi di uso vietato dall’art. 21 c.p.i., riguarda i casi in cui l’uso del marchio sia tale da ledere un altrui diritto d’autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi.

133L’interpretazione e l’applicazione della clausola “uso nel commercio” è stata, infatti, oggetto di

molteplici pronunce da parte delle corti nazionali ed europee che, contemperando i diversi interessi in gioco, hanno portato non di rado a decisioni discordanti soprattutto con riferimento alle ipotesi in cui il diritto al marchio si scontra con la libertà di espressione con conseguente necessità di operare un bilanciamento. Si pensi alla scatoletta di Campbell's soup, diventato oggetto di un celebre dipinto di Andy Warhol. Altre volte, a finalità di tipo artistico ,si sono aggiunti scopi di critica palese ad un determinato modello di sviluppo, di cui un certo brand è stato assunto a simbolo.

Si menziona, in tale contesto, in quanto emblematico, il caso Plesner, in cui un'artista danese, autrice di una serie di quadri intitolati Simple living, aveva rappresentato un bambino denutrito con affianco una borsa di Luis Vuitton quale strumento di critica alla scarsa attenzione rivolta dai media e dall’opinione pubblica alla tragedia del Darfur. Nel caso di specie la condotta non è stata ritenuta lesiva dei diritti di proprietà intellettuale della celebre casa di moda francese in quanto, pur se le opere erano offerte in vendita al pubblico ed utilizzate in un’attività di merchandise attraverso posters e magliette, la finalità di critica sociale venne ritenuta preminente rispetto ai diritti di privativa.

Anche in altri casi il marchio è stato utilizzato come strumento di denuncia sociale, si pensi al dominio “Je boycotte Danone”, in cui il noto logo dell'azienda produttrice di yogurt è stato inserito in una campagna contro i licenziamenti da quest'ultima perpetrati .

In altri casi, poi, l'intento è stato quello di utilizzare il marchio con fini satirici o parodistici, come ad esempio è avvenuto nel caso Barbie girl, il cui il logo della Mattel viene utilizzato dal gruppo musicale Aqua per fare della satira sulla cultura americana e sull’American dream.

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