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5. Personalità a confronto e influenze indirette di Byron su Mácha

5.1. Mácha prima e dopo Byron

Mácha sarebbe stato “già byroniano prima di conoscere Byron”384, e nulla meglio dell’Úvod pavahopisný [Introduzione sulla vita e sull’opera] scritto dall’amico e poeta romantico Karel Sabina, che di Mácha curerà la pubblicazione dell’opera in seguito alla morte, può fotografare la situazione del poeta ceco al momento in cui entra in contatto con Lord Byron:

Od té chvíle co se Mácha s Byronovým duchem blíže seznámil, vyjasnil se jeho duševní zrak; nebo poznal básníka, který v hlubokosti své tmi samými záměry, city i bolestmi byl zahořel. Zamiloval si jej tak, že mnohá místa z básní jeho z paměti uměl, a v obrazy a charaktery, tak hluboko se vmyslil, že takměř s nimi a v nich žil a veškeré své náhledy o přírodě, o člověčenstvu a o světě vůbec náhledům Byronovým připodobnil. Myšlénky jeho nabyly nové formy, ne však jak někteří zatemnělci u nás soudili, že Mácha byl jalovým následovníkem Byronovým; nebo dávno před seznámením se s Byronem chýlil se k té dráze, na níž později slávy a zásluhy sobě získati zamýšlel.385

Dal momento in cui Mácha conobbe più da vicino lo spirito di Byron, il suo sguardo interiore si fece molto più fine, poiché conobbe un poeta che

384 Giovanni Maver, Un poeta, op. cit., p. 19.

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intenzionalmente nelle profondità delle proprie oscurità divampava di intenzioni, di sentimenti e di dolori. Se ne innamorò così tanto, che molti passi delle sue poesie li sapeva a memoria, e si immedesimò nelle immagini e nei caratteri tanto a fondo che con essi e in essi viveva, e nel suo modo di vedere la natura, l’umanità e il mondo faceva suoi in tutto e per tutto quelli di Byron. I suoi pensieri acquisirono nuove forme, non però, come giudicano alcuni dei nsotri oscurantisti, nel senso che Mácha fosse un mero seguace di Byron; in quanto molto prima di conoscere Byron egli era propenso a intraprendere quel percorso che pensava gli avrebbe poi portato gloria e prestigio.

Da questo passaggio di Sabina comprendiamo quanto l’influenza quasi

“demoniaca”386 di Byron su Mácha abbia giocato un ruolo cruciale. Il poeta che già da giovanissimo veniva descritto come samotář [solitario], silenzioso a gloomy

nell’espressione del viso già nelle primissime poesie387, trovò in Byron un modello, uno spirito affine nel modo di pensare e vedere il mondo, nonché e soprattutto nel modo di trascrivere questi pensieri in versi. Byron infatti sembrava dare forma alle stesse idee di Mácha, come se ne leggesse i sentimenti e li trascrivesse, li traducesse su carta388. Non è chiaro invece fino a che punto fosse stata l’influenza delle letture byroniane ad aver determinato la visione del mondo di Mácha, oppure tutto ciò che abbiamo visto essere legato alle traduzioni con cui Mácha era entrato in contatto, e cioè con i byronisti tedeschi e polacchi389, che all’opera del poeta inglese avevano aggiunto tutto un proprio bagaglio personale, nazionale e linguistico.

Byron è ad ogni modo più di Schiller, di Goethe, della Radcliffe, il poeta del sé, un tutt’uno con i suoi Lara, Conrad, Manfred, Harold. Attraverso i suoi personaggi Byron dipinge tratti di sé stesso390 ed essi non sono null’altro che piccole sfumature del Byron-personaggio, che con essi e attraverso di essi sviscera in profondità il proprio animo, guardando in faccia senza paura i propri sentimenti, i vizi e i tormenti che vi reperisce. Ad affascinare Mácha fu innanzitutto l’espressione delle passioni anche distruttive391

386 “Vliv Byronův na Máchu možno právem nazvati takřka démonickým”, in Jakub Arbes, Karel Hynek

Mácha, op. cit., p. 139.

387 Ivi, pp. 132-136.

388 Ivi, p. 141.

389 Václav Černý, “Byron a Mácha”, in Literární noviny VIII, 1936, N. 18, p. 5.

390 Charles Du Bos, Lord Byron e la fatalità, Roma, 2015, pp. 136-137.

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dell’individuo, della forza interiore che emerge nel verso byroniano392, come se l’autore, per riprendere Sabina, di questi sentimenti interiori zahořel, cioè divampasse, ribollisse. Si è già accennato a come i poeti romantici fossero associati a dei vulcani (supra, § 2.3. e 2.4.), e in particolare Lord Byron. Questo riferimento è interessante in quanto lo si riscontra anche in Mácha, che in una lettera a Eduard Hindl del giugno 1836 scrisse: “– – – Perché avete detto di essere un Vulcano, perché non un Byron?”393. Anche Byron accennava a questa immagine del poeta romantico come potenziale catastrofe naturale, considerando la poesia come “la lava dell’immaginazione, che impedisce un

terremoto”394, immagine simile a quella di Mácha: “Io sono un vulcano dell’Islanda; attorno a me ghiaccio e neve, e dentro me – –”395. Proprio questo “divampare” di sentimenti aveva impressionato anche Chmelenský e i contemporanei di Mácha che, al contrario degli altri contesti europei, avevano visto in questo turbinio di sentimenti una minaccia per ciò che veniva reputato allora il vero fine della letteratura.

Forse Mácha, così come del resto molti suoi contemporanei, non ha compreso completamente l’origine dello světobol [dolore cosmico] byroniano ed aveva intuito di lui solamente, attraverso le poche opere che ha potuto leggere, la continua lotta per raggiungere l’ideale e le forti passioni di cui egli stesso sarebbe stato vittima396.

Tuttavia, indipendentemente dalla conoscenza approfondita della vita e dell’opera di Byron, la forma innovativa dei suoi versi giunse a Mácha, al quale mancava nelle sue prime opere, quando aveva appena iniziato a muovere i primi passi nella poesia,

solamente una forma adatta per esprimersi, benché in realtà già nei primi testi si intravedono temi e collocazioni del Mácha successivo. Infatti, il Mácha giovanissimo dei Versuche [Tentativi] in lingua tedesca, ritenuti spesso non più che esercizi

stilistici397, ma ancor di più dei componimenti in ceco Na hřbitově [Al cimitero] e Pěvec [L’usignolo]398, scritti attorno al 1830, si esprimeva con una poesia semplice ma già musicale, giocata su rime e assonanze, sull’ordine delle parole, e sul piano dei contenuti

392 Marian Zdziechowski, Karel Hynek Mácha a byronism český, Jičín, 1895, pp. 28-29.

393 “Proč jste řekl, že jste Vulkánem, proč ne Byron?”, in Karel Hynek Mácha, Literární zápisníky, op. cit., p. 325.

394 Citato in Ethel Colburn Mayne, Byron, vol. II, London, 1912, p. 56.

395 “Já jsem sopkou Islandskou; kolem led a sníh a ve mně - -”, in Karel Hynek Mácha, Literární

zápisníky, op. cit., p. 258.

396 Marian Zdziechowski, Karel Hynek Mácha, op. cit., p. 28.

397 Václav Černý, “Karel Hynek Mácha a západoevropský titanismus romantický”, in Arne Novák (a cura di), Karel Hynek Mácha, op. cit., p. 16, nota 8.

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già si intuisce il suo “tono tipico di base, una malinconia fuori dal comune e un aspro tormento”399:

Na hřbitově

Smutně zvonek volá k hrobu den, rolník s pole k malé chýži

mdlým se krokem ku vsi blíží; celou zem již krýje sen. Hroby stříbří bledé luny svit, větýrek kol hrobu věje, slavíček tam líbě pěje, v ňádrech budí mutný cit. Nade mnou na kříži Kristus pní, kol obzářen světlem lůny; větřík v mojí harfy strůny věje — any samy zní. Osvícená vlnka lunou hrá v potůčku, jenž v luhy stinné kolem hřbitova se vine, v jeho olších holub lká.

Na těch hrobách já jen sedím sám, vůkol bledé stojí stíny.

Píseň, mojí mrtvé Líny ostatky, teď pěju vám!400

Al cimitero

La campana chiama tristemente il giorno alla tomba, il contadino dai campi alla piccola capanna

si avvicina con passo logoro al villaggio; il sogno già nasconde tutta la terra.

La luce della pallida luna colora d’argento le tombe, una corona di fiori cinge una tomba,

un usignolo canta soavemente, nel petto desta un dolore muto. Sopra di me Cristo si regge alla croce illuminato attorno dalla luce della luna; il vento nelle corde della mia arpa soffia – esse da sole suonano. Un’onda illuminata gioca con la luna nel ruscelletto, che nella valle ombrosa serpeggia attorno al cimitero,

nei suoi ontani si duole il colombo.

Su quelle tombe solamente io siedo in solitudine attorno stanno pallide ombre.

Una canzone, alla mia povera Lína, spoglie, ora la canto a voi.

Questa è una delle primissime poesie máchiane in cui si incontra inconfondibile l’atmosfera cupa e le immagini delle corde tristi dell’arpa, della pallida luna, dell’amata morta, il canto degli uccelli, che verranno poi ripetutamente utilizzate nelle opere successive.

Come si è detto, un’altra delle prime poesie di Mácha che manifestano questi stessi tratti è Pěvec, dove troviamo anche altri temi ricorrenti:

399 “charakteristický záklasní tón, neobyčejná zádumčivost a trpký žál”, in Jakub Arbes, Karel Hynek

Mácha, op. cit., p. 133.

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Jej často touha pudí, při mdlém když světle lůny slavíka zpěv jej zbudí, své harfy pěstit strůny. Přede dvéře malé chyše vystoupna dlouho sedí, an vůkol vše spí tiše na hrobky tyto hledí. Tu, Líno, myslí tebe, an chladná zem tě kreje; svou harfu dá před sebe a v její strůny pěje.

Sotva kvítko vnadné jen se ukáže světu: tu bouř jej zbaví květu a opět bídně zvadne. Sotva se počne smáti den, slunce jasně svítí: však brzce zas se tmíti počíná, noc se vrátí. Tak též i v našem žití ohledneme se v světě, přijde smrt v prudkém letě, hrob opět nás má krýti. Tak též i, Líno, tebe v překrátkém opět čase v prach obrátilo zase, k sobě volalo nebe. Ó dej, ať s Línou mojí, jak někdy v tomto světě, radost nám opět květe, ať hrob nás opět spojí.401

Il desiderio lo prende spesso, nella luce smorta della luna quando il canto dell’usignolo lo risveglia, per curarsi delle corde della propria arpa. Davanti alla porta della piccola capanna sta seduto a lungo

e attorno tutto riposa silenzioso sulle tombe questi guardano. Qui, Lína, pensa a te, e la fredda terra ti ricopre; prende l’arpa

e canta sulle sue corde.

Proprio ora il bel fiore si mostra al mondo:

il temporale gli toglie i petali e di nuovo appassisce miseramente. Proprio ora comincia a sorridere il giorno, il sole splende chiaro: ma presto ancora inizia

ad imbrunire, la notte ritorna. Così è anche il nostro vivere guardiamoci intorno nel mondo, giunge la morte nella fulminea estate, la tomba ci deve di nuovo ricoprire. Così, Lína, anche tu

nel tempo troppo breve in polvere ti ha riportato, a sé ti ha chiamato il cielo. Oh fa’ che con la mia Lína, come non fu mai in questa terra, la felicità fiorisca di nuovo per noi, che la tomba ci riunisca ancora.

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In queste due poesie compaiono diversi motivi ricorrenti nell’opera successiva di Mácha: la luna pallida, le corde di un’arpa, il canto di un usignolo, il fiore che

appassisce, il sole che splende, la tomba che andrà a ricoprire anche l’io lirico. Fin da queste prime poesie, cioè, si delineano alcuni dei principali temi ricorrenti di Mácha: il dolore per la perdita dell’amata morta, la giovane vita spezzata, la natura che almeno inizialmente partecipa al lutto, e la speranza non del tutto vana di ricongiungersi a lei nell’aldilà.

L’influenza di Byron e le esperienze della vita toglieranno a Mácha questa speranza ancora viva, e la sua poesia si farà ancor più pessimista, frammentata, dettata dal

tormento interiore di un animo “lacerato”.