4. Ricezione di Mácha a partire dal 1836: gli esordi del byronismo in Boemia
4.2. Mácha come primo byronista
Ed io – nemmeno ho riso, non mi sono arrabbiato, ho letto tutto come se uno sconosciuto scrivesse e giudicasse una poesia sconosciuta.313
Karel Hynek Mácha
Solamente con la pubblicazione del Maggio la questione del romanticismo, ormai definitivamente identificato con il byronismo, divenne nelle terre ceche oggetto di discussioni e polemiche a livello ufficiale.
Anche Mácha come Byron si trovò infatti da un giorno all’altro ad essere famoso, ma all’estremo opposto rispetto al poeta inglese, da quando cioè nell’aprile del 1836 pubblicò, in seicento esemplari, autofinanziandosi, la propria poesia lirico-epica
310 Idem, Sám v davu s Máchou, op. cit., p. 40.
311 František Xaver Šalda, “Hořčičné semeno Máchovo”, in Idem, Z období zápisníku II, Praha, 1987, p. 80.
312 “Nešťastný básník i s celou svou romantikou! Kozla nám po ní. Ježto ovoce a tudy i víno – blaho básníků –, jak slyším, na všecky strany pomrzlo. A také okurky – jsou všecky ty tam! […] To jsou ty plody hrozného byronismu”, in Josef Chmelenský, “Literatura česká”, op. cit., p. 385.
313 “…a já – ani jsem se nezasmál, ani nerozhněval, četl jsem to všecko, jako by mně neznámý byl mně neznamou napsal i posuzoval báseň”. Lettera ad Eduard Lindl dell’8 giugno 1836, in Karel Hynek Mácha, Literární zápisníky, op. cit., p. 235.
91
Maggio, presso Jan Spurný314. Si tratta di un piccolo libricino di 68 pagine, strutturato in quattro canti e due intermezzi. Ha le caratteristiche tipiche della poesia lirico-epica byroniana: fioriti passaggi lirici e una trama tutto sommato piuttosto semplice.
Vilém è “il terribile signore dei boschi”, alla testa di una banda di banditi insediati alle porte di un villaggio sulle rive di uno splendido ma cupo lago. L’amata Jarmila lo attende seduta sotto a una quercia, ma egli non verrà, in quanto è prigioniero nella torre, e lì attende l’alba, quando sarà giustiziato per l’assassino del padre a lui sconosciuto, che in passato aveva sedotto la stessa Jarmila, la quale, appresa la notizia, si getta nel lago. Il secondo e il terzo canto sono dedicati interamente a Vilém, alla notte trascorsa in cella e al mattino dell’esecuzione. Nell’ultimo canto infine il poeta stesso, con il nome di Hynek, fa la sua comparsa e ripercorre a cavallo i luoghi della vicenda. Le prime recensioni condannarono quasi all’unisono l’opera máchiana, definendo il poema “spazzatura”, un “non senso”, una “poesia poco equilibrata”, un “canto da patibolo”, e l’autore un “miserabile strapazzarime”315. Questa recensione rimase impressa nella mente di Mácha, anche se egli apparentemente rimase impassibile davanti alle critiche. Nella citata lettera all’amico Eduard Hindl infatti lo scrive direttamente316.
Solamente lo slovacco Karel Kuzmány e l’amico Karel Sabina difesero Mácha e il romanticismo come corrente letteraria. Il primo rispondendo alla recensione di
Chmelenský, il secondo ricostruendo l’opera di Mácha che poi pubblicherà postuma con ampie appendici e commenti.
Nel paragrafo 2.5. si accennava a come le ricezioni di Mácha e Byron, a partire da quell’anno, fossero strettamente connesse e i due autori percepiti in modo molto simile. Poeti del sé, dell’autoriflessione, del sogno. Sulla sua famigerata recensione del Maggio pubblicata su Česká včela Tomíček scrisse infatti:
314 “Dal jsem to tisknout u Spurného.... Žádá sice pravda velmi mnoho, to jest 9 fl. stříbra od archu, ale 1. nepřetiskne mi žádného exempláře více, 2. dá na to tuze pozor, aby vydání bylo čisté, a za třetí dá nové písmo, s kterým ještě nic nebylo tisknuto” [L’ho dato da stampare a Spurný… pretende invero
moltissimo, ossia nove fiorini d’argento in contanti, ma: 1) non mi stamperà nessun esemplare in più, 2) farà alquanto attenzione che la stampa sia pulita e 3) utilizzerà un nuovo carattere, con il quale non è stato ancora stampato nulla], Karel Hynek Mácha, lettera a Eduard Hindl del 30 aprile 1836, in Ivi, pp. 317-318.
315 “škvára […] nesmyslnost […] nevyrovnaná báseň […] šibeničnický zpěv […] bídný rymotepec”, in Slavomír Tomíček, “Československá literatura”, in Česká včela 3, 1836, N. 22, 31/05/1836, pp. 181-182.
92
protože sám nic jiného nevidí, okázal nám černou, věčnou prostoru svojí sežlé útroby. […] Chtěl-li by nám pan Mácha v druhém svazku svých Spisů podati opět druhé vydání svých snů, svého spaní, může být obezpečen, že mocně ho probouzeti budeme; spali jsme dvě stě let, on nesmí nás dutým hlasem své zbortěné harfy do nového snění konejšiti. Bylo by k přání, aby se tak otrocky nevázal právě k té nejšpatnější stránce anglického barda, ale podával nám básně pravé ceny, na odiv stavěl kvetoucí obraznost, ze které však pramen života, božský nektar vyplývá.317 dal momento che egli stesso non vede nient’altro, ci ha mostrato l’oscuro e eterno spazio delle sue interiora deperite. […] Se Mácha intendesse ancora mostrarci nel secondo volume delle sue opere una seconda edizione dei suoi sogni, del suo sonno, può star sicuro che lo sveglieremo in modo forte e chiaro; abbiamo dormito per duecento anni, ed egli non può con la voce cava della sua arpa smussata cullarci in un nuovo sogno. Sarebbe opportuno che non si legasse in modo così servile proprio alla parte peggiore del bardo inglese, ma che ci donasse poesie di valore, che mettesse in mostra immagini fiorite dalle quali però srgorgassero sorgenti di vita, nettari divini.
Mácha veniva quindi così irrimediabilmente associato al poeta inglese e lo si accusava di essere totalmente sotto la sua influenza. Il suo talento come poeta non era né in questo frangente né altrove messo in discussione, ma lo era invece il suo modo di rifugiarsi nel sé, nei sogni, nell’interiorità. Anche Vojtěch Nejedlý, che lo definì un “intelletto eccellente”318, riteneva che egli si fosse allontanato dalla retta via dei grandi poeti cechi, seguendo invece i modelli inglese e tedesco. E così anche Chmelenský:
Jeho Máj – aspoň mne – příliš urází; neboť od oběšence a anjela tak nepoeticky padlého s nechutí oči obracím. Třebať i p. Mácha dokola krásných květin nasázel, pěkných obrazů v pozlacených rámech navěšel, přece vůně jeho květin a lesk jeho obrazů puch a vyzáblost lotra se klátícího nezahrnou a hnusné kolo a šibenici našemu oku nezakryjí, nechť by se i v pozadí sám básník dostavil. A pak, co nám do Byrona? – Pěj podruhé p. Mácha, jak se moc vyšší v jeho ňadrách ozývá, a neohřívej své srdce a nerozplamenávej svou obraznost na nepřirozených výtvorech anglického lorda, s sebou vždy bojujícího; oč že jemněji a čistěji zazní jeho lyra k potěšení našemu. Tak jest ale jeho Máj, jak on sám na stránce 33 spívá,
„toť, co se nic nazývá.“319
317 Slavomír Tomíček, “Československá literatura”, op. cit., pp. 181-182.
318 “výborná hlava”, in Emil Horský, “V. Nejedlý o Máchovi”, in Časopis českého muzea 87, 1913, pp. 452.
93
Il suo Maggio – almeno per quanto mi riguarda – offende troppo; in quanto da un impiccato e da un angelo caduto così poco poeticamente distolgo gli occhi con disgusto. Forse Mácha ha anche attorno piantato dei bei fiori, appeso delle belle immagini in cornici dorate, ma comunque il profumo dei suoi fiori e lo splendore delle sue immagini non coprono il puzzo e la macilenza di un bandito che barcolla e non nascondono ai nostri occhi la ruota disgustosa e il patibolo, senza considerare che il poeta stesso compare poi sullo sfondo. E poi, che ce ne facciamo noi di Byron? – Canta per la seconda volta, Mácha, come nel tuo petto echeggia il sentire più alto, e non riscaldare il tuo cuore e non far divampare la tua immaginazione sulla base delle creazioni innaturali del lord inglese sempre in lotta con sé stesso; che la sua lira risuoni più dolce e pura per il nostro piacere. Ma questo è il suo Maggio, come egli stesso recita a pagina 33:
“Quel che si chiama il nulla.”
Come a ragione scrive Vlček, il primo periodo dopo l’uscita del Maggio coincise con un’inconsueta “esecuzione critica collettiva”320, in quanto spesso a restare più impressa era proprio la scena dell’esecuzione del protagonista Vilém. Il talento di Mácha sembrava a tutti evidente, il suo poetare avrebbe dovuto però suonare “più ceco” – questo era il ritornello che più spesso risuonava nelle recensioni di questo periodo. L’opera di Mácha rimase in sostanza incompresa dai suoi contemporanei perché egli era l’unico ad avere il coraggio di guardare in faccia la sua situazione nazionale e personale, al di fuori dell’ottimismo che regnava invece tra i patrioti321. Per Jakub Arbes il motivo di reazioni così violente sarebbe stata la mancanza di istruzione in generale e dei letterati in particolare322, che per cercare di salvare la patria si ispiravano alle canzoni e alle tradizioni popolari323, invece di guardare alle letterature straniere cercando di mettervisi al passo. In particolare Byron, osannato nei contesti polacco, tedesco e russo, nelle terre ceche era stato al contrario bandito e rifiutato, e compreso forse solamente proprio da Mácha324. In termini meno categorici, ma comunque sulla stessa linea, si è espresso anche Vojtěch Jirát, che ha sottolineato in modo netto la voragine che divideva Mácha dalla società del tempo325, e ha giudicato le innovazioni del poeta ceco troppo in
320 “hromadná kritická poprava”, in Jaroslav Vlček, Dějiny III, op. cit., p. 160.
321 František Xaver Šalda, “Karel Hynek Mácha”, op. cit., p. 45.
322 Jakub Arbes, Karel Hynek Mácha, Praha, 1941, p. 19.
323 “Čeští romantikové překonávali jej odďaným a plodným kultem lidu, národa, Slovanstva” [I romantici cechi lo superavano [l’abisso dell’autodistruzione] con un devono e fruttuoso culto del popolo, della nazione, dell’essere slavi.], in Arne Novák, “Karel Hynek Mácha”, op. cit., p. VIII.
324 Jakub Arbes, Karel Hynek Mácha, op. cit., p. 21.
94
anticipo rispetto al proprio contesto culturale, individuando così il motivo principale del suo rimanere incompreso dai contemporanei. La società e la letteratura ceca non erano ancora pronte, all’epoca, per una poesia di questo tipo.
Una letteratura ai suoi inizi non può tuttavia pretendere di avanzare e trovare un posto tra le grandi letterature limitandosi a imitare le canzoni popolari. Questo Mácha l’aveva già compreso, e aveva tentato di riunire la tradizione truchloherní [tragica] delle ballate ceche326 con il byronismo. A modo suo, ossia senza uscire troppo dagli schemi. Mácha infatti tendeva allo stesso modo al romanticismo soggettivo che alla poesia patriottica327. Non tanto per i temi che utilizzava, ma per le ambientazioni per esempio, che sono quelle della propria patria: la Praga dei quartieri popolari, i laghi, i castelli della Boemia. Tutto questo unito all’inserimento, nelle proprie opere, di canti popolari e allusioni alla storia ceca. Ciò che i critici contemporanei di Mácha non vedevano è proprio “il suo essere ceco dentro e fuori”328, che si nascondeva dietro ai suoi versi musicali e che egli esprimeva attraverso una lingua particolare, quella dell’animo, ebbene sì, lacerato, del poeta romantico byronista.
Egli come Byron non ha avuto paura di mettere su carta, con uno stile personale, unico, ma ancora appunto troppo moderno per il contesto ceco, le dissonanze che vedeva attorno a sé e l’abisso che separava la realtà dall’ideale (in questo caso quello patriottico dei panslavisti), che egli espresse con i contrasti che lo rendevano, per il momento, tristemente famoso. Mácha viveva un rapporto completamente diverso con la realtà che lo circondava, la guardò dritta in faccia e la descrisse, si fece “legislatore”329 della propria visione del mondo, senza filtri o norme estetiche o ideologiche (come per esempio quelle del patriottismo). Anche Sabina, nel difendere Mácha, difendeva anche questo diritto del poeta di crearsi una propria visione del mondo, al di fuori del semplice condizionamento del byronismo330, la “malattia moderna e straniera”331. Tutto questo però Mácha lo traspose nel contesto della sua patria, la sua poetica è sì ispirata al byronismo, ma adattata alle terre ceche, ambientata in esse.
326 Ivi, p. 65.
327 Dalibor Tureček, “Máchova báseň „Čech“”, in Idem, České literární romantično, op. cit., p. 193.
328 “vnitřní a vnější českost”, in Ivi.
329 “zákonodarec”, in Růžena Grebeníčková, “Tylův Rozervanec a otázky romantismu v Sabinově interpretaci Máchy”, in Eadem, Máchovské studie, Praha, 2010, p. 286.
330 Karel Sabina, “Úvod”, op. cit., p. XXXV.
331 “módní choroba”, “cizí choroba” in Josef Kajetán Tyl, “Rozervanec”, in Don Juan a jiné povídky, Praha, 1974, pp. 103-104.
95
La poetica máchiana era d’altra parte perfettamente al passo con il contesto del romanticismo europeo, nei concetti base era vicina alla nuova coscienza dell’uomo moderno del periodo332, che a sua volta era in generale connessa alla perdita delle illusioni e certezze del Classicismo e dell’Illuminismo a partire dalla Rivoluzione francese. Se per l’Europa l’Ottocento è il secolo “dell’irrazionalità, della mistica e dell’idealismo,… del caos e dello scompiglio”333, e dell’individualità, Mácha è da questo punto di vista in prima linea.