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5. Definizione

6.1. Natura del diritto

Titolarità del diritto – 6.3. segue: l’accesso civico - 6.4.Oggetto del diritto – 6.5. Deroghe – 6.6. La tutela giurisdizionale e giustiziale

6. Definizione

Una delle modifiche più importanti introdotte dalla l. 241/90 ha riguardato senza alcun dubbio il diritto di accesso ai documenti amministrativi, che ha segnato definitivamente un passaggio dalla segretezza alla trasparenza e pubblicità dell’attività amministrativa, in omaggio ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità. Ed infatti, ai sensi dell’art. 22 della l. 241/90 l’accesso ai documenti amministrativi rappresenta un principio generale dell’azione amministrativa, costituendo le deroghe a tale principio una vera e propria eccezione.

Tale facoltà si sostanzia nella possibilità per il privato di cittadino di visionare ed estrarre copia dei documenti amministrativi, purchè, naturalmente, lo stesso abbia un interesse qualificato in tal senso.

Il diritto di accesso rappresenta, quindi, un ulteriore tassello introdotto dalla l. 241/90 a quella visione del procedimento amministrativo visto come momento di democrazia; e non vi può essere democrazia dove non vi è conoscenza.

Per tale ragione, ammettere soltanto la partecipazione del privato al procedimento, con la possibilità di contraddire e di relazionarsi all’amministrazione, non lo avrebbe dotato delle conoscenze idonee a poter adeguatamente fornire un apporto effettivo al procedimento. La previsione di un diritto di accesso alla documentazione amministrativa permette al privato di fornirsi di quel bagaglio di informazioni sul

procedimento pendente che gli permette di fornire un reale ed effettivo contributo all’amministrazione, con il raggiungimento di quegli obiettivi di democrazia ed efficienza della pubblica amministrazione perseguiti dal legislatore.

Si legga infatti quanto contenuto nella sentenza del T.A.R.

Calabria Catanzaro Sez. II, 07/11/2014, n. 1755 secondo cui “la tutela del diritto di accesso agli atti della P.A., prevista dagli art. 22 e segg. della legge 7 agosto 1990 n.

241, è preordinata al perseguimento di rilevanti finalità di pubblico interesse, intese a favorire la partecipazione e ad assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'attività amministrativa, in attuazione dei principi di democrazia partecipativa, di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa, riconducibili all'art. 97 Cost., e, a livello comunitario, si inserisce nel più generale diritto all'informazione dei cittadini, rispetto all'organizzazione e alla attività soggettivamente amministrativa, quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi ed illegalità della P.A..”115

6.1. Natura del diritto

Si è fortemente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza sulla natura del diritto di accesso.

Ed infatti, benché il codice parli di diritto di accesso, è controversa l’effettiva consistenza di tale diritto, vale a dire

115 In tal senso anche la pronuncia del T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, 17/01/2017, n. 55 secondo cui “il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla Legge 7 agosto 1990 n.

241 e ss.mm. (artt. 22 ss.), costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico e si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi.”

se lo stesso possa inquadrarsi tra i diritti soggettivi o se invece non vada considerato alla stregua di un interesse legittimo.

La soluzione al quesito appare di particolare rilievo, in quanto le conseguenze che ne derivano sul piano sostanziale e processuale sono differenti.

Sul punto numerose sono state nel tempo le pronunce dei giudici amministrativi.

Secondo un primo orientamento, il diritto di accesso, a dispetto del nomen iuris utilizzato, avrebbe natura di interesse legittimo.

Tale tesi ritiene, infatti, che l’attività compiuta dall’amministrazione anche in materia di accesso è caratterizzata dal perseguimento del pubblico interesse cui corrisponde necessariamente una posizione di interesse legittimo. Inoltre, tale tesi è confortata dalla previsione di un termine perentorio avverso le determinazioni in materia di accesso, che non avrebbe motivo di esistere se non si fosse dinnanzi ad una posizione di interesse legittimo.

Le ragioni di tale orientamento si possono leggere in Cons.

Stato 1725/98, secondo cui il fatto che il diritto di accesso

“non sia diritto pieno, riconosciuto pariteticamente nei confronti dell'Amministrazione come potrebbe esserlo rispetto ad un ente di diritto privato, risulta ad ogni passo.

Non solo l'Amministrazione stessa ha, a diversi livelli, potestà regolamentare, non limitata nel suo esercizio alla sola interpretazione della legge, potestà che dev'essere considerata, sotto vari profili, come reiterabile. Ma anche nell'ambito di dati regolamenti le Amministrazioni conservano potere discrezionale (art. 24.6). Soprattutto, come risulta già dall'art. 22, l'intero istituto é direttamente rivolto a fini d'imparzialità e buon andamento dell'Amministrazione. Non si tratta dunque, in prima linea, di singoli rapporti conflittuali fra parti contrapposte e come tali evidentemente paritarie. Anche se l'istituto può avere qualche ruolo nel prevenire liti o nel favorire la prova di situazioni litigiose (per la quale ultima cosa, tuttavia,

esistono apposite e più pregnanti disposizioni), esso non é predeterminato a ciò. Il suo scopo essenziale é dimostrato anche dall'istituzione di un'importante Commissione per l'accesso ai documenti, e dall'esame della composizione e delle competenze di essa. Si ché la posizione del privato rispetto allo svolgimento della vicenda é appunto quella d'interesse legittimo.”

Secondo altri invece, stante anche il tenore letterale della norma che parla di diritto di accesso, saremmo dinnanzi ad un’ipotesi di diritto soggettivo. Inoltre, si sostiene che l’amministrazione non dispone di alcuna discrezionalità nel vietare l’accesso, stante che le ipotesi di divieto sono espressamente previste. Infine, poiché il giudizio amministrativo si conclude non con il mero annullamento del diniego all’accesso, ma con una condanna dell’amministrazione ad esibire i documenti, ne deriva che la posizione tutelata del privato deve essere necessariamente di diritto soggettivo, stante la pienezza di tutela che gli viene assicurata dal legislatore.

Tale ultima tesi però è stata sconfessata dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 16/99, la quale ha ritenuto atecnico il termine diritto utilizzato dal legislatore, poiché ha ritenuto la Plenaria, anche in materia di accesso l’amministrazione deve compiere una valutazione comparativa degli interessi in gioco, tra cui spicca in primis il diritto alla riservatezza altrui.

Il provvedimento con cui l’amministrazione effettua tale comparazione di interessi ha natura autoritativa, come si desume anche dal termine decadenziale previsto ex lege.

Si legge, infatti, in sentenza che “ in materia di accesso ai documenti amministrativi regolato dagli art. 22 - 25 l. 7 agosto 1990 n. 241, il termine "diritto" va considerato atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento amministrativo è impugnabile, come nel caso del "diritto" di accesso, entro un termine perentorio, pure se incidente su posizioni che

nel linguaggio comune sono più spesso definite come di

"diritto".

Dall’inquadramento del “diritto di accesso” come interesse legittimo deriva come conseguenza l’applicazione dei principi processuali applicati in caso di interessi legittimi, ed in particolare la necessità di notifica del ricorso al controinteressato pena l’inammissibilità dell’impugnazione e l’impossibilità di ricorrere avverso un diniego meramente confermativo del precedente, per violazione del termine decadenziale.

Sebbene la questione sembrasse definitivamente risolta, la riforma del 2005 ha riaperto il dibattito.

Ed infatti la riforma ha qualificato il diritto di accesso come inerente ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Inoltre, è stata espressamente prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che sembra quindi deporre per la necessaria presenza di una posizione di diritto soggettivo; infatti, qualora la posizione in questione fosse inquadrabile tra gli interessi legittimi non sarebbe necessario scomodare la giurisdizione esclusiva, essendo sufficiente a fornire un’adeguata tutela al privato, la presenza della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.

Le conseguenze derivanti dall’accoglimento della tesi del diritto soggettivo permetterebbero al cittadino di riproporre l’istanza di accesso anche a seguito del diniego dell’amministrazione, poiché tale diniego non inciderebbe né modificherebbe la sua posizione soggettiva; non potrebbe applicarsi il termine di decadenza che ha ragione di esistere solo a fronte di una posizione di interesse legittimo; ed inoltre, non si applicherebbe la disciplina in materia di inammissibilità in caso di mancata notifica al contro interessato, dovendosi applicare l’art. 102 c.p.c. che permette l’integrazione del contraddittorio.

Alla luce delle novità normative sopra esposte, il Consiglio di Stato con ordinanza 4686/05116 ha rimesso nuovamente

116 Il consiglio di stato predilige la soluzione del diritto soggettivo.

Infatti, si legge nell’ordinanza che “secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, il divieto di accesso ai documenti amministrativi si configura come un diritto soggettivo all'informazione, per cui le eventuali determinazioni negative, anche se divenute inoppugnabili per decorso del termine previsto dall'art. 25, comma 5, della l. n.

241/1990, non fanno venire meno, sul piano sostanziale, la posizione giuridica dell'interessato all'accesso; potendo questi rinnovare l'istanza e riattivare la tutela giurisdizionale. Con la conseguenza che la decorrenza del termine per l'impugnativa di un atto di diniego dell'accesso non preclude il nuovo esercizio del diritto da parte del titolare, né l'eventuale impugnativa di un atto di diniego impedisce il nuovo esercizio del diritto e l'eventuale impugnativa dell'ulteriore pronuncia di diniego emessa dall'amministrazione (questa sezione, 12 aprile 2005, n. 1679; Sez. IV: 27 maggio 2003, n. 2938; 2 luglio 2002, n. 3629; 22 gennaio 1999, n. 56).Tale soluzione, nella misura in cui considera limitata al singolo provvedimento l'influenza del decorso del termine decadenziale, è incompatibile con la ratio della previsione legislativa di detto termine. Posto, infatti, che la ratio del termine decadenziale è data dalla necessità di conferire certezza all'azione amministrativa e stabilità all'assetto da questa sancito in ordine alla spettanza dell'accesso, è evidente che il fine legislativamente perseguito sarebbe eluso dalla permanente possibilità di rieccitare l'esercizio dell'attività amministrativa non debitamente stigmatizzata e, conseguentemente, di azionare la pretesa nel termine di prescrizione. La soluzione qui contestata, oltre che non compatibile con la ratio della previsione di un termine decadenziale, si pone in distonia con il principio di economicità dell'azione amministrativa nella misura in cui consente, a fronte di una vicenda sostanziale unitaria, una pluralità di procedimenti culminanti in provvedimenti ognuno dei quali impugnabile, a prescindere dalla rituale contestazione delle precedenti determinazioni. Deve, inoltre, considerarsi che l'imposizione di un termine decadenziale per l'esercizio dell'azione, il cui spirare preclude in via definitiva l'azionabilità della pretesa in giudizio, è pienamente compatibile anche con la tutela dei diritti soggettivi;

come dimostrano, a titolo esemplificativo, le norme in tema di impugnazione di accertamenti tributari e le disposizioni relative all'esercizio dell'azione diretta a far valere la garanzia dei vizi nei contratti di vendita e di appalto (art. 1495 del c.c., art. 1519-sexies e seguenti del c.c., e art. 1667 del c.c.).Ne consegue che,

la questione all’Adunanza Plenaria, la quale però con la decisione 6/06 ha ritenuto non utile prendere posizione sulla questione.

Ed infatti, sostiene l’Adunanza Plenaria che il diritto di accesso ha una natura strumentale alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, per cui è irrilevante stabilire se sia configurabile come diritto soggettivo o interesse legittimo.

Il diritto di accesso non assume, quindi, rilievo in quanto tale ma solo per il collegamento che lo stesso intrattiene con il bene della vita finale che l’istante vuole tutelare con la proposizione dell’istanza di accesso. Si legge in sentenza infatti che “non sembra peraltro, che nella specie, rivesta utilità ai fini dell'identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l'accesso, prendere posizione in ordine alla natura della posizione soggettiva coinvolta. L'accesso è collegato a una riforma di fondo dell'amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all'informazione dei cittadini rispetto all'organizzazione e alla attività amministrativa. Ed è evidente in tale contesto, che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all'accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto. Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un

coerentemente, la decadenza di cui all'art. 25 della l. n. 241/1990

dovrebbe avere a oggetto non il singolo provvedimento ma la decisione sostanziale assunta; con l'effetto di rendere inoppugnabili atti successivi, che rimandino a detta decisione senza apportare nuovi elementi valutativi, o comunque la precedente determinazione sull'accesso se non impugnata tempestivamente.

interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi). Il carattere essenzialmente strumentale di tali posizioni si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall'ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell'azione correlata e concentra l'attenzione del legislatore, e quindi dell'interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all'azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell'interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati.”

L’Adunanza Plenaria precisa altresì che l’istanza non è riproponibile dal privato, in quanto il termine decadenziale è previsto a tutela della certezza dell’operato dell’amministrazione; sarà possibile reiterare l’istanza solo in presenza di fatti nuovi117.

117 Si legge, infatti, in sentenza che “il giudizio a struttura impugnatoria consente alla tutela giurisdizionale dell'accesso di assicurare la protezione dell'interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell'esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che si è visto essere pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa. Nel delineato contesto, il disposto legislativo (art. 25, commi 5 e 4) - che, rispettivamente, fissa il termine di trenta giorni (evidentemente decorrente dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi e qualifica in termini di diniego il silenzio serbato sull'accesso - pone un termine all'esercizio dell'azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza, a meno di non volerne sostenere l'assoluta irrilevanza, pur a fronte del chiaro tenore della norma e della sua coerenza con la rilevata esigenza di certezza che ha anzi indotto il legislatore a delineare un giudizio abbreviato che mal si concilierebbe con la proponibilità dell'azione nell'ordinario termine di prescrizione. Ma il carattere decadenziale del termine reca in sé - secondo ricevuti principi, come inevitabile corollario - che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego

L’Adunanza, quindi, ritiene che il giudizio impugnatorio con la previsione di un termine decadenziale permette il giusto contemperamento tra le esigenze di certezza e stabilità dell’azione amministrativa e quelle di conoscenza del privato istante.

La giurisprudenza successiva però si è nuovamente posta il problema della natura giuridica del diritto di accesso, non tanto per ragioni prettamente astratte, ma per ragioni di ordine processuale. Infatti l’Adunanza Plenaria non prendendo posizione sulla natura del diritto, non ha risolto il problema relativo alle conseguenze derivanti dalla mancata notifica del ricorso al contro interessato.

La giurisprudenza successiva all’Adunanza Plenaria, ritenendo che la posizione soggettiva dell’istante fosse qualificabile come un diritto soggettivo, ha sposato la tesi dell’applicabilità dell’art. 102 c.p.c. con possibilità da parte del giudice di integrare il contraddittorio. Ed infatti, si è

laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente

confermativo del primo. In altre parole, il cittadino potrà reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso;

e, in tal caso, l'originario diniego, da intendere sempre rebus sic stantibus, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale. Ma qualora non ricorrano tali elementi di novità e il cittadino si limiti a reiterare l'originaria istanza precedentemente respinta o, al più, a illustrare ulteriormente le sue ragioni, l'amministrazione ben potrà limitarsi a ribadire la propria precedente determinazione negativa, non potendosi immaginare, anche per ragioni di buon funzionamento dell'azione amministrativa in una cornice di reciproca correttezza dei rapporti tra privato e amministrazione, che l'amministrazione sia tenuta indefinitamente a prendere in esame la medesima istanza che il privato intenda ripetutamente sottoporle senza addurre alcun elemento di novità. Ne consegue che la determinazione successivamente assunta dall'amministrazione, a meno che questa non proceda autonomamente a una nuova valutazione della situazione, assume carattere meramente confermativo del precedente diniego e non è perciò autonomamente impugnabile.

sostenuto che la previsione di un termine decadenziale non è di ostacolo alla qualificazione come diritto soggettivo del diritto all’accesso118.