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5. Definizione

8.2. La natura giuridica

Uno degli argomenti che maggiormente divide dottrina e giurisprudenza concerne la natura di tali accordi, scontrandosi da un lato la tesi della natura civilistica e dall’altro quella della natura pubblicistica.

La questione non è meramente teorica, in quanto dall’inquadramento che si ritiene di dover sposare ne deriva la disciplina da dover applicare ove non specificatamente previsto.

In particolare ci si è chiesti, qualora si dovesse ritenere che tali accordi abbiano natura privata, se possa ammettersi che un provvedimento amministrativo venga sostituito da un atto di natura privatistica ovvero ancora se un tale ultimo atto possa vincolare l’amministrazione nell’emanazione di un successivo provvedimento avente natura chiaramente pubblicistica.

La tesi civilistica fonda il suo convincimento sul dato letterale della norma che parla di accordi e richiama i principi del codice civile; inoltre il legislatore ha previsto la possibilità di recesso da tali accordi, così richiamando un istituto di evidente natura privatistica. Ed infatti, la legge 241/90 prevede la possibilità di revoca del provvedimento, dove invece il concetto di recesso sembra più richiamare l’istituto privatistico.

Tale ultimo orientamento, però, risulta minoritario, in quanto prevale in giurisprudenza la tesi pubblicistica, poiché si ritiene che anche in presenza di tali accordi l’amministrazione utilizzi poteri autoritativi e funzionalizzati al raggiungimento del pubblico interesse160.

160 In tal senso si legga Cons. Stato 5000/13 secondo cui “gli accordi integrativi del contenuto discrezionale di provvedimenti non sono negozi di diritto privato, bensì contratti ad oggetto pubblico, per la conclusione dei quali l'amministrazione, diversamente dalla parte privata, non esercita alcuna autonomia privata, bensì un potere unilaterale non privatistico: in relazione a tali contratti ad oggetto

A tal fine si precisa che il richiamo ai principi del diritto privato è comunque subordinato alla loro compatibilità con tali accordi; la necessità di tale verifica sarebbe superflua se si fosse effettivamente trattato di meri accordi privatistici; ed ancora si ritiene che il richiamo all’istituto del recesso appare generalizzato e subordinato ai motivi di pubblico interesse, e tale circostanza mal si coniuga con un istituto privatistico.

Ed infine il richiamo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la precisazione che gli accordi non devono pregiudicare i terzi, rafforza la tesi pubblicistica. Ed infatti, tale ultima previsione sarebbe irrilevante, stante che per definizione ai sensi dell’art. 1372 c.c. il contratto produce effetti solo tra le parti; inoltre la previsione della giurisdizione esclusiva porta a ritenere sussistente un’ipotesi di esercizio del potere, contrastante con la natura contrattuale di tali accordi.

La tesi pubblicistica viene sposata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, come si legge nella sentenza 4179/13 secondo cui “gli accordi ex art. 11, l. n. 241/1990, hanno natura pubblicistica. Ciò in ragione non solo del percorso storico-giuridico che ha infine condotto all'elaborazione dello stesso istituto degli "accordi amministrativi", ma anche in ragione dell'esegesi della norma, che offre molteplici argomenti: a) il necessario perseguimento dell'interesse pubblico; b) il riferimento al "contenuto discrezionale"; c) il richiamo ai soli principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti; d) il limite della

"compatibilità" nel richiamo ai suddetti principi; e) l'invarianza quanto al regime dei controlli; f) la previsione della giurisdizione esclusiva del g.a., ora assorbita dall'art.

133 c.p.a.”

Il dibattito non concerne soltanto questioni meramente teoriche, poiché vi sono profonde differenze nell’aderire

pubblico sussiste la giurisdizione esclusiva del g.a. ai sensi dell'art.

11, comma 5, l. n. 241/1990”.

all’una o all’altra tesi, in quanto differente sarà la disciplina che si potrà applicare a tali accordi.

Si deve dare atto, comunque, del fatto che stante la particolare natura ibrida di tali accordi non è mancato chi ha ritenuto di applicare ora la disciplina pubblicistica ora quella privatistica, in base alle singole circostanze e agli interessi perseguiti161.

Le differenze sostanziali tra le due teorie si evidenziano soprattutto nel regime della patologia, su cui l’art. 11 l.

241/90 tace.

161 Così anche chi aderisce alla tesi pubblicistica applica comunque la disciplina civilistica in materia di conclusione ed integrazione del contratto. In tal senso si legga T.A.R. Perugia (Umbria) sez. I 11 settembre 2013 n. 475 secondo cui “i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362-1371 c.c. sono applicabili per l'interpretazione non solo dei provvedimenti amministrativi, ma anche degli accordi di cui all'art. 11, l. 241/90, giusto il richiamo del comma secondo ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti "per quanto compatibili". Vengono anche pacificamente applicati i principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1176. In tal senso si legga Cons. Stato, sez. III, 2693/14 secondo cui

“l'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto, le cui regole si applicano agli accordi integrativi di provvedimento di cui all'art. 11, l.

7 agosto 1990 n. 241, è violato non solo quando una parte agisce con il doloso proposito di recare pregiudizio all'altra, ma anche quando la condotta da essa tenuta non è comunque improntata alla diligente correttezza e al senso di solidarietà sociale.” Si legga anche T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 05/02/2014, n. 266 secondo cui “il collegamento negoziale può riguardare anche gli accordi amministrativi in forza dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, richiamati dall'art. 11, co. 2, della legge n.

241/1990, e consiste in una modalità di regolamento degli interessi delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un negozio possono ripercuotersi sull'altro, in funzione di condizionamento non necessariamente reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa). Il collegamento funzionale non fa peraltro venire meno l'individualità giuridica dei singoli negozi, ciascuno caratterizzato dalla propria causa e sottoposto alla propria disciplina, mentre l'interdipendenza si risolve nel principio di una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, secondo la regola simul stabunt, simul cadent.”

Ed infatti, chi sposa la tesi pubblicistica ritiene applicabile anche agli accordi la disciplina degli artt. 21 septies e 21 octies della l. 241/90, con l’eventuale applicazione dei termini decadenziali previsti per l’esercizio delle relative azioni.

Di diverso avviso invece chi ritiene che tali accordi abbiano natura contrattuale, in quanto in tale ipotesi si sostiene di poter applicare le invalidità previste dal codice civile.

Un aspetto particolare su cui soffermarsi riguarda anche l’eventuale inadempimento dell’amministrazione all’accordo stipulato; ci si chiede, cioè, quali siano i rimedi attivabili dal privato nei casi in cui l’amministrazione adotti un provvedimento differente rispetto a quello contenuto nell’accordo.

Sposando la tesi pubblicistica, in tale ipotesi, il privato dovrà impugnare il provvedimento finale nel termine decadenziale, chiedendo anche il risarcimento del danno.

Non sarà possibile, invece, condannare l’amministrazione ad un facere, e quindi agire con l’azione di esatto adempimento né con quella di risoluzione.

Di diverso avviso, invece, i fautori della tesi privatistica, i quali ritengono applicabili le norme dettate dal codice civile in materia di inadempimento. In particolare, ai sensi dell’art. 1453 c.c. potrà essere esercitata sia l’azione di risoluzione che quella di adempimento.

Tale ultima soluzione privilegia sicuramente la posizione del privato e la sua tutela, tanto che una parte della giurisprudenza, anche senza sposare la tesi privatistica, ritiene applicabile la disciplina della risoluzione contrattuale, in forza del richiamo che l’art. 11 ai principi generali del diritto privato.

Si ritiene solitamente inapplicabile invece la disciplina di cui all’art. 2932 c.c. in caso di mancata emanazione del provvedimento a seguito dell’accordo procedimentale; ed infatti si ritiene non ammissibile una tale interferenza da parte del giudice in un ambito che resta comunque riservato all’amministrazione. In tali casi si ritiene esperibile

esclusivamente il rimedio ex art. 117 c.p.a. avverso il silenzio. In tale ultimo senso si legga la sentenza del Consiglio di Stato 4309/13 secondo cui “l'accordo preliminare o procedimentale, di cui all'art. 11, l. 7 agosto 1990 n. 241, è volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, senza ad esso sostituirsi e senza realizzare l'assetto definitivo degli interessi, come invece accade per gli accordi sostitutivi; di conseguenza, nell'ipotesi in cui alla stipulazione dell'accordo integrativo non segua l'adozione del provvedimento finale, conclusivo del procedimento, il rimedio esperibile è (anche) quello del silenzio-inadempimento”.

Sussiste però anche un orientamento recente che ritiene perfettamente possibile esperire l’azione in questione, come si evince dalla pronuncia del T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 24/10/2016, n. 873 secondo cui “non vi è motivo per escludere che possa essere oggetto dell'azione ex art. 2932 c.c. il mancato adempimento da parte del privato di un obbligo di cessione assunto con specifici atti d'obbligo, o, con una convenzione urbanistica avente valore di accordo integrativo sostitutivo di provvedimento amministrativo ex art. 11 della L. n. 241 del 1990.”

Propendere per una tesi o per l’altra condiziona anche l’eventuale ammissibilità dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione, generalmente ritenuti compatibili con la figura dell’accordo per coloro che sposano la tesi pubblicistica; ritengono invece una strada difficilmente percorribile quella dell’autotutela coloro che sposano la natura privatistica, come sembra far desumere anche il comma 4 dell’art. 11 laddove prevede espressamente esclusivamente la facoltà di recesso dietro corresponsione di un indennizzo.

La giurisprudenza maggioritaria ammette il solo recesso con riferimento alle convenzioni di lottizzazione.

Ed infatti, secondo la giurisprudenza, sebbene sia innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa dei

profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all'incontro di volontà delle parti contraenti nell'esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile" (così Cons. Stato, Sez. IV, 1 aprile 2011, n. 2040).

Per tale ragione si è ritenuto che “non è consentito al Comune di incidere unilateralmente su singole previsioni della convenzione urbanistica, potendo l’Amministrazione soltanto valersi, in presenza dei relativi presupposti, della facoltà di recesso dall’accordo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, salva la corresponsione di un indennizzo, ai sensi dell’art. 11, comma 4, della Legge n.

241 del 1990” (T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 17/03/2016, n. 517).