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E IL NAUFRAGAR M’È DOLCE IN QUESTO MARE: L’INFINITO DI LEOPARD

L’OTTOCENTO IN ITALIA E IN EUROPA 5.1 IL NAUFRAGIO OTTOCENTESCO: IL RAPPORTO UOMO

THE MAELSTRÖM

5.4 E IL NAUFRAGAR M’È DOLCE IN QUESTO MARE: L’INFINITO DI LEOPARD

All’interno del panorama letterario ottocentesco, Leopardi con il suo idillio L’infinito sembra porsi in una posizione completamente differente rispetto ai suoi contemporanei, aprendo una prospettiva nuova ed inusuale, quella del “dolce naufragio” in una dimensione spazio-temporale indefinita. La lirica, composta dal poeta a Recanati nel 1819, fu pubblicata nel dicembre 1825 sulla rivista il Nuovo Raccoglitore di Milano ed entrò a far parte, nel 1831, dell’edizione fiorentina dei Canti.

L’infinito si apre con l’immagine della cima di un colle solitario: si tratta del monte Tabor, situato a sud di Recanati e delimitato da una siepe che preclude alla vista “tanta parte / dell’ultimo orizzonte”. Proprio su quel colle, il poeta Leopardi misura la sua solitudine e, portando la sua mente oltre la siepe, riesce ad avere percezione dell’infinito: il suo sguardo naviga libero e privo di limiti in quella sterminata vista che si apre fino al mare. Si legge nell’idillio:

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma, sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.”

Analizzando la struttura della lirica, si può notare come nei primi tre versi sia subito presentato l’antefatto: viene individuata la condizione ordinaria dell’io che preferisce ritirarsi dal mondo, recandosi sulla cima di un colle solitario, per riflettere e meditare. Nei versi successivi, invece, il poeta pone l’attenzione sull’avventura straordinaria compiuta dall’anima, che naufraga davanti alle immensità dello spazio e del tempo. Il gerundio mirando (v. 4), infatti, ha il significato di “osservare attentamente” e la sua forma verbale indica la durata indefinita dello svolgimento dell’azione. Nella lirica leopardiana, dunque, in presenza di un restringimento della visuale, l’io riesce ad attivare la sua autonomia mentale e, spinto dalla speranza, è in

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grado di oltrepassare i limiti dell’ordinaria percezione del reale.217 In questa seconda sezione dell’idillio, i verbi al presente, in contrasto con il passato remoto iniziale fu, identificano l’unicità dell’esperienza provata dall’ “io lirico” che, pian piano, si distacca dall’ “io empirico” che era solito recarsi sul colle.

Nel sintagma “di là da quella”, al v. 5, l’aggettivo quella potrebbe essere attribuito sia alla siepe, come si ritiene secondo la tradizione, che al nesso tanta parte dell’ultimo orizzonte, come è stato proposto da Bacchelli218. Bisogna, dunque, determinare quale sia il punto esatto da cui prende le mosse il viaggio mentale dell’io. Secondo Picone219

il locus in questione non è l’innocua siepe, ma l’ultimo orizzonte: la siepe, infatti, traduce l’idea del semplice confine materiale al di là del quale si staglia la vista della campagna circostante, l’ultimo orizzonte, invece, rappresenta il confine essenziale oltre il quale è possibile sperimentare l’infinito.

All’interno dell’idillio, l’io del poeta svolge un ruolo fondamentale e, al v. 7 con il sintagma “io nel pensier mi fingo”, rappresenta anche se stesso, quasi “restringendosi innaturalmente nell’ambito esclusivo della facoltà di pensiero e trascurando proprio la sua parte più sensibile: il cuore che, così abbandonato, come reso estraneo e quindi pressoché espunto dall’io, quasi si spaura.”220

Entrando in pelaghi interminati e in una profondissima quiete, l’animo del poeta si perde e il suo cuore rabbrividisce e viene meno: ci troviamo in un mare aperto, in cui il nostro pensiero “annega” e si perde in un naufragio dolce e piacevole. Leopardi ne L’infinito, dunque, non racconta un evento catastrofico ma una navigazione nel mare dei sensi e del cuore, che culmina in un naufragio suscitato dal leggero fruscio del vento comparato ai “sovrumani silenzi” e alla “quiete profondissima”, simboli dell’eternità del tempo e dello spazio di quel momento.221 Da questo punto in poi, infatti, all’interno della mente del poeta ha inizio una tempesta, con un susseguirsi di immagini e percezioni che crescono di intensità in un continuo rapporto tra ciò che è fuori dall’io e ciò che è all’interno della sua complessa psicologia.

Il vento, lo stormire delle foglie, il silenzio del tempo e dello spazio si trasformano in un mare di sensazioni, un oceano di emozioni, in cui “s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Questo dolce naufragio annienta per un

217 G. Floris, E il naufragar m’è dolce…, in Naufragi. Atti del Convegno, cit., p. 323. 218

R. Bacchelli, Sugli aggettivi determinativi dell’ “Infinito”, in Leopardi e Manzoni, Milano, Mondadori, 1960, pp. 361-370.

219 M. Picone, L’infinito di Leopardi e il mito di Ulisse, in Lettere Italiane, 41, 1989, p. 86. 220 G. Floris, E il naufragar m’è dolce, cit., p. 324.

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attimo il dominio della ragione e consente al poeta di ritrovare un rapporto autentico e privilegiato con la natura.

Michelangelo Picone222 ha dato una particolare interpretazione all’idillio leopardiano, paragonando la navigazione dell’io lirico nel mare del pensiero e delle emozioni a quella dell’Ulisse della Commedia dantesca. Leopardi, infatti, ha da sempre riconosciuto la supremazia lirica degli antichi, affermando però di voler rielaborare la loro poetica alla luce della modernità: si tratta di un’ “originale imitazione”223 dato che egli vuole fare in modo che nella sua poesia si possa ritrovare qualcosa che è in comune a tutti gli uomini e che, in quanto tale, sia fissato in una formulazione stilistica perfetta, quindi classica.

Come abbiamo visto, l’io lirico de L’infinito si abbandona ad un viaggio che non è fatto con il corpo ma solo ed esclusivamente con il pensiero: esso, dunque, ripercorre il mito di Ulisse non nella sua realtà storica, come il Colombo della canzone Ad Angelo Mai, ma in una favolosa irrealtà. Le strutture portanti dell’idillio riprendono il modello narrativo dell’episodio dantesco e il poeta recanatese ci propone il resoconto di un viaggio, la cui meta è la ricerca dell’Assoluto. Come qualsiasi altro viaggio, vi sono delle limitazioni da superare ma, trattandosi di un itinerario conoscitivo, alla fine si scopre che ci si ritrova in uno spazio e un tempo infiniti e che si può naufragare non appena si scorge l’immensità del reale.

Al pari dell’Ulisse dantesco, infatti, la quête dell’io lirico si conclude con un fallimento e un naufragio: mentre per Dante, però, il naufragio sigilla tragicamente la fine del viaggio della ragione umana, per Leopardi, invece, questo evento è una metafora che chiude ironicamente l’iter compiuto dalla mente umana verso la scoperta della nullità del tutto.

Il verso finale “e il naufragar m’è dolce in questo mare” richiama insieme sia l’esperienza del viaggio ulissiaco del XXVI canto dell’Inferno, che il percorso compiuto dal pellegrino Dante per raggiungere la visione di Dio. Il verbo naufragar, infatti, si ricollega alla fine del XXVI canto “infin che ‘l mar si fu sovra noi richiuso” e l’aggettivo dolce fa riferimento all’esperienza mistica vissuta nel XXXIII del Paradiso, quando Dante, contemplando Dio, riceve nel cuore, grazie alla visione, “il dolce che nacque da essa” (v. 63).224

222 M. Picone, L’infinito di Leopardi e il mito di Ulisse, cit., pp. 73-89. 223 Ivi, p. 74.

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La dulcedo naufragii, infatti, non ha mai fatto parte dell’orizzonte di Ulisse: la poesia romantica del XIX secolo trasforma il naufragio in un’esperienza che si propone di trovare delle risposte ai problemi dell’uomo e che, quindi, non deve essere vista in un’ottica totalmente negativa.225

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5.5 LE AVVENTURE DI PINOCCHIO: IL NAUFRAGIO COME